Critica Sociale - Anno XVI - n. 12 - 16 giugno 1906

178 CRITICA SOCIALE Dichiarato così il mio pensiero, bisogna che dichiari la mia aziono. Per me il pericolo vero che insidia il nostro Partito consiste nella cittadinanza che vi hanno acquistata le dottrine sindacaliste rivoluzionarie, così prossime alPa– narchismo. Questa intrusione di elementi spuri nel mo– vimento socialista, e persino nei suoi organi direttivi, produce la paralisi perpetua e la convulsione periodica. Liberarsi da questa intrusione, così come i socialisti tedeschi si sono liberati dai ii Giovani ,, che ne insidia– vano il carattere evoluth'0 con propositi insurrezionali, dO\'O quindi essere il supremo intento di tutti i socia– listi italiani. Il momento è maturo. Anche gli wiilctri non possono pili esitare. Ormai i nostri sindacalisti rivoluzionart hanno dimostrato di non avere rarlice alcuna nè nelle organizzazioni operaie, nè nel corpo elettorale. Nel Con• gresso nazionale dei contadini rimasero pressochè as– senti, nelle ultime lotte elettorali o non o.:iarono affer– marsi, come nel parmigiano, nel modenert, ne\ bolognese, nel ferrarese, o mostrarono tutta la lorù miseria, come a Milano. Separarli dal Partito dunque non vuol più dire separare il Partito: vuol dire appena chiudere il Partito a tutte le ioflltrazioni anarcoidi che minacciano di deviarlo dalla sua strada. Se non cbe 1 anche per questa operazione di igiene 1 è necessario che tutte le varie gradazioni del Partito - integralisti, intransigenti, riformisti - si uniscano per riaffermare la loro dottrina comune e per provveclere alla comune difesa. Una nostra divisione 1 una qualche vecchia contesa fra le stesse flle socialiste, potrebbe far credere dissidio sociC1lista quello che invece è e deYe rimanere eeparazione necessaria fra socialismo e corpo– rativismo anarchista. E I ecco una secoocla ragione di dissenso. 'l 1 u 1 con l'oc– chio fisso a quello che è il socialismo delle classi ope• raie meglio educate e più a lungo esercitate nella palestra politica, non soffri indugi. Vuoi un socialismo tutto d'un colore o tutto d'uno stampo, che si Accampi fieramente contro tutte lo superstizioni delle masse. Per questo l'integmlismo, cioè quel movimento di orga– nizzatori e di propagandisti che cerca di porsi a con– tatto della realtà psicologica delle folle proletarie, ti pare una. deviazione, o, peggio, un ioganuo. Io invece credo che in questo momento, e davanti al nemico co– mune, conrenga far tacere ciò che ci 11èpara, per dar risalto a ciò che ci unisce. Perclonami la franchezza di questa dichiarflizione do-' verosa. 1'uo aff.1110 lVANOE BONOMI, Alla intitola~ione della lettera di Ivanoe Honomi " Dissensi in (aniiglia ,, noi abbiamo apposto un segno interrogativo, o dubitativo, che nel mano– scritto non c'era: e l'abbiamo apposto per due motivi. Innanzi tutto, perchè non abbiamo inteso bene in omaggio a quale sorta di logica il capo, diremo così, della lettera possa conciliarsi colla coda. La coda - ossia la conclusione - avverte che, di fronte al sindacalismo rivoluzionario, conviene" far tacere ciò che ci separa per dare risalto a ciò che ci unisce n· Il titolo, e grau parte del testo, mi– rrmo1 per converso, a lumeggiare, fra avversari del sindacalismo rivoluzionario, giustappunto un dis– senso e a far tacere le ragioni della concordia. O noi uou sappiamo intendere lo scritto, o il senso della lettera del Bonomi - dalla conclusione in fuori - non è altro che qnesto: di fronte al" ne– mico comune ,. 11 a quello che è " il µericolo vero che insidia il partito,,, noi, che in massima fummo sempre concordi, crediamo ora" doveroso " di di– chiararci divisi. · In verità, Enrico Ferri non poteva trov,ne mi– gliore presidio a quello che è uno de 1 suoi prediletti aforismi; che cioè è perfettamente inutile rompere l'unità del partito - ossia creare la sua vera nuità, eliminandone gli elementi inconciliabili e irredut– tibili - perocchè iu ciascuna frazione del p.1rtito così diviso - ossia unificato - nascerar..1v poi nuove divisioni. Poichè ogni idioma può CJutenere in sè diversi dialetti, Fiùeale, per inten lersi bene e agire di conserva 1 è la torre di BaUele. Ma oltre che per questo difetto <li fronte alla logica pura, ci è parso lecito dubitare delhi con– cludenza del titolo affermativo dato d.d ilonomi a.Ila sua lettera, per un altro motivo 11;.'1 i::;ostan– ziale . .Ed è che, anzichè un (.i dissenso in famiglia,,, a noi par di riscontrare nella tesi da lui sostenuta un dissenso innanzi tutto con sè stessa e coll'evi– denza delle cose: coi fatti a cui si riferisce 1 coi motivi a cui si regge, colle conclusioni acni mette capo. Appunto perciò e dopo ciò, se l'amico Bonomi 1 ' non trova più il morlo rli definire sè stesso ni la cosa ci sembra enormemente naturale. * • * Giacchè 11amico Bonomi fa appello ;1.l supremo dovere della sincerità (sia pure per avviarsi poi a sostenere in sostanza che della sincerità non dob– biamo abusare 1) procuriamo di parlarci sincera– mente. Gli equivoci, nella lettera che abbiamo pubblicato, spesseggiano: ma basterà inseguire i principali. Il Bonomi) cominciando, sembra limitare i termini del dissenso al fatto delle rlimissioni dei deputati socialisti. Veramente, n~ga nostra lettera agli elet– tori, uoi considerammo questo episo<lio come l'ul– timo anello di una catena, come la conseguenza "assurda e insieme inevitabile 11 di una serie di errori precedenti. D'altronde, coteste dimissioni sol• levarono proprio nel partito un coro di disappro– vazioni quasi universale: basta avere scorsi i gior• nali socialisti italiani per andarne convinti~ quasi tutti - ad eccezione, e si capisce, dell'Avanti! -– dai quotidiani, come la Giustizia, il 'l'empo. iL La• vm·o, che definì le dimissioni " il gesto della de– bolezza ,, 1 ai più umili settimanali - quasi tutti le hanno defllorate come inutili, contraddittorie e perniciose al partito, e qualcuno le ha difese de– bolmente, cercando di spiegarle, come se sputasse dolce traugugiando amaro. Se furono date per conservare i famosi contatti colle masse, stavolta non ci pare che lo scopo sia stato raggiunto; il " senso di opportunità.. ,, ha fatto cilecca, e l1"arte,, - almeno questa volta. - non fu sopraffina.. Nella prova abbiamo perduto parecchi Collegi, qualche valoroso compagno, e quasi dapertutto - le statistiche non furouo fatte soltanto dai giornali avversari 1 e le cifre non sono opinioni - abbiamo perduto dei voti, o in via assoluta o in ,·ia relativa. A prescindere dalle altre conseguenze, come aù esempio la crisi m\nisteriale 1 i risultati non appar– vero molto incoragg·ianti. Ma su questo il Bonomi sorvola, chiamando Fepisodio fuggevole e troppo vicino (?) e ci invita a guardare altrove. Consiglio che è davvero un consomrnè di saggezza. Ma l'amico nostro asserisce 1 ripetendo una frase di Bissolati, che le dimissioni furono date perchè il proletariato chiedeva " un cenno di solidarietà

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