Critica Sociale - Anno I - n. 17 - 30 novembre 1891

262 CRITICA SOCIALE nimo di Liben,, gli aveva replicato in ,·crsi nel giornale Il Hadicafe, o gli a,·ova. mandalo la replica, sottoscri– vendola col proprio nomo o cognome. A quel primo invio il Carducci aveva già. risposto una. prima lettera, satura. d'impropcri, minacciandolo tra il sì o il no d"un processo di calunnia. E poichò il ?farcii rispose, spiegan– dogli modestamente il sentimento suo, il poeta. senatore ribaltò come seguo: Dologna, !'! noTembre. V. s. dorrebbe 1apere che un galantuomo ,ion p,-occtk contro lttt~ 7>1'fr:atc. Hlla, nl ,omo, ,~ la rea ,·etorka. contra,ra. ca– luun,o,amcnu, la ,,orla. Cnr11.t1ere lo ttc ho pf1ì di Lor Signori Arcacll retori; per tlnct,1t6 •Mo t jf.1c11td Il rc,to. Potcr:ooo– ctc,·nula, bareamemmclo. Vate f Ma io non fo a cun•latm1D; 10 10110 un ~,11t1tore. Hducatore f Ma cllf duo td«care f Farl"f come quel J')or::tr'uomo c11a lar:ata la re,ta au•a,tno. Caro ,111nor·e. La 1alu10. OIOSllÈ CA P.PllCCI. L'odo del signor Giusoppo Nardi - non abbiamo dc• siderio di cola1·lo- era nssolutamentc mediocre; la. sua. leltcra. non avevo. neppur essa gran va.loro loltc– rarioi non lo trascriviamo inlcgraJmento pcrchè non ò della ragione o dol to11.0 1 diremo così, ùi selle di 11ie1·ito, cho ,•oglinm disputare. Ma e poesia o loltera erano la sincera. riproduzione di ciò che al leggere l'ode e La Guel'ra » avevano pensalo, dotto o anche stampato la più gran parto degli italiani che si occupano di coteste cose. Il solito lamento porchò Carducci non si Ispiri più, come un tempo. ai sentimenti che ranno vibrare l'anima di un JlOJ>olo,ma si compiaccia in quei freddi mosaici di f) ·a.si e di imagini cln.ssicho che sono, ai J>iù, logogrifi o c ho, a nche spiegati, non suscitano veruna grande o rorto comJ>iaccnza morale. Questo lamento hanno gettalo spccialmcnlo gli antichi ammiratori del 1>oeia.l?nmmarico o rimprovero d'amante che al tem1>0stesso 1rnngo o lusinga.; o al qualo ogni animo ben rallo risponde, noi peggior dei c. .1.si ,con umnna. indulgenza. Non così il soni\toro Carducci: egli si sento sa.lito così alto, elio si atteggia, naturalmente, in una. posa da se– midio, senza M•oro sospetto di (1uanlo essa. sia buffa cd esilamnto in un tempo, in cui lo leggendo di Caino cd Abele, allo quali egli ha l'aria di credere quando si metto a rar versi, non sono più narrato sul serio nep– ()Ul'O ai bambini. Egli sembra. rn·cr r.ttto sua divisa. il molto oraziano: odi 1wofamnn ·~ulgu1, o lo ra. sentire in ogni suo sc1· itto, in o gni suo gesto, come quei 110bi• lucci, già da. lui rrusta.ti a sangue nella.e Co,umlla .1ral• dica», che ostento.no lo stemma di famiglia. sui piatti, sullo portie l'e, sullo d iviso dei servi, J>crsinosullo smalto doi polsini; egli cho puro cantò in altri tempi anche la e santa canaglia.» o no ebbo ranm o gloria. o il J>rincipio di quella. polenta morale per la. qua.lo impose rispetto RI gorn,·no fin da quando il go,·e rno cm l'antica destra. o lui era, o 1iarovn 1 giacobino. Ma no, ;_tbbiamodello malo che egli e cantò ». Egli non e camò • nulla, secondo c'insegna. egli stesso nella ]>rima sua lettera al Nardi: - e No, io non ho ca,uato nò canto (come dicono accademicamonto Lor Signori Arcadi, anche quando abbaiano rivoluzionariamente) io non ho cantalo, nò canto lo cose bello e le coso brutto eho Vostra. Signoria dico.» - I corsivi sono noi toslo. - Sembra dunque cho dall'al'ma vfrumque cano lli ,·or– gilio, o da prima di Vcrgilio, fino al Tasso e all'Ariosto o a tutti quanti i maggiori t>ootiche dissero e cantaro» il detlat·o versi armoniosi, tutti han detto male, ad av– viso dol poeta. sonatoro, tutti hanno parlato da Acca– demici o da Arcadi. E da cho pulpiti, gran dio, ci Yieno B1b1otecri Gino B1a o il richiamo o.Ila naturalezza del dire! Da uno che ha rovescialo nella poesia italiana, in J>ieno secolo de('i– monono, o.nzi ancora sullo scorcio di questo secolo, tutto un arsenale di rollami mitologici rugginosi, di rormo arcaiche, di indovinelli dt\ decil'cr·at'Sicon la chiarn di un vecchio calepino. Ma non fermiamoci allo minuzie: concediamo ai poeti la innocua l"anifa di far roriginale. E il rondo dello coso che vogliamo J>iuttosto consta.– lare. E lo vogliamo, non per ira o per odio. rnrso il Carducci, di cui fummo, anello so gli spiaccia., o se, come ò J>iù 1>robabilo,non glie ne imporli affatto, di– scepoli osse(1uonli flnclfogli non si tolse di tro1>1>0 dalla via cho ci 3.\'0\'0.indicato come la sua; nò, meno an– cora, por amore del signor Na1•di 1 che neppur cono-– sciamo. l,0 vogliamo pe1•chòci ò di conrorto - benchò sia cosa tristo in sò stessa - il constat:u·o quale animo si accompagni tL corto conversioni. L'abiura cho pub allearsi con tanta o cosi inru.ntilo Jllnlealità di senti– menti qua.lo la lettera. del poeta rivela., J>crdo o,·iden– lomcn to, o a gli occhi dei vecchi amici o dei nU0\ 1 i 1 ogni capacità. di dcstnro o rnmmnrico o compiacimento. Himano un fatto 1>uroo semplice o di precoce inrn– luziono senile o di arresto di sviluppo morale. Può in• toressare la.patologia., non rartc, non la 11sicologiao nep– pure la politica. ~~ s,•cntura privata, non di una na– zione nè di un partito. Percllè, a parto la villania o la burbanza della rorma - lo quali non erano alTatto giustificate, in uomo cosl bono o cosi alto locato, dngli scritti, por quanto poveri, del sigllOr Nardi, cui la stessa relativa oscurità. doveva essere dire sa - cito cosa. \'i pare, o lettori, di quella. ripicchia.la sacripantoa.: - e Carallci·e, io no ho più di Lor Signori • 1 Noi abbiamo visto litigare beceri o trecche; la. roz– zezza rcroco doll'apostroro 1 dcll'invetlirn., del lazzo 1>otò spesso farci rnccnpriccio; ma. solo t.ra ragazzi di scarsa IO\'l'\tura abbiamo udito rimbeccato così misero. e Potevo godcl'molt\, ba.rea.menando.» - A volere schormoggiaro di volgn1·ità 1 si sarebbe tentali di rispon– dergli: Vi pentito, prorcssoro, di non averlo fatlo1 Non ,,i basta t1·ossoro sonatore, commendatore, poolaoramai la.urca.tot Che cosa J>Otovatoguadngnaro o cho cos,~ perdere di J>ill,bnrcamcnanclo1 Ah! sì; si capisco che vi dolga il molto che avolo per– duto o che vi irriti ressero chiamato e vate•· Assai male, inratti, vaticina.sto, so la carriera vostra dornva. Oniro lm questi dispotlucci 1rncrili. A un ciarlalano 1 che lo rosse da,·vero, non la J>0teYafinir peggio. Ma il J>ror.C'a.rducci,\·o lo dico egli stesso, e non ò• nn ciarlatano •· No 1 egli - ò scm1>ro lui a nan-a.rlo - è e un pensa toro». A cho 1 di elio pensa 1 Non parlategli, per pietà, di concolti o di intenti educativi. Infatti, e chi dovo educare »1 v·ò qualcuno, al mondo, degno di es– sere educalo da lui t Vi ò qualcosa ancora in lui che 1>ossa. ser\'Ìro nd educazione di altri, A questo egli, penso.toro, non pensa. Pcns..'\ dunque ai NovissimU In vorilà quello sua chiusa. di lctlom ci ra sovvenire un·uscihl del nostro Forra.villa.,che non ò, o almeno non si dice, un pensatore, tutt'altro: e E o.l• lo1•;_L suicidiamoci tutti, o elio I.i sia finita!» - So i pooli non han d1Lcantaro, so i proressori non han da oducnro, so lutto si riduco a lavar la tesla alrasino sprecando il ranno cd il sapono, o che ci stanno a raro i pensatori al mondo 1 li povero HO\'ani, quand'era. già. mozzo istupidito dnl· rnlcool e non lavora.va più e stava le intero giornate a. guardare noi vuoto, agli amici cho gli dicevano:

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