Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia

106 LA IUAGGIOitANZA veuivano alla loro volta a imbarazzare i computisti del le finanze, che distribuivano per ora e per minuti le quote di soldo a questa serie di Minist•·i . Bastò comperare un po' di g·entame che strillasse in una piazza di voler un romanziere od un abbate per c<J po di un l\1iui stero, perchè un Principe si dovesse ing·oiare l'onta di metlersi Ofm:i al fianco cui ieri aveva proscritto, e perchè un paese cattolico e civile fosse condannato al danno ed alla vergogna di essere g-overnato per uua delle teste le più balzane, o per un libellista calunniatore, che basterebbe esso solo a formare il vitupero di uua nazione. Le assemblee medesime dei •·appresenlanti che dovrebbero essere la vera espressione del popolo, che possono leg·almente e debbono sostenerne i dritti, di~hiararne i desiderir, provvederne i bisogni, queste assemblee, dico, a che si sono ridotte nella Italia costituzionale? possono guardarsi altrimenti che come esclusiva espressione di un pdrtito? E se fosse vero che sopra dieci elettori non si è presentato all' uma che un solo, l a mag·- g·ioranza, il vero popolo un solo voto vi avrebbe espresso, e questo è che non ha fiducia nel Governo, che non vuoi sapere di rappresenta11ze popolari, uon perchè le piaccia )'assolutismo, ma perchè dalle rimembranze passate e dallo sperin•ento ]JI'esente è convinto, che i suoi rirrene r atori non mi•·ano che ad opprimt>do , che a vio leutarne fino i propri sentimenti e la coM.: ie uza.

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