Critica Sociale - Anno V - n. 18 - 16 settembre 1895

280 CRITICA SOCIALE Questa legge di compensazione continua, per la quale quanto qui si perde là si guadagna, sembra meravigliosamente bella all'0<:0nomisla. Essa è il suo vanto supremo; egli non è mai sazio di rimi• ,-aria e la considera sotto tutti i rapporti possibili ed impossibili. Pure è chiaro come il sole che essa è una legge semplicemente di natura, e non già una legge dell'intelletto. È una legge che genera la rivoluzione L'economista viene avanti colla sua bella teoria della domanda e dell'offerta e ci di– mostra che« giammai si può produrre troppo»; e la pratica i-isponde colle crisi commerciali, che tor– nano cosi regolai•mentecomele comete,e che ormai ci deliziano ad ogni periodo, in media. da 5 a 7 anni. Queste crisi da ottant'anni in qua scoppiarono re– golarmente come in altri tempi le grandi epidemie - e furono di gran lunga pil'1 feconde di immora– lità e di miseria \Veggasi: WADE: ntst. of the mtddle anà wo,·l,tn{J classes, London, 1835,p. 211). Certo che queste rivoluzioni del commercio con– fermano la legge, la confermano nel modo più completo, ma. in guisa ben diversa da quella che ci vorrebbe dar a credere l'economista. Che de\'e pensarsi di una legge che non si può effettuare che mediante rivoluzioni periodiche 1 È una legge, ap– punto, della natura, che riposa sulla incoscienza di coloro che vi partecipano. Se i produttori, come tali, sapessero di quanto prodotto hanno bisogno i consumatori. se organiz– zassero la produzione, se la distribuissero fra loro, la oscillazione della concorrenza e le crisi che ne conseguono dive1•1•ebbero impossibili. Producete con consapevolezza, producete da uomini, e non come atomi sparpagliati ed incoscienti, ed eccovi liberi da queste antitesi al'tiflciali ed insostenibili. Ma fln tanto che seguiterete a produrre in modo così in– consapevole, inintelligente, in balia del caso fortuito, le crisi non cesseranno; e ogni crisi successiva sarà pit'1universale e pit'1perniciosa, getterà nella mi– se1•ia un numero sempre maggiore di piccoli capi• talisti, aumenterà con progressione saliente la classe che vive del solo suo lavoro - e cosl, ingrossando a vista d'occhio la quantità di lavoro disoccupato, che è il problema capitale dei nostri economisti, finirà per provocare una rivoluzione quale la sa· pienza scolastica degli economisti è ben lontana dall'imaginare. La perpetua altalena dei prezzi, prodotta dalla concorrenza, distrugge l'ultima traccia di moralità che pote\'a essere rimasta al commercio. Di valore non è più. da parlare: il sistema che sembra an– nettere tanta importanza al valore, che fa l'onore di attribuire una esistenza speciale all'astrazione del valore nella forma della moneta - lo stesso sistema distrugge, con la concorrenza, ogni valore inerente alla cosa, e di giorno in giorno, di ora in ora, muta il reciproco rapporto di valore delle cose. Dove rimane, in questo turbinio, la possibilità di uno scambio fondato su principì morali Y In questo perpetuo sottosopra ciascuno dee pro– curare di cogliere il momento più propizio per la compra o per lo smercio. Ognuno dee farsi specu– latore, ossia mietere dove non ha seminato, arric– chire dell'altrui perdita, calcolare sull'altrui disastro, o lasciare che l'accidente lavori a suo profitto. Lo speculatore calcola sempre sui disastri, specialmente sui cattivi raccolti; egli si giova di tutto, magari (come avvenne a suo tempo) dell'incendio di New York; e l'apogeo della immoralità è la speculazione di Borsa, colla quale gli eventi storici, e con essi gli interessi dell'umanit..\, vengono fatti strumento di soddisfazione della cupidigia degli speculatori,cbe sanno calcolare o che sanno arrischiare. E non assuma, per carità, il probo e e solido » negoziante, la posa farisaica di dir male del gioco di Borsa. Egli non val meglio del borsista, egli specula come lui e deve speculare, poichè la con– correnza ve lo costringe, e il commercio di entrambi implica Ja stessa immoralità. La verità dei rapporti della concorrenza è il rapporto fra la forza di con– sumo e la forza di produzione. In uno stato degno dell'umanità non vi sarà altra concorrenza che questa. La collettività dovrà calcolare quanto può produrre coi mezzi che ha a disposizione, e, in base al rapporto fra questa forza di produzione e la massa dei consumatori, stabilire di quanto deve aumen– tare o scemare la produzione, di quanto aumentare o limitare il lusso. Ma per giudica1•econ conoscenza di causa di questo rapporto e dell'aumento di forza produttiva che si avrebbe in una società razional– mente ordinata, vedano i miei lettori gli scritti dei socialisti inglesi e in parte anche quelli di Fourier. La concorrenza soggettiva, la gara fra capitale e capitale, fra lavoro e lavoro, ecc., sarà allora ridotta a quella emulazione che ha fondamento nella na– tura uma11a e della quale finora il solo Fourier seppe trattare abbastanza bene: una emulazione che l'abolizione degli interessi antagonistici con– terrà nella sua propria e ragionevole sfera. (La fi,rc al p,·ossimo numero). F. ENGELS. L'ETICA INDIVIDUALE NELLA SOCIETÀ CAPITALISTA I. Il Lorla nel suo libro Lu bases eco,wmiques de la con.slilution sociale dimostra come, alla. stessa guisa della.religione, del diritto e dell'ordinamento politico, anche la morale scaturisca dall'assetto economicopro– prio di ciascun periodo sociale e su di esso si modelli. E osserva.che e in quelle formeeconomichenelle quali un uomo può cercare il vantaggio suo a. scapito di un altro, l'egoismo usurpa.toro non conosce freni e si ab– bandona al ph\ terribili eccessi verso la. classe sog– getta:.. La conseguenza no ò che nella. società cnpitalista una morale coerente, sincera.,o veramente elevata non può svilupparsi. Ciò che il Lorla afferma in riguardo sopratutto della morale sociale, cioè delle regole di condotta che reg– gono i rapporti degli individui tra loro, si può asserire

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