Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

146 CONCLUSIOJ.'H!. Dove andiamo? ardua inchiesta è questa seconda, innanzi a cui ogni acume, ogni sperienza dovria smarrire! nondimeno lo stato preseute può s~ggerirci alcune probabilità; e sarà utile il raccoglierle, almeno perchè uua discreta antiveggenza nelle speranze e nei timori che ci circondano, possa segnare una via di azione a q~1alunque nou si creda poter provvedere a' càsi suoi col non far niente. Ma mi si cont'eda di universaleggiare le probabilità sulla Italia , consideraudole iutrecciate con quelle che sembrano maturarsi per tutta Europa. Stimi amo che la Società cris!iana, da tre !ìCcoli fuorviata dall'indirizzo avuto dalla Provvidenza, sia vicina a l'ientrare nel male abbandonato suo cammino. Se ciò è vero, le moderne acitazioui europee non sarebbero che foriere di quel fdice riordinamento. Il cristiano incivtlimt>nlo di tutta intera la umana fami5Jia è certo un effetto a compiersi iu11anzi che questo dramma mondiale riceva il suo compi· mento. Allli questo t>fft>tto vuoi con\!tiderarsi · llOn solo come compreso forse per ultimo negli ordiui del tempo, ma come primo, come sovrano nelle inlenzioni dell' ordinatore supremo. Ora )a religione e la civiltà, non potendo gt>rminare come pianta indigena e spontanea in nessuna terra, di Dt'· cessità un popolo cristiano e civile deve crislianeg· e iare e incivilirE> un popolo barbaro e senza fede. All'Europa dunque, non ad altri che all'Europa ,

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