La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 30 - 6 agosto 1908

i l Perché domando la grazia per Pietro Acciarito e per Giovanni Passanante Mi spiego. Il mio concetto non è punitivo. Ma se lo fosse vorrei che la giustizia cessasse, dopo il processo, di tribolare ii condannato al supplizio della reclusione. Perchè il condan- nato non dovrebbe ispirare nè odio nè disgusti né orrori nè vendette. Vorrei che fosse considerato un ammalato, un disgra- ziato, una vittima dei suoi istinti e delle sue debolezze cere- brali. Se dovessi fare qualche cosa per lui lo circonderei di pietà, di benevolenza, di compassione, di commiserazione. Gli darei una mano nella espiazione. Lo aiuterei con ,la parola del perdono a sopportare la sentenza nell'isolamento del sepolcro dei vivi. Invece la nostra giustizia è insaziabile. Il condannato lo imperversi,. Tutti i suoi istrumenti vivi sono per torturarlo, per martirizzarlo. Condannato lo sottopone alla sbarbatura e alla tosatura, lo insacca in una l e'a o in una lana orrida, a larghi risoni colorati come se fosse un clown, lo sbattezza inchiodan- dogli sul cuore il numero di matricola per sopprimerlo e farlo diventare una cifra o delle cifre e poi lo chiude in un cubicolo, in una tana nera, bassa, umida, scrostata, lunga due passi e larga uno e mezzo e ve lo lascia con una brocca d'acqua e una coperta per sdraiarsi su quattro spanne di lastre di pietra in- fisse nel muro. Poi lo spia, poi lo atterrisce con l'ombra all'oc- chio di bue al dentro dell'uscione, poi non gli dà requie con le battiture ai muri e alle inferriate, poi non Io lascia dormire andando a visitarlo tre volte per notte, poi lo sgrassa, lo smagra, lo ischeletrisce con la dieta studiata scientificamente per lasciargli sempre nello stomaco un punto interrogativo che traduca la sua impazienza famelica. Egli soffre, egli piange, egli si dispera senza sgelare il cuore di alcuno. Intorno a lui non ci sono che giustizieri. Direttore, capi guardie, sottocapi, carcerieri — i terribili interpreti del regolamento — non pensano che ad aggravare i suoi dolori con le umiliazioni, con le tracotanza, con i castighi dell'asti- nenza, con la coercizione opprimente della camicia di forza — quella nuova, che pare il finimento di un cavallo — con le violenze, con le punizioui corporali. Lo si imbecillisce, lo si istupidisce, lo si obbliga a discendere fin dove è l'animale, fin dove è la scrofa, fin dove non c'è più ripugnanza neanche per i proprii escrementi. Tutti sono feroci. 11 cappellano è il ga- leotto della sua anima. Il medico è il galeotto del suo corpo. Da loro non ha aiuti nè spirituali nè dotte eschi. Egli è carne d'ammazzatoio. Ma non lo si finisce con il colpo di mazza. Non gli si conceda l'esecuzione capitale. La giustizia italiana vuole che muoia lentamente, a colpi d'ago, a colpi di spillo. Ne sono

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