Giovanni Grave - La società morente e l'anarchia

- 155 - gno di maggiore elevatezza· d'ingegno, per distribuire a costoro gradi e stipendi; nel tempo stesso serve··a saziare. le ambizio_ni malsane di coloro che tradiscono la çlasse da cui sono usciti, per farsi i suoi ·guardaciurma. Ora, eh.e c' importa a .noi della patria di costoro, delle loro frontiere e delimitazioni arbitrarie fra i popoli? Questa patria· ci sfrutta, queste barriere ci soffocano, questi nazionalismi ci sono estranei. Noi siamo uomini, cittadini dell'universo; tutti gli uomini sono nostri fratelli: e il nostro solo nemico è il padrone che ci sfrutta, che ci impedisce di evolvere liberamente, di s11ilupparci in tutta la pienezza delle nostre forze. Non vogliamo più servire da giuo• . cattoli a questa gente, farci i difensori dei suoi privilegi, lasciarci imporre la livrea degradante del suo militarismo, curvarci al giogo che abbrutisce della sua disciplina. Non vogliamo più tener la testa bassa, ma rialzarla ed essere alfine uomini liberi. Vorremmo poi dire una parola ai lavoratori, ai poveri diavoli destinati a cadere sotto i colpi della legge militare; essi che leggono, nei giornali, il racconto delle ingiustizie commesse contro vittime che furono così ingenue da lasciarsi arruolare, non vorranno essi rifletter seriamente sulla vita che. li attende. in ca- · serma? Anche coloro che non avessero neppure unaidea della vita militare, -o la conoscono solo attra-. verso i fumi d' incenso bruciatogli innanzi dai poeti,· si convincanp della verita che diciamo, e :compren-. • dano. quale infamia ·commettano questi scrittori bor-· ghesi che hanno ma~nifi cato su tutti i toni le virtµ lioteca Gino Bianco

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