La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 30 - 6 agosto 1908

(27) APPENDICE 29 LA. VITA TUR130liENT1 DI rtpumoNoo gENIDERsorsi — E' finita, mi sono detto. Non posso più lavorare. Mi si è ingorgata la gola d'angoscia. Avallavo nella di- sperazione. Mi sentivo perduto. L'uomo sul quale avevo buttati i miei improperii aveva due volte ragione. Io ero un buono a nulla. La letteratnra non era pane per i miei denti. Non c'era base in me su cui edificare. I miei edi- fici intellettuali potevano essere rovesciati con una buf- fata di Ercolani. Presi il cappello e me ne andai senza dire una parola a Rosa, col fascicolo delle correzioni in saccoccia, accen- dendo una sigaretta sul marciapiede, passando a _passi frettolosi dalla via S. Paolo, senza badare alla bottega dai vetri foschi del mio ex padrone. Odiavo i libri. I libri erano la sfortuna degli uomini che li leggevano. In- tristivano, immalinconivano e mettevano nella testa tante fole che poi nessuno sapeva sloggiare. Per i tempi che correvano era più utile morire sulle barricate come Bau- din che scrivere un libro. Si acquistava la posterità in un attimo. Lo stesso Vic- tor Hugo non sarebbe forse il grand'uomo che è se non fosse stato l'avversario di Napoleone III. E' l'atto virile che piace -alla gente. E' la sua resistenza di deputato che gli ha eternato il nome. Chi muore per la libertà della patria è eroe. Chi manda in pubblico un volume è un presuntuoso, un vanitoso, un bottegaio se se lo lascia pa- gare o un cretino se lo stampa a sue spese. Camminavo e dicevo che preferivo l'uomo d'azione al- l'uomo del calamaio. L'uomo del calamaio, continuavo a monologare, è un poltrone che mette sul mercato la pro- pria boria, la propria saccenteria, la propria lambiccatura, ch'egli chiama svergognatamante cerebrale. No, no, il

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