Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia - n. 4 - giugno 1976

Israele ha voluto salvarsi secondo le opere. Dunque giustamente essa è stata ora esclusa dalla fede in Cristo. Ma non diviene così la fede un'opera? Non siamo caduti di nuovo dalla posizione teologica del problema alla sua posizione morale, etica? Paolo non può accontentarsi di questa pacifica conclusione morale della questione, e ri– propone di nuovo interamente tutto il problema, scontento delle soluzioni che ha accettato: « Dunque Dio ha rigettato il suo popolo? Non sia!» (11, 1). Con ciò tutto il problema è riproposto: non è solo Israele ad essere il popolo di Dio, ma « kol-Israel », tutto Israele. Ma la prima risposta che viene è ancora legata alla teologia del « resto d'Israele »: gli ebrei credenti sono il resto d'Israele, Dio non ha rigettato il suo popolo en bLoc, perché vi sono dei giudei credenti in Cristo, tra cui Paolo, Israelita, discendente d'Abramo, della tribù di Beniamino. Ma questa via si rivela di nuovo senza uscita: il « popolo di Dio » nel suo insieme appare respinto. È al versetto 11 del c. 11 che Paolo imbocca finalmente la « via reale » della soluzione. Occorre rimuovere definitivamente il rifiuto di Israele dalla sfera etica, cioè dall'ambito delle responsabilità di Israele, ed inserirlo defini– tivamente nella sfera teologica, nell'ambito delle scelte di Dio. « La caduta dei giudei ha permesso ai gentili di entrare ». Con ciò un passo avanti è fatto, perché appunto si è entrati nella sfera del disegno divino. La « caduta » di Israele non è una caduta assoluta, ma anch'essa ha un suo senso. Non occorre, per Paolo, comprendere le ragioni del Mistero divino: occorre solo compren– dere che il Mistero è la ragione di un fatto. Se è così, si può dedurre da un fatto un altro fatto: come vi è nesso tra la caduta di Israele e l'inserimento dei gentili, così vi è un nesso tra l'inserimento dei gentili e il reinserimento di Israele. Il versetto 11 collega i tre fatti: « la caduta (dei giudei) ha per– messo che la salvezza sia offerta ai gentili, affinché quelli, i giudei, ne siano gelosi » ( cioè: per eccitare nei giudei lo zelo di Dio). Il riferimento a Deuter– nomio (32, 21) è chiaro: « Essi mi hanno reso geloso con ciò che non è un Dio ... io li renderò gelosi con ciò che non è un popolo ». Paolo non dà qui una de– scrizione di psicologia collettiva, ma intende stabilire un nesso tra l'inseri– mento dei gentili e il reinserimento di Israele. Il vedere lo zelo dei gentili per il Dio d'Israele susciterà un nuovo zelo di Dio nel « suo popolo ». Che cosa intende Paolo con parazéloo? Sembra appunto che non possa in– tendere altro che lo zelo di Dio, il qanah da cui deriva, sull'esempio di Pinas nel libro dei Numeri, la figura dello zelote, zelante della legge di Dio. Ma si tratta invece di eccitare lo zelo non per la salvezza che viene dalla legge, ma per quella che viene dalla fede. Si tratta di un rovesciamento dello zelo per il culto, che aveva reso Elia una forza per Israele. È il concetto dello « zelo per il Dio Sabaoth » che è ora mutato in Paolo, uno zelo che accetta di ricevere il Dio vivente dalle mani della « pienezza dei gentili» divenuta credente. In questo senso l'accecamento di Israele è destinato alla purificazione di Israele, così che essa possa guardare al « suo Dio» con occhi nuovi e invocare il nome del Signore in modo da essere salvata. Lo zelo per Dio cui Israele è invitata 5 bibliotecaginobianco

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