Giovanni Grave - La società morente e l'anarchia

- 191 - che· i timidi e i timorati deplorano, mà che secondo noi non sono altro che una prova del progresso delle nostre idee. Predicare la rassegnazione agli sfruttati significherebbe fare il giuoco degli sfruttatori; perciò lasciamo quest'incarico al cristianesimo, di cui è la vera funzione. Non è rassegnandosi e limitandosi a sperare, che si potrà cambiare la situazione, bens\ agendo; ora il miglior modo di agire consiste nel!' eliminare gli ostacoli che ne intralciano la via. Per troppo tempo gli uomini si sono prosternati innanzi al potere, per troppo tempo hanno attesa la loro redenzione da salvatori provvidenziali, per troppo tempo han creduto all'efficacia dei cambiamenti meramente politici cd all'utilità delle leggi. Il mettere in pratica le nostre idee esige uomini coscienti di sè e della propria forza, che sappiano far rispettare la loro libertà senza rendersi tiranni degli altri, che non s'aspettino nulla da alcuno e _tutto da sè stessi, dalla propria attività ed energia. Coscienze simili non si formeranno, che predicando agl_iuomini la ribellione e non la rassegnazione. Del resto l' idea anarchica non respinge affatto il concorso di coloro che, non avendo disposizione per la lotta attiva, si limitano semplicemente a seminare idee, e preparare l'evoluzione futura; e non pretende neppure che si accettino tutti i suoi concetti nel loro insieme. Tutto ciò che sgretola u~ pregiudizio, che distrugge un errore, che proclama una verità, rientra nel dominio dell'anarchismo. Gli anarchici non disdegnano l'aiuto di alcuno, non respin~ono I)eS$1Jn~ è, lioteca Gino B1dnco

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