Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

110 LA MAGGIORANZA bertà , quando poterono trasformare in legni i più bizzarri loro capricci; a tog-liere la volontà del popolo come supremo giudicatorio di tutti i drilti , qnando poterono qualificar per popolo quel pug-no di fanatici o miserabili ragg-ranellati lot'O atlOI'DQ dal favore o dalla pecunia, e delle cui voci essi erano arbitri niente meno che delle proprie. E tutto questo, come dissi, va da se, è naturalis:;imo, sono le necessarie consee·uenze delle rivoluzioni , atteso la qualità delle persone che le fanuo ed i fini perchè si fanno. Or questo è un punto trepidissimo e tremendo per una Società nel cui mezzo una rivoluzione anche utile sia seguita; è un punto dal quale dipendono i suoi destini, e potrebbe eziandio dipendere la sua vita. Perciocchè se la gente onesta trova buono il fatto, lo accetta sicuramente e vorrà applicar l'animo a giovarsene modificando, se vi piace, non pure le istituzioni, ma anche i propri sensi. Che se i buoni si cangiano in quel che non erano, i' tristi restano in tutto e per tutt'o quel che eran:> , cioè rivoltosi, e che non possono che volere il torbido e il buio per pescat·vi qualcosa. Quinci la suprema necessità di sequestrarli dal potere, ca<;o mai lo avessero invaso; e ciò sotto pena di tirannide demagogica. Se una mano di facinorosi ti aiutasse a spegnere il fuoco appiccatosi alla tua abitazione, tu certo ne saresti loro riconoscente; ma a troppo caro prezzo ti venderehbero il loro serv1g10, se ti si volessero piantare in casa ,

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