La Nuova Commedia Umana - anno I - n. 15 - 23 aprile 1908

16 fatto è questo: che il bambino del macellaio del Poggio ha preso il posto del marmocchio bruciacchiato senza che poi, più tardi, Carlo Alberto, il padre, si sia accorto del cambio. Il nuovo Vittorio Emanuele era un masehiotto rubicondo, vigoroso, tur- bolento che graffiava e morsicava i capezzoli della nutrice. L'ambiente diverso non gli ha fatto dimenticare la sua classe. Egli è rimasto il figlio ilel macellaio anche sul trono. Coni si capiscono i suoi gusti, le sue credenze religiose, i noi pregiu- dizi, il suo linguaggio dialettale, i suoi compiacimenti per la vita paesana, la sua disoecupazione giovanile, i suoi bisogni di domare i suoi istinti plebei con gli esercizi e con le caccie, la sua vita spendacciona, la sua voluttà per le ragazze polpute, per te contadinotte, per le loie di stalla e per quelle che gli portavano con la freschezza degli anni gli odori acri degli ambienti in cui vivevano. I profumi signorili lo indispettivano. Un giorno che i regi ruffiani si sono permessi di portargli nel- Falcova una ragazzotta alla quale avevano fatto subire il bagno per pulirle la pelle è andato su tutte le furie. Egli la preferiva come l'aveva veduta in montagna. Un altro segno che Vittorio Einannele è uscito dall'utero della macellaia è la scontrosità che esisteva tra padre e figlio. L'uno non vedeva volentieri l'altro. I biografi di entrambi re- gistrano i loro risentimenti. Il padre, pur sapendo che il figlio doveva essere il suo successore, non gli ha mai permesso la menoina partecipazione agli affari di Stato e il tiglio, scapolo o ammogliato, non gli è mai piaciuto il palazzo. Cercava i suoi svaghi lontani dalla reggia. Passava il suo tempo in montagna, per le paludi dietro alle anitre selvatiche, a cavallo nella sto- rica giacca di velluto, dall'ampia tasca alla « cacciatora », sotto il cappello alla Emani, o nelle abitazioni dei suoi cacciatori dove trovava cacio, pane e vino e fanciulle della sua fantasia. Dal disastro di Novara è uscita la sua ascensione. Ha incomin- Mato subito a essere schietto. In una lettera a qualche diplo- matico diceva: 010 non ho desiderato il trono e speravo salirvi il più tardi possibile, poiché non ho nessun gusto per quel mestiere che è poco piacevole, ed ai tempi che corrono poco facile ». I suoi primi passi di persona coronata sono accompa- gnati da episodii di cattivo augurio. Mentre saliva la scala del palazzo Madama per andare nell'aula senatoria a prestare giuramento di fedeltà alla nazione con un gruppo di deputati e col Menabrea in divisa ci colonnello del genio, è caduto uno dei-rosoni della vòlta che pesava alcune diecine di chilogrammi e che è mancato poco gli andasse sulla testa. Subito dopo, la famigerata ragione di Stato gli ha fatto firmare la sentenza di morte contro il generale Girolamo Ramorino, fucilato come traditore per la sua disubbidienza agli ordini ricevuti durante la disastrosa guerra di Carlo Alberto. Il proclama del re, detto di Moncalieri, ha fatto perdere il posto di direttore della Gaz- zelt,z Ufficiale a Felice Romani, perché, in esso erano state

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