Critica Sociale - Anno X - n. 18 - 16 settembre 1900

280 CRITICA SOCIALE possa isterilire nel Sucl Ja propaganda. rngiona.lista) fatta in mala fede dai reazionari 1111itari. l3isogna che il Partito socialista si affermi federalista nel campo politico, ricordando la frase di Proudhon, che i: libertà è federalismo, federalismo è libertà ,, ; bi– sogna che i repubblicani f'ecleralisti vengano una buona volta a spiegazioni chiare con i mazziniani e rompano esplicitamente ogni solidarietà coi seguaci cli un unitarismo, che ha rovinato l'Italia; bisogna spcciahncntc che i democratici del Nord, nel loro stesso interesse, se Yogliono evitare una guerra or– rihìlc, dalla quale resterebbe fiaccato per cinquanta anni ogni movimento democratico, vadano nel Sud a fare la propaganda federalista, a contrastare il ter· rcno ai regionalisti, a impcclire che il grido Jcgittimo degli interessi meridionali offesi venga monopolizzato dalla reazione. Mentre i :Regionalisti unitari gridano, per i Joro fini occulti, che fra il Nord e il Sud vi ò lotta d'interessi, i :U"ederalisti debbono gridare che non è \'Oro: non vi è lotta fra Nord e Sud; vi è lotta fra le masse del Sud e i reazionari del Sud, vi è lotta fra le masse del Nord e i reazionari del Nord; e come i reaziona.ri del :Nord e del Sud_ si uniscono insielne per oppri– mere le masse del Nord e ciel Sud, così .le masse delle due sezioni del nostro paese debbono unirsi per sconfiggere a fuochi ìncròciati la reazione, sia essa delinquente colla camorra e con la maffia 1 sia ipocritamente onesta con Colomho e Negri; viva essa sul lavoro non pagato dei cafoni pugliesi o su quelJo delle risaiole emiliane; prenda a suoi rap• presentanti Crispi o Saracco; si affermi sWle colonne del Corriere dell<tSera o nei libri semiscientifici del Nitti. RER"ITT.l SCRJP'l'OR. Risposta a J aurès JJ. Jaurès crede di poter portare, contro la mia rappre– sentazione del profitto nella forma di sovraprOdotto anzichè di' sopratavoro, un argomento decìsivo: "li prodotto - egli dice - in quanto prodotto, in - qmrnto valore d 1 uso, in quanto ò un oggetto consumabile e assimi.labile, non ha pel capitalista valore alcuno. Noi non siamo nel J)eriodo clella economia clomestica,o del– l'economia a schiavi, doYe il padrone consumi per l'uso prOJJrioi JJrodotti del lavoro famigliare o servile. I pro• dotti non hanno valore JJel capitalista se 11011 quando egli può gettarli sul mercato e scambiarli"; coh altri 1>rodotti; essi non hanno valore per lui cò'm~ valori· d'uso, bensl come valori cli scambio. " .. é'· _ Poichè, in fondo, tutti i proclottj sono oggi. mess( in valore e gettati sul mercato a causa della minuta divi– sione del lavoro fra i vari rami di industria, che costi– tuisce una delle caratteristiche dell'economia moderna, la critica di Jaurès si riassume in ciò: che io non avrei tenuto conto cl ella esistenza della divisione del lavor.o, e dc' suoi effetti sul consumo inclivicluale. Ora tale appunto sarebbe " in fatto ed in diritto ,, ineccepibile, se io avessi mostrato di credere che il 11rocessoda cui traggono origine i prodotti-profitto po– tesse concepirsi immediatamente presso ogni singolo operaio cd ogni singolo capitalista; e che il profitto, qu.indi, 0 fosse.scm: 1 altro il sovraprodotto consumabile cli– rQit~me.i1te1 da ogni capitalista isolato. M.aciò che io - in ,def}nitiya - ho sostenuto, è proprio il contrario. Jo ho cercato cliprova,·e, con una lunga dimostrazione, che - ap1rnnto.perchò esiste h~divisione del lavoro - B1b1otec::iu1no B1arco il 1noces:,o<lolla produzione è eminentemente collettivo; e che, di conseguenza, il modo con cui i proclotti-J)rofitto so1·gonodalle viscere di tale processo non si può com– prendere, se non conceJ)Cndo il fenomeno in una forma corrispondentemente collettiva. i~ vero che - in un primo periodo dell'esJlOsìzione del mio pensiero - ho io stesso supposto che non esi• stesse la divisione del lavoro, e che il profitto, quindi, venisse immediatamente creato dal singolo operaio al singolo capitalista. Ma io ho fatto ciò provvisoriamente, e soltanto perchè, avendo sempre il Marx concepita la generazione flel profitto sotto una forma individuale, presso il filatore isolatamente considerato delle 10 libbre di cotone, mi è parso pili consentaneo al 1>rocessopsico. logico della persuasione ammettere sul princi1>io il maggior numero delle ipotesi avversarie. Ma mi sono ben affrettato, in seguito, a dimostrare che realmente, data la divisione del lavoro, il meccanismo produttivo, e })erciò anche il processo con cui sorgono i prodotti– })rofltto, non si possono e non si debbono rappresentare che sotto una forma collettiva. A mio credere, uno dei pili grandi errori del M,ux ò stato quello aJ)punto di avere studiato Pintimo Jlrocesso per cui il profitto cleriva dalla. produzione presso un solo operaio isolato, e cli avere quindi concepito il pro• fitto del singolo ca1Jitalista come creato immediatamente dal sopra.lavoro del singolo operaio. Data questa mia posizione, la critica cliJ"aurès poteva essere diretta contl'O chiunque' altro, ma non contro di me. Egli avrebbe do. vuto dimostrare: o che la mia rappresentazione del meccanismo produttivo o quin<li anche del profitto come fenomeni collettivi era errata in sò stessa; o che, anche essenclo vera in genere, non per questo bastava a le– gittimare 1a mia teoria del sov1·aprodotto. Egl.i invece mi ha implicitamente accusato di non aver vista q_uella divisione del lavoro, d~tla cui esistenza mi ero proprio servito 1 e J)er meglio rr»cp.lzarc la concezione del pro,. fitto da me sostenuta, e per dimostro.re sempre pili errata, e.r;aclverso, quella del ")fo,rx! . .. Ciò JJrcmesso in linea di fatto, mi sia lc"Citoaccennare in qual modo J)il1precisamente la divisione del lavoro, i1wece di nuocere, venga a portare nuovi argomenti in fa.vore della mia tesi. Posto che il profitto consista in un sovraprodotto - nei prodotti, cioè, che, ricavati dagli opera.i, vanno a.i capitalisti - noi non possiamo considerare come prodotti• profitto se non i prodotti che questi u.ltimi consumano realmente. Se il contadino A, ])er esempio, trattiene Jlresso di sè il granturco e cede il grano al suo padrone, dobbiamo comHderare come sovraproclotto il grano, non il granturco. Dato dunque che, }lCr la stessa natura circostanziaÌa e ·concreta dei prodotti, nou ò lecito desi– gnare col nome di 11rodotti-prottttose non quelli desti– nati effettivamente ai MJ>italisti,e, mediatamente, come prodotti-salario, se non quelli destinati eflèttiYnmentc agli operai, riesce evidente che soltanto nella ipotesi assurda della inesistenza della divisione del lavoro noi potremmo avere una condizione di cose, in cui ogni operaio ricavasse con una parte deUa sua giornata tutti i prodotti-salario I)er sè, e, coll'altra parte, tutti i ])rO– dotti-profltto J)er il proprio capitalista. Riconosciuta l'esistenza della divisione del lavoro, ò evidente che ogni operaio non ricava durnntc l'intera sua giorna.ta che un prodotto di una sola s1>ecie.Perciò, data anche l'ipotesi pili ra,•~revole - nel maggior nu– mero dei casi non corrispondente, clel resto, alla realtà

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