William Morris ed i suoi ideali sociali

BIBLIOTECAMENSILE dellaCooperazione e d llaPrevidenza = 1914 Settembre ..... ·; ......... ~·., ........................................................................................ WILLIAMMORRIS ED I SUOI IDEALI SOCIALI Traduzione dall' Inglese di CAMILLA POGGI DEL SOLDATO EDITO A CURA DELLA LEGA NAZIONALE DELLE CooPJERATIVE i.: OELLA FEDERAZIONE ITALIANA DELLE Soc1&TÀ 01 M. S. MILANO • Via Paoe, 10

BIBLIOTECA MENSILE dellaCooperazieodnellaPrevidenza WILLIAMMORRIS ED I SUOI IDEALI SOCIALI Traduttone daUt tnrtae di CAMILLA POGGI DEL SOLDATO :!':DITO A CURA DIELLA LEGA NAZIONALE DELLE COOPERATIVE E DIELLA FEDERAZIONE ITALIANA. DELLE SOCIETÀ DI M. S. Mll)ANO • Via Pace, 10

TIPOGRAFIA. COOPERATIVA COlll~NSlii « A1UST1D.Ii: BARI lt,

WILLIAM MORRIS ED I SUOI IDEALI SOCIALI }i'anciullezza. William Morris, l'artista che si gloriò di chiamarsi operaio, nacque nel 1834 e morì nel 1896; il periodo più fecondo della sua vita cli lavoro si svolse dunque nella seconda metà del diciannovesimo secolo, e cioè nel momento più ascendente del commercialismo. Erano, per l'Inghilterra, tempi di pace e di prosperità; gl' industriai.i s'avvantaggiavano grandemente delle scoperte avvenute nel principio del secolo: ferrovie e piroscafi davano impulso vigoroso ad ogni commercio. Peraltro, il lungo regno d'una sovrana, virtuosa ma d'idee molto ristrette, favoriva l'orgoglio degli abbienti e la foro presunzione volgare; la ricchezza quindi cresceva, ma sempre più mal distribuita •epeggio spesa. La famiglia di William Morris viveva agiatamente in campagna, sul limitare della foresta di Epping. Da"lle finestre della casa, vecchia e spaziosa, si godeva la distesa delle praterie di Essex, si vedeva il Tamigi scorrer lento e tortuoso fra i terreni impaludati; e tutto, intorno e dentro l'abitazione, era improntato a quella grande

pace, a quella profonda poesia della casa, che, nel senso più dolce e santo della parola, gl'inglesi chiamano homc. A quattordici anni fu mandato a studiare a Marlborough; ma non prese mai mo'lta parte al chiasso dei compagni. Non era un appassionato di giuochi e di scherzi; stava volontieri solo a fantasticare, oppure si compiaceva di raccontare ai compagni lunghe storie « di cavali·eri, di magi e di fate~. Era un bel ragazzo, robusto e tarchiato, dal colorito vivo, dai capelli neri e ricciuti, buono di cuore, gentile cli maniere, benchè facile alle col'lerc violente. Amava far lunghe passeggiate in campagna, e raccoglierè uova d'uccelli. Non stava in ozio mai; in mancanza di meglio da fare, intrecciava cestelli di git1nco o fabbrica va reti da pesca. Tale il ragazzo tale l'uomo! Queste sue curiose caratteristiche si ritrovano poi costanti in tutta la sua vita: poeta senzé~esser nè sognatore, nè distratto; paziente ed industrioso; gentile, buono, ma pronto alla collera; amante della solitudine pur a.mando grandemente i suoi simili. Non si trovava veramente bene che nella sua vecchia casa. « Sono sicuro che mi giudicherete uno sciocco », egli scrive alla sore'lla, « perchè non faccio che pensare a casa; ma non mi. riesce altrimenti; non è colpa mia se ho tanta voglia di rivedere voi e la casa, di racconta.rvi taJ1te cose, e cli ritrovarne, costà, tante che mi son care! » Ad Oxford: amicizie e gusti artistici. Se è vero che in tutta l'opera di William Moris è facile rJntracciare l'influenza di q1iella sua dolce fanciullezza tras·corsa nella vecchia dimora fra i-I bosco folto ed il verde piano, è pur vero che soltanto ad Oxford egli capì sè stesso, e s'indirizzò per la via che più si confaceva all'ingegno suo.

5 Nel collegio universitario a cui si ascrisse (Exeter) e proprio fra i suoi compagni di classe, egli ebbe la fortuna d'incontrare un vero amico., che tale restò per tutta b vita. Tra William Morris e Bnrnes-Jones, non fo la simpatia che s'accende così facilmente fra compagni di ~cuoia, e che -la vita, il più delle volte, spegne d'un tratto; fu l'amore saldo ed elevalo che unisce due spiriti degni d'intendersi, e si risolve in una i11flt1enza scamhievolmente benefica. A vent'anni William Morris, pie:,o d'ingegno e di vigore, ricco di tendenze artistiche eccezionali, si dimostrava già temperamento capace di lasciare un'impronta duratura nel cammino degli un,ani; ma di qual genere serebbe stata l'opera sua non si potcYa dire ancora. Come Burne-J ones, anche il Morris era destinato alla carriera ecclesiastica; tutti e due però fino dal primo anno d'università sentirono passare il vento freddo c!ella delusione sull'ardore della fede. Ma se gli studi teologici smorzarono nei due amici l'eiilusiasmo religioso, ridestarono, invece, il loro culto della bellezza i<leale, delle cose antiche ed esotiche. L'arte medioevale sopratutto li attirava, suscitando per conseguenza in loro un gran disgusto della vita d'allora, tutta banale, tutta dedita, senz'ideali di bellezza, alla fretta del guadagno. Così, nella quiete di Oxford, 1a piccola e severa città, dove le università sono grandi collegi, di una vastità ,e di una bellezza architettonica imponenti, grandiose, quasi regali, i due amici tutti intenti a ricercare le bellezze della poesia ecclesiastica, a studiar le cronache medioevali e !·a storia cieli.a chiesa, non potevano avere, del mondo vero, che un'idea ristretta ed errata. Tale impressione giovanile, tale speciale pt1nto di vista, influì per molto tempo sulla loro produzione artistica, ancorchè William Morris divenisse poi uomo di larghe vedute e di vaste concezioni, sia letterarie che pittoriche.

6 Egli era artista nato; pieno d'entusiasmo, pieno di vita, pronto a cogliere gli aspetti vari della natura, fervido ad immaginare e creare. E se il movimento artistico che fu detto pre-RaHaelita, con quella sua adorazione della bellezza ideale, con quella sua ricerca continua ciel raro e dell'antico, influì su di lui, non fu per farne un artista, poichè egli lo era già dalla nascita, ma, se mai, per tenerlo lontano, nei primi anni del suo lavoro, dalla vita del suo tempo, della ma generazione, e quindi dalla vera sorgente ispiratrice dell'arte. Perciò la vita di W. Morris è la storia d'un pellegrinaggio compiuto per uscire da un mondo popolato d'ombre ed entrare nella luce dell'umanità vivente; ma perchè gli amici suoi, i suoi compagni d'arte, continuavano a vivere in quelle oml;,re, è natura·le che, qualche volta egli pure ne venisse riafferrato e ripreso. Poesia. li suo primo impulso art1st1co, e forse il migliore, fu la poesia; e benchè poi divenisse pittore ed artefice esperto, William Morris restò pur sempre e sopratutto poeta. Pare che, di questa sua attitudine, egli e l'amico suo s'avvedessero d'im tratto, ai tempi del collegio universitario. (Gli studenti hanno là i loro appartamentiui seperati, e la sera s.i visitano, per studiare o conversare i11sieme). Uno studente d'allora racconta, appunto, come a vvennc la scoperta. Egli ed un altro amico entra vano, quella sera, nella stanza di William Morris, quando Burne-J ones gridò come un pazzo : - E' un poeta, un grande poeta, un grandissimo poeta ! - Ma chi? - chiesero i due arrivandi. - Chi? Topsy ! - (Topsy era il nomignolo che Burne-Jones dava a Morris). Ed ecco l'uditorio pronto, e William Morris pregato di leggere i suoi versi, i primi ch',egli avesse mai scritto,

7 «Mi parve>, dice .il narratore, « mi parve, mentre il Morris leggeva, di ascoltare una musica nuova, originale, diversa da tutte queUe udite prima ..... Ma quando gli espressi meglio che potevo l'ammirazione che provavo, ricordo che mi rispose: - Oh, se questa è poesia, non è difficile scriverne. Da quella volta in poi, egli venne, quasi tutte le sere, a trovarmi e leggermi sempre nuove poesie>. Aveva ingegno pronto, rapido e fecondo; ed ha lasciato diversi volumi di poesie. La serie migliore è forse quella detta del « Paradiso Terrestre>. « Fra tutti i poeti inglesi ,, dice Swinburne, « non v'è stato ,dopo Chaucer, un altro che, come William Morris, abbia avuta tanta fantasia e tanta arte di raccontare. Così William Morris seguitò a cre'are novelle, e raccontarle in versi, ed ancor meglio in prosa, per tutta la vita, ad eccezione di quei sette anni che dedicò ad un lavoro assai più arduo e profondo. Scelta di lavoro. Ma quantunque l'impul,so più forte e più costante fosse in lui la letteratura immaginativa, non è già come scrittore che il nome suo risplende di purissima fama. S'egli avesse data tutta la ricchezza dell'ingegno alla poesia, l'Inghilterra conterebbe un grande poeta di, più; ma vi son cose più necessarie assai dei bei versi e delle novelle; vi sono verità che g\.i uomini devono imparare, e che William Morris ha saputo bene insegnare. Devono imparare che il lavoro accanito, sordido, da bruti, degrada non solamente chi lo compie, ma chi ne trae il lucro ed il lusso; devono imparare che se la massa opepaia è abbrutita, ignorante, dovrà sottostare per sempre ad una plutocrazia grossolana, incapace di civiltà. Queste sono le verità che William Morris diceva a tutti, chiaramente; nè avrebbe saputo conoscerle ,e dirle

8 se si fosse tenuto egoisticamente chiuso nel campo ide~le della poesia, se non avesse avuto occhi e cuore per vedere intorno a sè, ed intendere miserie e dolori. Il valore della sua vita sta appunto in questo: che di quanto egli vedeva, (ed ognun di noi può vedere ogni giorno) William Morris trasse esperienza e scienza cli verità. Non considerò il mondo e la vita, e cioè l'opera di Dio e degli uomini, ad occhi socchiusi beatamente indifferente, come troppi fanno; ma studiò l'uno e l'altra con viva curiosità e con ammirazione. L'amicizia, l'amore, il desiderio di famiglia, il senso di fratellanza universale, vennero e parlarono al suo cuore, come parlano al· cuore di ogni essere umano che non sia un mostro; e William Morris .non li scacciò come t-anti fanno; bensì li accolse come ospiti cari, fervidamente; e si dette tutto a loro, con entusiasmo. Ogni esperienza nuova di vita, suscitava in lui nuove forze per nuovo lavoro; ma non per questo trascurava le opere già iniziate. In una sua novella, scritta quando egli era anco-ra ad Oxford, fa dire al protagonista: « Ho sempre potuto rendermi conto sollecitamente se mi è possibile o no di fare una cosa che ho nel pensiero; se non mi è possibile, la metto da parte, definitivamente, per sempre; non ci penso più, non la rimpiango, la considero finita. Ma so-Io che mi apparisca possibile, e ch'io mi decida a tradurla in opera, allora la comincio subito, ci lavoro senza distrarmi e non la lascio fin tanto che non l'ho compiuta. E così faccio per tutti i lavori a cui m'accingo». A1•chitettura. Tale ,era l'ideale di William Morris, e tale pure fu la sua vita pratica; queste sue parole ce la rispecchiano. Abt-iam·o veduto come l'idea di farsi ecclesiastico sfumò dal pensiero di WiHiam Morris fino dal primo

anno <l'iuniversità. L'arte, nelle sue varie forme, e specialmente l'arte medioevale, l'attirava; quando poi, andato per qualche giorno in Francia, potè ammirarne le meravigliose cattedrali, preso da entusiasmo, si decise a lasciare gli studi teologici per darsi all'architettura. E' vero ch'egli non durò molto in questa idea, e non diventò mai un architetto, ma è pur vero che il movente del suo pensiero non variò direzione. Non costruì case; ma seppe idearle, complete, in ogni loro particolare; questa divenne poi per lui una vera professione, geniale e lucrosa. Di tutto quanto serve ad abbellire una casa, a farne un insieme armonioso, intimo, accogliente, Morris fu maestro ed -artefice: dalla pittura murale ai mobili, dalle stoffe di cui egli stesso dava il disegòo agli ornamenti di cui egli dettava la forma, tutto, in una casa ideata, mobiliata, decorata dal Morris, tutto spirava bellezza, riposo, poesia della famiglia. A questa sua grande passione di far belle e godibili le abitazioni, un'altra se ne aggiungeva, che gli fu specialmente cara, e che proveniva dal suo costante amore per il pensiero umano scritto: i libri, e l'arte della stampa. Pittura. Fu il pittore Dante Gabriele Rossetti, del cui strano potere allora molte tempre d'artisti risentirono, che indusse Morris a dipingere; e quello che dapprincipio non fu per lui che passatempo, divenne poi la sua professione regolare. « Dice Rossetti che io dovrei dipingere », scriveva, a 24 anni, William Morris, poco dopo aver lasciato Oxford per Londra. « E se lui, ch'è un grande artista, me ne cr-ede capace, devo provarmici. Non spero molto, in verità; e pur facendo del mio meglio, non voglio ahbandonare l'a.rchitettura; vedrò di serbarmi sei ore il giorno per disegnare, dopo il lavoro d'ufficio. Non dirò

IO di farmi così un'esistenza divertente, ma non ci tengo; amore e lavoro, ecco le due cose veramente belle della vita ...... Alla politica, all,e qu-estioni sociali non posso interessarmi, perchè, in complesso, c'è troppo torbido, in quelle acque; ed io non ho autorità, nè potere, per chiarirle almeno un poco ed incanalarle per la via migliore. Il mio lavoro è sempre dunque la traduzione, in una forma o nell'altra, dei so-gni del mio pensiero». Ed in questa atmosfera di sogno M-orris continuò a vivere per un anno o due, mantenendosi quotidianamente in rapporti con quei sogna-tori inveterati ch'erano i -suoi amici artisti; ma in realtà egJ.i non apparteneva più al loro mondo, nè poteva contentarsene. « Egli comincia a prendersi di grande simpatia per gli umani », diceva uno de' suoi compagni di quel tempo; difatti, non molto dopo, e cioè a ventisei anni, William Morris, prendendo mo-glie e dovendo provvedere alla propria casa, si ritrovò a contatto colla vita vera. Hecol'azione della casa. L'idea di prepararsi la propria casa, fu, per questa vi va.ce tempra d'artista, il nuovo punto di partenza per mo·lte concezi-oni geniali. Non avrebbe potuto pensare un'abitazione senza· un bel giardinetto tavviato, senza belle stanze luminose, senza mobili ed utensili di gusto fine, intonati all'ambiente .... Per la costruzione della casa, William Morris poteva fidarsi de' suoi amici architetti, di cui uno specialmente, il W ebb, avrebbe interpretato con fedeltà il suo pensiero; ma pei mobili, per la decorazione, a chi rivolgersi? Le antiche arti domestiche erano morte ormai, uccise dal lavoro a macchina, da.Ile grandi officine, dal-l'industria sempre più va-sta e sempre più affrettata. Utensili, vestimenta, gioielli, e tutt-e le suppell-ettili d'una

II casa, non eran più fatte per l'uso, ma per il profitto. Non davano più soddisfazione nè a chi le faceva nè a cli i le usava; ma soltanto al negoziante che arricchiva passandole dall'uno all'altro, ed il cui interess,e era che fossero, sì appariscenti, ma di poco costo e di meno durata. Tutto questo, e l'intima convinzione cli William Morris di 11011 •essere fatto per divenire un gran pittore nè un grande architetto, lo ail,ltarono •a trovare la sua vera via, il vero e proprio lavoro adatto a·I suo temp,eramento, l'arte in cui seppe divenire eccellente: la decorazione della casa. (;ouw Mor1•is divenne commerciante ed industriale Dieci a,nni prima Ruskin aveva scritto: « La prima cosa che un uomo deve fare è di cercar di• capire a quale lav,oro si sente più attagliato; e può benissimo !,asciarsi guidare da'. suoi gusti, purchè non sia già mal g·uiùato dall'orgoglio. Perchè l'uomo, dii solito, sbaglia il ragionamento, e dice, p•er esempio: - Non mi sento molto adatto per fare il direttore commerciale; credo perciò con tutta probabilità, che farei molto bene il ministro cli Stato. - Invece, l'uomo cli giudizio, dovrebbe dire: - Non mi sento adatto per fare il direttore commerciale d'una grande ditta, ma potrei far qualche cosa in un piccolo commercio, visto che so trattar la gente e sono stato un buon giudice dì pace (pret-or,e). Insomma, cercar più giù, piuttosto che più su .... Un gran bene verrebbe alla nazione se la boria e l'orgo,glio vi avessero meno posto, e se i così detti gentiluomini no.n disdegnassero i commerci più c-omuni·, e vi pr,endessero parte, ritenendoli occupazione onorevole quanto qualunque altra». Se Morris e suo fratello, fondando la loro ditta di decoratori, Morris, Marshall e Faulkner, ricordarono queste· parafo del Ruskin, non so; certo è che la

I2 loro impresa era destinata ad una parte molto importante nel progresso sociale ed in quello artistico. Cominciarono modesti,ssimamente, con un capitale ridicolmente piccolo; ma l'i,ngegno e l'amore che vi pose Morris furono valori incalwlabili. Fino dal principio la Casa si mise in grado di forui rc tutto quanto le poteva venire richiesto in fatto di arredamento e decorazione: ornamenti architettonici, mobili, tappezzerie di stoffa e d'i carta, ricami, vetri istoriati, ogni cosa insomma che si riferisse alla finitura d'una casa. Tutto era della miglior qualità, tutto di gusto squisito, lutto di fattura eccellente; ma bisognava pagarlo molto, e non erano ammesse nè riduzioni sui prezzi, nè modificazioni sui disegni e le forme scelte; ·o prendere o lasciare; questa la regola impo•sta dal Morris come socio maggiore; ed i clienti vi si piegavano. Non è qui luogo per continuare il racconto, pur così attraente delle prime lotte e delle prime vittorie di questa coraggiosa ditta, cl i cui Morris era ad un tempo direttore, ispiratore, ed operaio, a tutto prestandosi con quel misto di pazienz,a industriosa e di veemenza fatta Lit vigore e di letizia, rimastagli dalla fanciullezza. Compiva una somma di lavoro stupefacente. Passava le giornate d'isegnando stoffe e carte da parati, sorvegliandone la tintura, lavorando egli stesso al telaio, rimettendo in vita l'arte di tes,sere le tappezzerie; mentre poi, nei brevi momenti di riposo, la passione dei versi lo riprendeva; e nei giorni di festa, nessuno più di lui sapeva godersi e tener viva l'allegrezza d'una buona compagnia. Nella prefazi,one che Mi,ss Mo,rris ha fatto alla bella edizione delle oper-e di suo padre, si capisce, eia una quantità di accenni, ch'egli era l'anima d'ogni festa famigliare; amava il riso e la barzelletla, quanto amava il lavoro; delle pubUiche c-ose che gli apparissero importanti s'interessava vivamente; aveva sempre tempo per tutto ciò che gli stesse a cuore.

r3 << Era anche, fra tutte l'altre cose, un l-uon cuoco, e ci teneva a dimostrarsi tale. - Benedico sempre Dio, - disse una voH:a, - per aver sapnto fare una cosa così saporosa come la cipolla. _\rnest1•0-1u·t.efic. e .l:-'er intender bene il Morris, e specialmente le ragioni per cui di venne socialista, bisogna mettersi in mente ch'egli si sentiva tutt'uno col suo opificio, cogli operai, col lavoro, insomma, che fioriva intorno a lui. « E' il mio pane quotidiano, ed è anche il mio modo di farmi onore», diceva. In una lettera privata egli parla di sè stesso come di un « maestro-artefice, se pure » aggiunge « posso meritarmi quest'ono•re ». E lo poteva davvero, senza vantazione, come si rileva da altre sue lettere: « Sto imparando tutto quanto posso riguardo alla ,tintura delle stoffe e delle carte; anche la parte proprio manuale del lavoro, ch'è abbastanza semplice; ma come tutte le cose semplici, se non si è imparata, non si sa fare. Mi metto gli zoccoli, la blouse, e lavoro cogli operai tutta la giornata». Ed in a'ltra J.ettera: « Stamani ho assistito alla tintura di 20 libbre di seta, per i nostri damaschi; ho :aiutato io stesso gli operai a tuffarla nella caldaia; è stato un lavoro un po' ecci:tante, perchè il sistema e la formula del colore erano nuovi, e si correva molto rischio di sciupare ogni cosa. Erano quattro tintori a lavorare ed io a dirigerli, mentre il capo della tintoria ci sorvegliava. Ai quattro operai avevamo dato prima un bicchier cli birra, per incoraggiarli; e insomma tutto è andato bene; era bellissimo veder la seta uscir verde dalla caldaia e poi divenire poco a poco azzurra. Il più vecchio degli o,perai s'è ricordato d'aver veduto, da bambino, tingere a questo modo. Vedeste che caldaia! E' formidal::ile: profonda quasi tre. metri, larga quasi due; ed affondata fino all'orlo nel terreno. Per la lana, che va pure

14 tinta in azzurro, anderò domani a Nottingham, a sorvegliarne il lavoro ». Non erano fatiche inutili; Wi,lliam Morris diventò tintore ,esperto. Una signora che lavorava di ricamo per la ditta, scriveva: « Io me ne avvi'di •subito,, quando William Morris cessò di tingere colle sue proprie mani; i colori non ebbero più quella bellezza quasi poetica ch'egli sapeva dar loro; divennero comuni, banali, ed anche, le sete, molto meno lucide. Quando me ne lagnai. egli mi disse: « E' v,ero, gli operai sono diventati troppo bravi, troppo svelti; e forse non amano abbastanza le belle tinle, altrimenti riuscirebbero a trov,arle ». H germe del socialismo di. Morr.is. Che l'uomo possa lavorar di cuore, che il suo lavoro sia tale da interessarlo; ecco la massima di Morris; ecco 1:J l:·a·e ciel sno socialismo. [~ questa massima improntava davvero la su-a vita. «Che hellezza », uscì a dire un giorno ch'era stanco di scriver lettere noiose, « che bellezza quando potrò tornare ai miei disegni, ai modelli, alla tintura, a quel caro va e vieni clel'la spola sul telaio, ad Hammersmith ! ». Lavorava per amor del lavoro, però senza dilettantesimo, e senza sogni. « Ho troppo desiderio di riuscire», egli scrive, « cli riuscire anche commercialmente; e voi sapet~ bene che per voler far bene bi-sogJ1a fare eia sè stessi. Non sono avid'o di denaro, ma se gli affari dovessero andarmi male, sarebbe un d'anno terribile, prr me. Ho tan•te altre cose seri-e a cui pensare, piaceri, speranze, timori, che non avrei davvero tempo cli rovinarmi, cli trovarmi povero e dover rinunci.ue alla mia cara liber,tà cli lavo•ro ». E notate che qui non parla del suo lavoro più forte. non di quello che secondo la sua frase espressiva rappresentava per lui il p'ane quotidiano; ma di un altro lavoro per lni attraentissimo: il « lavoro piacevole del libro i>

nun mai da lui abbandonato, visto che, nèlla lettera stessa citata, va lagnandosi poi di non avere molta ispirazione in quel momento, di non far niente d'originale, <'.i esprime il timore di perdere «invecchiando», la vena e l'entusia,smo ». Timore vano, perchè fu appunto nell'età matura che William Morris, sempr~ più appassionato alle antiche novelle e leggende nordiche, vi attinse l'ispirazione pel suo miglior lavoro poetico. L'odio per la civiltà moderna, volgare e meschina, lo ricondusse alla passione per ,le vecchie saghe, nelle quali egli \'edeva il quadro - ormai lontano e sbiadito, certamente, - della fratellanza umana quale sarebbe a lui piaciuta. Trovandosi sempre a disagio nella società del suo tempo, artificiosa e calcolaitrice, pareva a l'ui di respirare aria pura e sana, nella semplicità, nello spirito libero. avventnroso che aleggiava in quei vecchi racconti: e forse furono questi che servirono :1 ravvivare in lui quel fuoco di ribellione che covava <;otto la cenere, P fiammeggiò poi d'un tratto, apertamente, contro la schiavitù sordida in cui venivano tenuti i lavoratori del suo tempo << Ho letto, prima di venir qui, .Vjala, nel suo testo originale», scrive William Morris dal paese di Leek dov'era a sorvegliare le su-e caldaie di tinte. « E' lavoro più bello di quanto lo rammentassi; lo stile è semplice e solenne; i personaggi del racconto·, tutti (e questo è il pregio magg-ior,e deHe leggende nordiche) venerabili e venerate; qu,el buon Gunnero, l'eroe dolce e <;ereno; e la calma di Njal; e la soavità grandiosa del canto di Gunner, nella sua casa, al chiaro-re della luna fra un veleggiar di nubi .... Quale pura glorificazione del coraggio sono mai questi racconti ! Già, nel suo Paradiso Terrestre, William Morris rirel'ava l'impressione da lui ricevuta dalle vecchie saghe: ma negli Amanti di Gudrun, e sopratutto nel Sig'ltrd the , ..olsung, l'influenza nordica apparisce più viva e grande. Aveva quarantadue anni, (nel 1876), quando scrisse

16 questo poema epico che fu il suo lavoro letterario più importante. Di qui è facile capire qual vigore d'ingegno possedesse quest'uomo che in pieno lavoro d'affari commerciali e<l industriali, trovava modo e tempo per così elevate occupazioni del pensiero. Ma questo non è tutto. Per quanto buon poeta ed -eccellente artefice, queste non furono le sue qualità più salienti; egli è stato grande sopratutto come uomo, e troppo grande perchè la sua attività morale potesse mantenersi ristretta entw le pareti d'uno studio o le mura d'un opifici,o. Egli era il coraggio, ·I' energia, e la pazienza personificati; come non avrebbe eletta la sua parola, ed esplicata l'azione sua in favore delle cause giuste, quando i tempi fossero ~tati maturi per questo? Due grandi cause !'-ebbero a difensore. Per l'una egli trovò le ragioni nel senso profondo e sempre pit't vivo ch'egli aveva de'ila solidarietà umana; per l'altra, nella sua devozione al passato ed ali' opera dei grandi uomini la cui arte era andata perduta con lo,ro. l'el' !a con~ervazione dei monumenti. Ci,'i i11rnolte lettere private il Ivforris aveva manifrslata la sua indignazione per la !11anìa cli restaurare chiese antiche, edifizi medioevali, e vecchi monumenti, manìa che prevaleva allora riuscendo soltanto a distruggerne la bellezza. Infine, quando vide minacciata da questa specie cli vandalismo una be'ila chiesa antica che per esser vicina alla sua casa cli campagna, gli era oJt.-emodo cara, e ciò poco dopo che il famoso Monastero d: Tewkcsbury aveva subi,ta la stessa sorte, lo scatto dell'indignazione si tramutò in azione. Scrisse una lettera a!l'Ateueurn, spiega,nd'o l'urgenza di provveJere, e preg~u1do tutte le persone intelligenti e sensate ad unirsi a lui. « Bi,sogna fondare una società per la protezione e la

I7 conservazione dei monumenti, protestando r.ontro qualunque restauro che significhi qualche cosa più che non il riparo ai danni del tempo e delle intemperie; e con ogni mezzo, pubblicazioni, conferenze, od altro, ridestare la convinzione che i nostri antichi edifici non sono gingilli ecclesiastici, ma sacri monumenti, testimoni della vita e delle speranze d'una naziorie intera>. L'appello non fu vano. Tempo un mese, la Società per la protezione degli antichi edifici (l'Anti-Scrape, come William Mo-rris scherzosamente la sopran!'lominò (1), era fondata ed egli ne fu nominato segretario. Nè l'abbandonò mai più, finchè visse; scrisse, per la società una specie di programma, vero modello di lingua tersa e ·semplice, che venne tradotto ;n francese, tedesco, italiano ed o-Iandese; dedicò alla società, largamente tempo e denaro; e dette pure, a vantaggio di essa, la prima delle sue conferenze pubbliche, le quali però per quanto gli riuscissero belle, non furono mai un genere di lavoro veramente a suo gusto. Contro le atI•ocità d'una guerra. Nella primavera del 1877, pochi me~i prima che Morris col suo primo manifesto politico protestasse contro le atrocità commesse dai Bulgari, e co:-:.trola possibilità che l'Inghilterra si armasse per aiutare i Turchi contrri i Russi, egli scriveva in una lettera al Daily News: « Io che scrivo, appartengo ad una vasta classe d'uomini tranquilli che di soli,to badano ai loro affari occupandos: anche troppo poco della cosa pubblica, e non osano, qua·• lunque sia la loro opinione, alzar la voce fra la moltitudine; ma si sentono presi d'a grande amarezza al pensiero cli non poter far niente, di non contar niente, in materia che pur li tocca tanto davvicino .... M'appello a1 (1) Scrap, - raschiatura, raapatura ,graziata.

r8 lavoratori, agli operai tutti, e ti scongiuro di vegliare perchè se tale verg,ogna cadesse sulla nazione inglese, essi non potrebbero mai dimenticarla, essi la sentirebbero gravare anche su quell'avvenire pel quale ora stanno lottando ». Questa lettera, ed il Manifesto ai Lavoratori Inglesi, uscito pochi mesi dopo, allorchè la, glterra sembrava imminente, furono le prime affermazioni pubbliche del socialismo di Morris. Ed è interessante not'.lre ch'esso s'improntava già alla diffidenza per il governo centrale rappresentativo. P.er altro, il movimento a cui William Morris si associò con tanto vigore, fu piuttosto liberale che socialista, in origine; tanto è vero che taluni capi socialisti, come Hyndman, si trovavano nel campo opposto. Hyndman, molto tempo dopo, raccontava la sorpresa provata quando, nel 1879, incontrb Morris per la prima volta: « Erano già diversi anni che io lo apprezzavo come poeta, e lo c1nzonavo un tantino, come si fa da giovani e da ignoranti, per i suoi mobili estetici, per le sue carte da parati... Me lo figuravo t!!l gentiluomo delicato, raffinato, facile 1! sentimentalismo. Invece, all'aspetto almeno, non appariva tale davvero. Sì, v'era certamente una grande finezz:Lnella linea delicata del naso e neHa modellatura bellissima della fronte; ma la voce robusta, e cordial,e, l'aspett0 gioviale, la persona vigorosa, il vestito alla buona, largo, quasi marinar-esco, tutto mi dette di lui e de' suoi compagni assai migliore opinione che prima non ne avessi>. Ma quantunque la Questione d'Oriente obbligasse il Morris ad agire per qualche tempo d'accordo col partito liberal,e, egli notò presto l'organizzazione non esser tale che gli operai potessero affidarle i propri interessi. e: Lavoratori Inglesi», egli scrive nel manifesto già rammentato, « una parola ancora d'avvertimento. Non se se voi conosciate l'odio, l'avversione c:>ntro ogni forma di libertà e di progresso, che sta in fondo al cuore di taluni appartenenti alle classi più ricche del nostro pac-

19 se .... Essi non sanno parlare delle vostre associazioni. delle vostre mire, dei vostri capi, senza un sogghigno o<l un insulto. Questi uomini, se lo potessero, (perisca l'Inghilterra, piuttosto!) intralcerebbero ogni vostro disegno, renderebbero vana ogni vostra giusta aspirazione, vi ridurrebbero al silenzio, abbando:1andovi, mani e piedi legati, e per sempre, al capitalismo irresponsabile». Ogni parola del manifesto prova ch'egli era divenuto socialista per convinzione, dopo esserlo già per temperamento; e noi dobbiamo fare una breve pausa, in q.ue• sta narrazione succinta deHa sua vita per pagare il nostro debito al più grand'uomo inglese che abbia militato nelle nostre file. Quanto deve il Socialismo a William Morris. Di tutte le figure che emersero 21 tempo della Regina Vittoria quella di William Morris è forse la più degna di memoria affettuosa; e più del valore poetico, più del suo vero genio artistico, e più della sua opera assidua nel rimettere in vita le arti dimenticate, c'è caro il dcordo della vigorìa e del fascino che, veramente, emanava da quella tempra solida, enngica, àiritta. Era una tal sorta d'uomo che, una volta conoscinto, non si dimenticava più; un uomo che eccelleva in quasi ogni ramo dell'·attività umana, pure rimanendo il vero tipo deHa sua razza. Era un esperto della vita, oltre che dell'arte e della letteratura; •e, per di più, aveva, in larghissima dose., la felice facoltà di godere delle cose. Di tutto s'allietava, e tutto doveva intorno a lui, esser lieto, belìo, ispirante contentezza; anche gli utensili e le st:ppellettili della casa. 11 lavor,o che non arreca gioia. è ì~voro da schia, .. i. Ed è per questa sua gioia di vivere, per questa sua vita· lità ricca e sana, per aver avuto ~ii occhi per vedere, gli orecchi per intendere, -il cuore per rapire; per essere stato infine un artista ed un 2"enio, che il suo contributo.,

30 al Socialismo ha per noi un valore inrommensurabilc. Che importa ch'egli fosse un teorico piuttosto che un pratico, in fatto di socialismo? Che importa ch'egli non intendesse a fondo le questioni econorr:iche, e i dettagli amministrativi, quando era tanto capace di capire la vita e gli uomini, e la miglior maniera di valersi dell'un~ e degli altri? Il sen·so della fratellanza era vivissimo in lui, ,rischiarato dalla chiarov,eggenza. e d~lla bontà. Quindi, per noi, è più istruttivo conoscere la storia della sua conversione al socialismo, che non i',esposizi,rne formale delle sue idee in proposito•. La via al Socialismo. Di tale conversione si riscontrano le prime tracce nelle conferenze da lui tenute sull'Arte, a cominciare dal 1877. In queste conferenze •egli manifesta tutta la sua simpatia per l'operaio; nè riconosce differenze essenziali fra artista ,ed artigiano. Ed è bello sentire ciò ch'eg.Ji desidererebbe per ognun che lavori; oltre ad una paga minima di 20 o 30 scellini (da 24 a 36 lire). « Denaro, dunque, quanto basti per tener l'uomo a! ·sicuro dal bisogno e dalla degradazione, per lui e per i suoi cari; tempo sufficiente, dopo aver lavorato, ( anche se il lavoro gli è piacevole) per leggere, pensare, e collegare la propria vita a quella del mondo; lavoro a sufficienza sempre e tale da soddisfare anche l'orgoglio suo, e da farlo degno d'elogi, d'incoraggiamento così ch'egli si senta amico de' suoi simili; e, non ultimo1 il suo diritto a godere dell'arte, in ogni sua mani fostazionè, a cominciare dalla propria casa, dal proprio ambiente, da cui 0011 dovrebte essere bandita la bellezza, che Natura ci darebb.e largamente se noi non fossimo tanto perversi da chiuderla fuori dalla nostra porta . .« Ho voluto far notare», egli scrisse poi a chi gli moveva rimprovero di trascurare cosi i diritti dell'Arte per l'Arte, « che la questione dell'Arte popolare è que-

2I stione sociale, coinvolgente la felicità o la disgrazia della maggior parte di. noi. L'assenz::. dell'Arte popolare, nei tempi moderni, e più inquietante e più difficile da sopportare, sopratutto perchè seg11a una malaugurata divisione fra le classi colte e le classi povere, ~vvilil-e, divisione che la concorrenza commerciale mantiene. L'Arte non può sperare di fiorire, e nemmeno cli esistere, se non si comincia a colmare quel terribile abisso che sta fra la ricchezz'a e la povertà ... Un uomo onesto, che viva una vita veramer.te umana, deve sentirsi gravare la coscienza dal pensiero del:c innumerevoli esistenze tutte consumate in una fatica bruta, non rialzata dalla speranza del meglio•, non allietata mai da un premio, da una parola <l'elogio, esistenze disgraziate che, per il vantaggio che r,ecano a loro stesse ed ai loro simili, tanto farebbi:: che girassero una ma.novella che non avesse niente attaccato in fondo ... Più e più volte mi sono chiesto: perchè non potrebbero tutti fare quello che faccio io? li mio ~ 1111 lavoro semplice, abbastanza piacevole; e chi L111queabbia un po· <l'intelligenza può riuscirvi, solo che ci metta amore ed attenzione. In verità, ho provato vergogna a pensare al contrasto tra le mie ore di lavoro, così felici, e la fatica monotona, i·ngrata, ignorata, n011 ricompensata, a cui la maggior parte dei lavoratori è condannata. E niente riescirà a convincermi che tali fatiche sie,no necessarie alla civiltà ». Per questo« aggravi,o di coscì,enza », che l'esperienza della vita, ed il temperamento di Mcrris, rendevamo sempre più insostenibile, egli si trovò a divenire socialista. La visione di ciò che avviene nel cuore umano, le gioie, i dolori, le speranze, che avevano ispirato le sue migliori concezioni poetiche, resero• capace William Morris di vedere la società umana qual'era realmente. Per lui, il lusso volgare del ricco era tanto odioso quanto lo squallore del povero. « A parte il desiderio di produrre belle cose», egli dice, « la passio-ne ,più forte

22 della mia vita è l'odio per la civiltà moderna .... Che dire della sua padronanza, dell'abuso che fa di forza meccanica, dellia Stl'a comunità così povera, dei nemici della comunità così ricchi, di questo congegno fatto apposta per immiserir,e l'esistenza? Del suo disprezzo per i piaceri, semplici, che, senza questa sua follìa, tutti potrebbero godere, della sua cieca volgarità che ha distrutto l'Arte, l'unica gioia certa d'ogni lavorn? « Le belle speranze dei tempi passati era.no andate ormai deluse», egli continua facendo il racconto della sua conversione; « la lotta dell'umanità, dopo tanti secoli, non aveva prodotto che questa confusione, brutta, sordida, e senza scopo; il futuro immediato mi sembrava non essere atto che ad intensificare tutti i mali presenti, spazzando via gli ultimi ricordi del lempo che ha preceduto lo squallore della civi.Jtà. Era una ben triste previ-• sione; e tanto più per un uomo come me, (se mi è permesso parlare di me specialmente), un uomo cioè a cui non hanno mai dato molto pensiero nè la metafisica, nè la religione, nè le analisi scientifiche, ma che ama di profondo amore la terra nostra, la vita che vi si svolge, e<l ha una vera passione per la storia passata deU'uma•• nità. Figuratevi dunque! Tirare avanti così, senza nessuna fiducia nell'avveni•r-e, lasciare che questi parrucconi seguitino a far tutte le carte loro, distribuendo champagne ai ricchi e margarina ai poveri, in proporzioni convenienti perchè tutti sieno soddisfatti, abbenchè ogni piacere degli occhi abbia esulato dalla terra, ed Omero atbia ceduto il p,osto ad Huxley? ( 1). Eppure, credetemi, io non riuscivo a prevedere niente di meglio, nel futuro; e, quel ch'è peggio, mi pareva che nessuno si curasse del pericolo, nessuno stimasse utile il lottare per impedire questo fatale peggiorar d'ogni cosa. (r) Huxley, professore di fisiologia ed anatomia, darwiniano convinto; e quindi, probabilment~, nè poeta, nè molto cur:rnte della bellezza e dell'arte. (Nota d. lrad.).

:23 E così credo che a,vrei finito col morire di pessimismo se qualchedluno 11011 mi avesse mostrato, nel fango della così detta civiltà, i primi germogli d'un grande mutamento, che i paurosi• chiamano Rivoluzione Sociale. A tale scoperta ogni cosa cambiò d'aspetto per me; e m'avvidi che per divenire un Socialista non mi mancava che aggrapparmi agli altri, già in movimento, e partir con loro. P1·ol'essione di socialismo. La S. D. F. Vi si aggrappò, difatti, nell'autunno del 1882, a quarant',otto anni, iscrivendosi alla Federazione Democratica ( che divenne poi la Social Democrat-ic Federation, talvolta pur chiamata British Socialist Party, e cioè Partito Socialista Inglese). « Per conto mio», egli scrive ad un amico che lo rimproverava di questa decisione, « avevo creduto, .per molto tempo, che si potesse aiutare il vero progresso sociale militando volenterosi entro le file del solito Radicalismo delle classi medie. Ma ora mi sono accorto dell'errore; il Radicalismo segue una via sbagliata, e cioè non sarà mai nulla di più; esso è formato da e per le classi medie, e sempre resterà sotto il controllo dei capitalisti ricchi, i quali non hanno niente in contrario a lasciarlo sviluppare politicamente, a patto però d'esser sicuri che si fermi lì; ma se si trattasse di veri e propri mutamenti sociali, ti assicuro che non li permetteranno mai, per io meno spontaneamente ». < Il grande contrasto fra ricchi e poveri », scrive ancora William Morris allo stesso amico, qualche giorno dopo, « non è sostenibile, e non dovrebbe essere tollerato nè dai poveri nè dai ricchi. Ora mi sembra che, convinto in coscienza di questa verità, io debba esser tenuto ad agire per la distruzione d'un sistema fatto d'oppressione e d'ostruzione. Tale sistema non può ve-

::a4 nire distrutto che dallo scontento riunito dei molti; gli atti isolati di pochi, appartenenti alle classi medie o superiori, l'ho già detto, sono assolutamente impotenti; in altre parole, l'antagonismo di classe che è nato dal sistema stesso, è lo strumento naturale e necessario per la sua distruzione». Come si vede, vVilliam Morris, accettando il socialismo, non faceva le cose a mezzo! Co·n tutto il fervore elci suo temperamento, con tutto l'entusiasmo per la cau•sa che aveva sposato, egli si diede a far propaganda, ancorchè questa non fosse davvero un lavoro in cui potessero .trovare impiego le rare doti d'un intelletto sopratutto artistico. E' quasi commovente il pensa re come William Morris cercò d'istruire sè stesso, studiando Marx, e sforzandosi a bene intendere tutti i problemi economici; mentre poi, convien dire, se tal11ni de' suoi scritti intorno al socialismo hanno vigore e valere durevole, son quelli appunto in cui Morris non affronta questioni complicate, e si lascia soltanto guidare dalla esperienza e dalla chiaroveggenza ch'egli aveva della vi.ta. I suoi amici, ed è naturnk, si dolsero di vedere il poeta smarrirsi nel conferenziere, tanto più ch'egli non aveva doti oratorie; ma William Morris non era uomo da prendere i-n considerazione tali rimostranze. « Io credo », diceva ad un amico, « che la poesia vada messa d'accanto alle altre arti; ed anch'essa, come tutte le altre, ora .è divenuta irreale. L'Arte vera è morta; e quanto di lei ci resta deve pur morire, avanti ch'ella rinasca. Tu sai le mie idee in ()roposito; ora 11011 fo che applicarle a me stesso come agli altri. Non dico che mi vorrò vietare di scriver versi e di crear modelli decorativi; tanto varrebbe privarmi della gioia migliore della mia vita; ma dico che non considero più questi lavori come un sacro dov·ere .... Intanto il lavoro di propaganda ch'io fo, per quanto apparentemente di poca importanza, è parte di un grande tutto che non può andar perduto. E questo a me basta ,.

La Lega socialista. Ma non soltanto le diffic.oltà profonde delle teorie economiche rendevano faticoso il suo compito. Le dissensioni cominciarono prest,o ne·] campo. « Mi trovo» egli dice, « ridotto all'antipatica missione di moderatore e di rappezzatore, ch'è proprio contro ogni mia inclinazione». Ed il peggio venne dopo. Le rappezzature durarono poco, ed il Morris, al principio del 1885, si trovò a capo d'un piccolo gruppo di dissidenti, che prese il nome di Lega Socialista. Per sei anni dette largamente tempo e denaro tanto per l'amministrazione interna della Lega quanto per la propaganda rivoluzionaria, ch'era il fine confessato della lega stessa, caldeggiato e discusso nel Commonweal, pubblicazione che fu dapprima mensile, poi settimanale, e per molta parte r,edatta dal Morris stesso, Di certo nessun altro giornale socialista poteva competere con quello, non fosse che per la bellezza delle poesie e dei romanzi che venivano pubblicati in appendice, ed erano fra le migliori opere di William \forris. lnoltre non appariva numero del giornale che non portasse qualche articolo dovuto alla di lui penna, e tanto più attraente in quanto era sempre dettato in forma chiara, semplice, famigliare, così da farci intendere subito i di lui concetti su,lla vita e sugli avvenimenti. Prendiamo, per esempio, questa spiegazione ch'egli ci dà, dell'atteggiamento rivoluzionario della Lega, nel 11umero del primo maggio 1886: « Siamo convinti che la parte più avanzata della classe capitalista, specialmente nel i1ostro paese, viene tratta dalla corrente, -non senza provare un senso di disagio e di timore, verso il Socialismo di Stato, e della specie più cruda; ed una certa scuofa di sociali-

sli ne va esull'ando .... Ma quakhe oosa, in questo inciampar dei borghesi nel socialismo, ci rivela dove la corrente va dirigendosi: e cioè l'istinto rivoluzionario che guida i loro sforzi. Come giudicarlo? Per il solito sono sforzi senz'ordine, senza guida e senza giusta mèta. Frutteranno altro che non sia sofferenza, ai lavoratori? Ne dubitiamo ..... . . . . La peggior cosa eia temersi è che gli oppressi imparino a contentarsi, apaticamente, della loro sorte ... Meglio il più rude e sfortunato tentativo di rivoluzione, che questo». « Il vero compito dei Socialisti », scrive il Morris in un altro numero, « sta nell'imprimere bene nella mente degli operai l'idea ch'essi sono una classe, mentre dovrebbero essere la società intera. Ma se noi ci mescoliamo al Parlamento, confonderemo, annebbieremo quest'idea nella mente del popolo, invece di chiarirla ed intensificarla». Ed ancora, sotto il titolo di Lavoro non attraente. egli dice: « Non è un paradosso l'asserire che la non attraenza del: lavoro, ch'è ora la maledizione del mondo, può diventarne la speranza. Fin tanto che l'operaio poteva sta.rsene a casa sua, a lavorare comodamente e quietamente, non s'avvedeva delle lunghe ore di fatica, ed altri mali ne potevano venire .... Ma ora che il lavoro non è più che malessere e peso per la classe lav,oratrice, questa dasse farà cli tutto per liberarsene, per alleggerirsene; e ne' suoi sforzi dovrà cli necessità clistruggere quella società ch'è fondata sulla paziente sopportazione di questo peso .... E' vero che i padroni, .ora, fatti prudenti dalla paura, vanno cercando vari mezzi per far sì che i lavoratori sopportino il loro peso; ma tutti questi mezzi, uno dopo l'altro,· vengono sc•operti e screditati. La filantropia ha fatto il suo tempo; l'amore al risparmio e lo spirito d'iniziativa individuale se ne vanno; la partecipazione agli utili, il parlamentarismo, il suffragio universale, il Socialismo cLiStato, se ne anderanno per la stessa via, ed i lavoratori si troveranno

27 infine faccia a faccia con questo fatto: che la moderna civiltà, con la sua gerarchia elaborata, e colla sua disciplina di ferro, si basa tutta sul loro carico di fatica; e allora nessuna diminuzione d'orario basterà loro più. Vedranno che la società moderna sussiste ·soltanto finchè essi sopportano il loro peso con un certo grado di pazienza; e quando la pazienza si s:nà consumata, la società moderna se ne anderà in pezzi >>. Dopo una visita a Leeds ed a Bradford, egli scrive: « Il peso continuo della disciplina, in queste industrie ,·astamente organizzate, va: necessariamente limitando l'intelligenza degli operai e poco a poco annienta la loro individualità; ma il sistema è tanto possente ed incalzante ch'essi non saprebbero concepirne ormai un altro, in cui loro stessi potessero esser qualche cosa di meglio che non macchine umane». In altra parte troviamo la stessa idea condensata in un epigramma: << I fabtricanti di profitto individuale non sono una necessità per il lavoro, ma pi11ttosto un intoppo al lavoro stesso ». Parlando dell'Educazione sotto il Capitalismo, egli dice: « Mi sentivo stringere il cuore a vedere il signor Mc Choakumchild (r) ed i suoi metodi d'insegnamento; e pensavo quanto sono stato più fortunato io, a nascere in campagna, e ad esser mandato ad una scuola dove non s'ins-egna niente_, ma dove ho imparato l'archeologìa e le novelle, sulle dune di Wiltshire ». Sotto il titolo: « Come viviamo e come dovremmo vivere», egli scrive: « Molte volte quando mi sento rattristare dalla meschinità di quegl'idioti rasotti da conigli che i ricchi si fanno costruire a Bayswater ed altrove, mi consolo immaginando una futura gran- (r) Questo dev' essere un cognome inventato lì per lì, secondo l'ironia giocosa eh' è il fondo del carattere di Vvilliam Morris; perchè Choak vuol dire soffocare ; e child, ragazzo. Così lo si potrebbe tradurre in signor Soffocaragazzi. (Nota d. fmd.).

diosa Casa del Popolo, fatta senza miseria di materiale, ricca d'ornamenti che sieno veramente tali, quasi materiata delle più nobili idee ciel nostro tempo, pure avendo, del passato, l'arte più vera e pura, quella che soltanto un popolo libero e forte può produrre; tale 1111adimora umana che nessuna iniziativa privata potrà mai farne l'eguale, nè per bellezza nè per idoneità, perchè soltanto il pensiero collettiv-o e la vita colletti va possono suscitare le a.spirazioni atte a dar vita a tal genere di bellezze ed aver modo e tempo di tradurle in atto». li <'onll·oìlo popolare nelJ'amministrazione. Questi passi, tolti dal Co1:ttno1-iweal, dimostrano che le mire della Lega erano apertamente rivoluzionarie, come del resto lo dichiara'Va il suo manifesto. Non vi erano tentennamenti nè mezze misure; le basi della società dovevano esser mutate. « Per qnanti cambiamenti amministrativi vengano fatti, nessnno ci accosterà al ver-o Socialismo, fin tanto che i lavoratori non ~aranno in possesso di tutto il potere politico >. <~ E per potere politico non intendiamo già nè il diritto di voto e nemmeno il più largo sviluppo del si- ~tem;1 rappresentativo; ma i! diretto controllo, da parte del popolo, sull'intera amministrazione della comunità, qualunque sia la forma definitiva di tale amministrazione». ( :omunismo. Chi volesse trovare nel snddett,o Manifesto qualche idea definitiva sul modo con cui questo « controllo diretto» avrebbe dovuto esercitarsi, restc!rebbe deluso. Per altro le conferenze elci Morris gettano qualche luce sull'ideale ch'egli s'era formato in fatto d'organizzazione sociale. «Coloro», egli diceva, « che sanno ve-

29 dere quel che sarà la nuova società, si cc,nvincono che la decentralizzazione vi dovrà essere completa. L'unità politica non dovrebbe essere una nazione, ma una comune\ Tutta la società ragionevole dovrebbe essere una grande federazione cli Comuni .... La nazione non è che un insieme di gente tenuta unita :i scopo di rivalità e di guerra con altri simili insiemi di gente; e quando la competizione cederà il posto alla combinaziohe, la funzione della nazione cesserà». « Ricapitolando », egli continua, « ecco i due progetti dei Socialisti per una futura società. Secondo il primo, lo Stato - e cioè la nazione organizzata per la produzione senza sperpero, e per lo scambio della ricchezza, - sarà il solo possessore delle fonti di gu·adagno, dei valori, ecc.; il solo imprenditore che regolerà il lavoro neJ.l' interesse generale, in modo che nessuno debba mai t,emere di resta·re senza occupazione e senza pane.... Secondo l'altro progetto, la nazione centralizzata dovrebbe cedere il posto ad una federazione di comuni, la quale federazione terrebbe in comune anche tutta la ricchezza, e se ne varrebbe per soddisfare i bisogni di ciascun membro, esigendo soltanto che ognuno contribuisca del suo meglio, a seconda della propria capacità, alla formazione della ricchezza comune.... « Questi due progetti vengono talvolta posti a con1:rasto l'uno dell'altro, come socialismo e comunismo; ma, per me, il secondo ncn è che il necessario sviluppo del primo, ed implica un periodo transitorio durante il quale il popolo dovrehbe liberarsi dalle abitudini mentali contratte in tanti secoli di tirannia, e di gare commerciali, imparando che il vantaggi-o di tutti è il vantaggio di ciascuno. Qua '1clo gli uomini avranno perduto la paura che ora ognuno ha dell'altro, paura generata dal nostro sistema di penuria artificiosa, sentiranno che il miglior modo per evitare lo sperpero, sarà di concedere a ciascuno di prendere quanto gli occorre dal!.a provvista comune; nessuno

3o avrà la tentazione di prendere più del bisogno, dal momento che non avrebbe alcuna opportnnità d'avvantaggiarsene personalmente. Così verrebbe ridotto a minime proporzioni il pericolo, per la comunità, di cadere nella burocrazia, nella moltiplicazione degli uffici e delle amministrazioni, con tutto il soprappiù delle autorità ufficiali, le quali non costituiscono altro che un peso, anche se a,l loro compito sono state delegate dalla libera volontà del popo-lo intero ». Qualunque dettagliato schema di un socialismo di Stato suscitava l'ira e la ripugnanza del Morris, abLenchè si debba riconoscere che, verso la fir;e della sua vita, egli accennò a piegarsi al giogo Fab-iano. Ma questa sommissione ebbe tutto il caratter1; d'un pentimento in punto di morte: e cioè fatta senz'a.Jcuna persuasione. Le sue speranze nel futuro erano dominate dalla splendida visione d'una umanità libera, attiva e felice, d'un lavoro che desse a tutti ed a cias-cuno letizia ed orgoglio; e tale visione egli associa va, giustamente o no, al passato. Non odiava soltanto il capitalismo; odiava la servi-lità elaborata della produzione meccanica moderna. Quel suo bel racconto d'nn idillio campestre, intitolato News from Nowhere (Notizie da Nessun posto) fu scritto come protesta contro l'apoteosi dell'accentramento e dell'urbanesimo, considerati come ideale sociale dal Be-llamy nel suo lavoro: Guardando addietro. In complesso, il Morris, nelle sue previsioni utopistiche, faceva miglior parte all'operaio che al- consumatore. La produzione del-la ric-chezz::. lo interessava più che il godimento della medec,ima; la gioia cli fare il denaro, più che quella di sper..de-rlo. « Il signor Bellamy si dà troppo daf .fare», scrive il Morris nel Comrnonweal del giugno 1889, « cercando, senza trovarlo, un altro incentivo al lavoro che rimpiazzi la paura di morir di fame, nostro unico

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