Critica Sociale - Anno VII - n. 22 - 16 novembre 1897

CRITICA SOCIALE 351 Ricordo anche il movente. Si çloveva pranzare: sic• come la tavola era troppo angusta per permettere a tutta la legione di prendervi posto, fu deciso che i due plotoni avrebbero mangiato l'uno dopo l'altro. Accadde allora un fenomeno imprevisto: quei giovani, che, isolatamente, erano persone ammodo, abituate ad assidersi ad una table d'h6te senza commettere villanie, si trasrormarono improvvisamente in un branco di ma– ledur-ati che, incuranti della limita.zione delle porzioni, si precipitarono sulle portate, in maniera da lasciar di– giuni i più timidi ed i meno impazienti. Era la massa irresponsabile nell'anonimia del numero, la massa in procinto di accingersi alla violenza, alla brutalità. della guerra, del sangue e magar( de!la ra– pina, che dava i primi effetti di sollevamento dei più bassi o più riposti appetiti della bestia umana! Cipriani, irritato da. quel contegno, annunciò che d'al !ora in poi, egli avrebbe messa la legione al rancio: non più. dunque le mense con tre portate, ma. le razioni distribuito a ciascuno, le razioni regolamentari di pasta e di carne. Oh! le recriminazioni di quell'ora! Improvvisati edo– nisti predicavano la teoria della massima utilità. con la minima. pena, ed inauguravano un argomento che do– veva poi diventare di moda tra i malcontenti della le– gione, anche quando non ne era più il caso: « A che un sacrificio quando non è necessario1 » La disputa veniva a proposito sopratutto per coloro che protestavano fieramente ogni qualvolta si compieva la ridicolaggine (dicevano essi) di passare in riga, di fare la guardia, di esercitarsi nelle armi. Naturalmente il dibattito finì coll'assurgere ad una più alta discussione sull'essenza dei volontari, sulla disci– plina ed infine sul ID.ititarismo. li problema fu posto in questi termini: « Vi è coe– renza nell'accettazione, da parte di socialisti, di una di• sciplina milita.re1 » Le più strarie e confusionarie idee si agitarono per ore intiere tra quei giovani, senza giungere ad un ri– sultato pratico e definitivo, che troncasse per sempre l'inopportuna disputa durante almeno il periodo della guerra. La maggioranza, in verità, avova opinioni, se non precise, abbastanza logiche almeno. Vi erano in– vece strani temperamenti, cervelli pieni di nebbie, che confondevano il militarismo con la conoscenza delle cose militari; la disciplina inutile, cieca e bruta.le della caserma, fatta per creare dei .... puntelti delle istituzioni, con la disciplina del tempo di guerra, necessario, unico mezzo di vittoria; e che concepivano il combattimento come un'operazione assolutamente individuale, a cui il volontario si presentava, quando meglio gli pareva, isolato o in compagnia di amici, ora a destra, ora a sinistra, ora al centro, secondo la fantasia gli suggeriva, col fucile a tu.colla e le mani in tasca, senza piegarsi.. .. all'abbiezione di ubbidire ad alcuno. Costoro gridavano: « Noi non intendiamo di abdicare nelle mani di nessuno la nostra dignità personale. Al massimo possiamo ammettere che sul campo di bat– taglia vi sia chi ci diriga 1 come comprendiamo che in una officina vi sia un capo tecnico che diriga il lavoro. Ma.al di fuori del campo di battaglia noi non ricono– sciamo disciplina, come non la riconosciamo fuori del luogò di lavoro. » . .. I più ragionevoli rispondevano:« Vedete, non vi ò pos– sibilità dì paragone tra l'officina cd il campo di batta– glia; appunto perchè, mentre al di fuori dell'officina il Ul<- d u lavoro di produzione cessa, non cessa affatto il lavoro militare al di fuori del campo di battaglia. « La guerra non è costituita da.I solo fatto d'armi, che è anzi l'azione più rara; ma da tutta una serie di operazioni, le marcie, gli spostamenti, l'accampamento, le veglie notturne e giornaliere ed un"a\tra infinità di grandi e piccole cose, che necessitano un graduale al– lenamento, non solo fisico, ma anche, ma· sovratutto morale. (( Voi non potete astrarre dai fenomeni psicologici, nè da quelli fisiologici. L'uomo non si adatta di colpo all'obbedienza 1mssiva del campo di battaglia, nè a quella tediosa delle guardie, e neppure ai disagi del campo. Non b1Lsta.perciò un atto di volontà.; sono i na– turali impulsi che bisogna dominare. e Necessita per questo una lenta suggestione opera– tiva, la formazione dl una nuova abitudine, corrodente l'antica e sostituentesi ad essa, la quale cominci dallo piccole cose; appunto dal rancio comune, dalla ritirata all'ora prescritta, dalle marcio in riga, dalla rivista alle armi, dagli ammonimenti di coloro che, per capacitìt tecnica, furono non eletti, ma riconosciuti quali eapi. « Voi trovate che tutto ciò è umiliante, antidigni– toso, antiumano. E sia! Che prova ciò 1 Forse che la guerra si possa fa.re alti-imenti 1 o non piuttosto che è ta guerra che bisogna giunge,.e ad abolire pe1· non in· correre in quesli inconvenienti? « Eccovi un esempio. Domani voi sarete sul campo di battaglia.: ad un certo momento, nel breve orizzonte del vostro cervello, inadatto, per mancanza di attitu• dini tattiche, a raccapezzarsi sulle mosse del nemico, apparirà ciò che, secondo voi, dovrebbe determinare un movimento qualsiasi. Chi vi tra.tterrà dal compierlo o dal pretendere di discutere col capo che vi ordina il contrario, se non l'abitudine alla passività, che solo una prepara.zione d'obbedienza può generare nei vostro cervello 1 « Ancora: domani noi ci troveremo in territorio ne– mico, senza pane, senza coperte. Che cosa. ci aiuterà. a sostenere il disagio fisico, ii demoralizza.mento, se non il tirocinio alle fatiche, agli stenti, al vitto limitato, che le marcio prepara.torio ed il rancio costituiscono 1 « Sentite, il dilentma è semplice: o abolire la guerra, o, fintanto che essa esisto, subire quelle che sono le condizioni imprescindibili della vittoria. ( Il secialismo, assodato che la guerra ò un collet– tivo attentato all'integrità. umana, e quindi un crimine, e poi un risollevamento dei più bestiali istinti, e quindi un regresso morale; o poi ancora. un arresto di produ– zione, un consumo improduttivo di ricchezze, e quindi un fatto antieconomico; e finalmente che ossa è l'ali– mentatrice del militarismo, cioè la causa della depres• sione dell'umana dignità, e la causa della esistenza e quasi sempre del predominio della casta dei militari professionali; - il socialismo va sino alle origini delle cose o dice: « Per abolire ogni forma di militarismo bi– sogna abolire la guerra. » « Ma il socialismo dice anche: « La. pace universale non può esistere che in una società. comunista. cosmo– polita. » « li che implica che, fino a quell'epoca, acl onta della crescente intesa dei proletariati d'ogni nazione e so• vratutto del pericolo che, in ca-so di guerra, ossi costi– tuirebbel'o per il regime borghese, conflitti sanguinosi tra popoli o razze sono ancora possibili. Ne siamo prova noi stessi, in procinto di batterci con un popolo, per lungo tempo, forse fino alla sua distruzione, inaccessi-

RkJQdWJsaXNoZXIy