Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

130 DRITTO E DOVl!RI! ne, che non nella guerra malausurata coll 'Austria . Egli non ci volea più che imporre di ritia·ai·si ai faziosi che imperiavano nella Came•·a toa·inesc, perchè il posto usurpato da un partito fosse occupato da una Camera vea·amente nazionale , e forte del suffrag·io non di quindicimila eleltori, ma di un milione di cittadini, quanti ne contano le dodici centinaia di migliaia di famiglie negli Stati sardi. IJ non aver fatto questo, l'essersi lasciélto portare dal grido delle piazze, e dalle pretensioni dei clubs, a lui ed al suo paese ha fatto pagar troppo caro H titolo di pater patriae onde l'ipoc rita adulazione salutavalo. Le migliaia di vite mietute sui campi di Cuslozza e sotto le mura di Verona; il pubblico erario espilato e che dovrà rimpinguarsi dalle private fortune; lo scandalo di una persecuzione religiosa sotto un Principe cattolico; le diatribe anti· papali che si stan facendo nelle Camere torinesi; diatribe di cui oggi vergognerebbero la dieta di Francfort e l'Assemblea di Parigi, e che alla eterodossia ereticale e comunistica aggiungono lo st!hifoso ed il ridicolo della più codarda ipocrisia ; lo scadimento morale, conseguenza di quella persecuzione, P oppressura sotto cui geme la vera nazione, la maggioranza degli onesti cìttadini; ma soprattutto la immensa responsabilità innanzi a Dio e innanzi agli uomini, ecco i frutti che sta cogliendo il Piemonte dalla maravigliosa e tutta filantropica toller anza nel non avere imposto silenzio a un branco di scolari discoli e di avvocati falliti che ) st ravolti

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