Critica Sociale - Anno XVI - n. 12 - 16 giugno 1906

CRITICA SOCIALE 179 dai suoi rappresentanti n· Starebbe in ciò la loro giustificazione. Bisognerebbe spiegarsi un po' meglio: di' quale u. proletariato,, e di quale 14 solidarietà,, si intende parlare? Nei rapporti col proletariato le dimissioni furono date - così la lettera collettiva al Presi– dente della Camera - perchè, essendosi procla– mato lo sciopero generale i: fuori del consiglio ,, dei deputati, questi ultimi avevano ragione <li temere di non essere più i legittimi rappresentanti del proletariato. In termini pill.semplici, i deputati hanno detto: noi fummo contrari allo sciopero ge– nerale, questo fu proclamato nostro malgrado : vo– gliamo vedere, interrogando i nostri elettori, ossia quel proletariato di cui siamo i mandatari, se esso è con noi contro lo sciopero, o per lo sciopero contro cti noi. E le urne proletarie 1 <lapertutto - anche, senza dubbio, e tauto più, dove i nostri sono caduti, a profitto dei moderati - hanno accettato il primo corno del dilemma, ricusando il secondo. Non possiamo supporre, infatti 1 cbe i deputati dimissiouarì 1 dopo aver posta la questione a quel modo, la abbiano poi capovolta durante la lotta elettorale; che, dopo essersi dimessi per chiedere al proletariato se li confortava della sua approva• zione per non aver voluto consigliare lo sciopero, abbiano poi fatta l'esaltazione dello sciopero, o abbiano sgattaiolato dalla questione, issando sulla piattaforma, per esempio, la collettivizzazione degli strumenti di lavoro! Noi non crediamo alcuno dei nostri colleghi capace di una cosiffatta disinvoltura. Dal cauto nostro - e potremmo dire lo stesso dello Zerboglio, del Montemartini, del rl'reves, di coloro insomma di cui ci giunsero, scritte o par• late, dichiarazioni elettorali categoriche e precise - abbiamo parlato molto chiaro su cotesto punto: e il responso delle urne fu trionfale. Basti per tutti l'esempio di Milano, it maggior centro del sinda• calismo rivoluzionario, che vi ba per sè la Sezione ufficiale del partito, come a dire l'autorità della Chiesa ortodossa; dove, uei due Collegi più.spicca– tamente proletari della città, e forse di tutta Italia, la con,launa dello sciopero gene1•ale si è riflessa nei 470 voti dei rivoluzionari contro i 5500 dei candidati socialisti. V Avanguw·dia Socialista insinua 1 è ben vero, che questi 5500 sono tutti voti, a un dipresso 1 di milionari :Ma ai convinti di una cosi atroce ban• ca.rotta deve pur essere concesso qualche inner cente conforto! Or dunque, se il gesto corrispose alla parola annunciatrice, la solidarietà, <li cui le dimissioni furono l'indice, era rivolta a quel proletariato che dello sciopero generale o non aveva vOluto sapere o lo aveva subito riluttante e, in fondo, ne disap• provava i caldeggia.tori. Forse tale solidarietà si sarebbe manifestata più tempestivamente e più efficacemente se il Gruppo non avesse così a lungo nicchiato, sotto il pretesto, allegato da taluno, che "non era stato chiesto il suo parere e non aveva obbligo di darlo n e lasciando dichiarare e pubb)j. care che l'opinione dei singoli suoi membri non era Popinione collettiva. Checchè sia di ciò, il senso delle dimissioni fu dunque quello che abbiam detto. Ma allora non si intende più che cosa abbia da fare con (~Otesto 1 ' cenno di solidarietà n la tesi sostenuta dal Bonomi sulla necessità di mantenere i contatti colle masse più impulsive e meno evo• Iute, e non soltanto colle Ctiles del proletariato industriale; a meno che si supponga che siano state queste ultime, anzichè le prime, a caldeg– giare lo sciopero! È evidente infatti che lo sfidare alla prova delle urne i fautori dello sciopero non è un modo per mantenere il contatto con essi : è anzi esattamente l'opposto. Decisamente non è la chiarezza. che abbondi nel ragionamento del nostro collaboratore! . .. 1\:Ca la chiarezza non può abbondare quando alle questioni concrete - come quelle che noi ponemmo ai nostri elettori, perchè le ponevano i fatti - si sostituiscono, come fa il Bonomi, vaghe generalità, che si possono tira.re in tutti i sensi come gutta– perca. Noi asserimmo che bisognava. parlar chiaro e senza indugi sulla opportunità rlello sciopero ge– nerale - che il tentare di imporre alla Camera la discussione im,,nediata del disegno di legge sugli eccidi, con minaccia di ostruzionismo, equivaleva a vote,·e che la discussione fosse ricusata (e buon per noi, che almeno evitammo così la bocciatura del progetto che, in quel momento, sarebbe stata arcisicura !) - che tutto questo, e le conseguenti <limissioui, mentre costituivano una ctedizione al sindacalismo rivoluzionario erl anarchico che ci si dava l'aria di oppugnare, portavano alla conse– guenza necessaria di sfasciare una situazione poli– tica che noi stessi avevamo dichiarato di volere, pel momento, gagliardamente salvaguardare. Di tutto ciò - ossia dei fatti concreti che sono tema del dibattito - nec verbim1 quillem nella Jet. tera dell'amico Bonomi. Il quale batte invece la campagna asserendo che conviene uou distanziarsi troppo dalle masse, mantenere i contatti, alternare o fondere la rampogna a.Ile blandizie, fare opera in• somma cli savia pedagogia. A meraviglia! Siamo d'accordo, arcidaccordo, non ne spiaccia all'amico Bonomi ! E se questo signi– fica essere " bissolatiani ,, - a.I la buonora ! - lo siamo e lo fummo sempre: anche se, per caso 1 alla peste ctei personalismi dietro i quali l1inedu– cazione del partito <lissimula gli indirizzi e le cose, e che già ha creato il ferrismo, il turatismo, il labriolismo, ecc., ecc., non crediamo siavi molta urgenza di aggiungere - col" bissolatismo tl - una nuova categoria. Ciò che neghiamo è che lo scopo indicato si rag• giunga, che la pedagogia sia savia ed efficace, che i contatti si mantengano col nicchiare, col dissi• mulare, col contraddirsi, coll'invidiare a Penelope la sua incessante fatica. Di fronte a una massa necessariamente sollecitata da diverse ed opposte suggestioni 1 la prima necessità pedagogica, per chi voglia esercitare una influenza. su cliessa, è di a\·ere un'opinione, di esprimerla nettamente, di agire con perfetta coerenza. Si affronteranno i fischi degli scalmanati: i fischi - noi lo sperimentammo più volte - non uccidono nesrnno. ftl:a è così, se la ragione ci assiste, che la nostra opinioue finisce per imporsi e per trascinare. ~ così che i contatti non solo sono mantenuti, ma accresciuti e conso· lidati. Al quale proposito è con molto beneficio d'in• veutario che accettiamo la distinzione del Bonomi fra le pretese èlites operaie di Milano, di Reggio, ecc., e gli strati proletari più rozzi d'altra plaghe ita– liane. La distinzione sarebbe plausibile se si trat• tasse cli confrontare in blocco le masse operaie cittadine o settentrionali con le masse rurali o meridionali. Ma 1 a proposito dello sciopero gene– rale, q nesto non è i 1 caso 1 dacchè fu soltanto nel nord d'Italia e soltanto nelle citth, iudustrh.tli che si fece o si potè fare di esso questione. Certo, le nostre masse operaie sono, ancora, in generale, politicamente molto arretri.,te. Ma, a costo di parere poco cortesi verso i nostri elettori, noi non crediamo proprio che la slollà di coteste masse,

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