Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

CAP. XU. -- LA TORTURA 419 selliate; e cessate le litanie,\ da capo i trecento usci chiusi, i trecento catenacci tirati, e lo squasso dei mazzi delle chiavi. Queste cose accadevano fra tenebre fittissime, per modo che Beatrice ignorasse se avesse perduto l'a vista, o se a buio perpetuo l' avessero condannata. A torla dal dubbio indi a breve la spaventa un rovinìo sul capo, e subito dopo un cotal peto dì luce grigia si mise nel carcere. Recatasi, tra stupida e atterrita, a sedere sopra il giaciglio, speeola il luogo dove l'avevano rinchiusa: era una cella quadrilatera, lunga, e larga fra sei passi e sette, di soffitto altissima, terminata a cuspide ottusa: nella parte superiore aprivasi un pertugio sbarrato da grosse bande di ferro, donde però non si contemplava il firmamento, chè andava a sboccare in Certa maniera di abbaino,, il quale prendeva luce da una finestra per traverso. In cotesto macello di carne umana un meriggio di agosto appariva come un vespro nel mese di dicembre, e un vespro di dicembre come l' Ave Maria della sera nelle terre boreali. Allora Beatrice conobbe due cose essere senza misura nel male: lo inferno nella vita futura, e la perversità dell'uomo nello escogitare trovati capaci a tribolare il proprio simile nella vita presente. Piegò vinta la faccia pensando ai destini di questa razza feroce, la quale si vanta creata ad immagine di Dio (6).. Lei misera, che delibava appena il calice del dolore! Più tardi le portarono pane nero, vino di agresto, e una broda nauseabonda ove galleggiavano frusti di carne grassa e di erbe. Si attentò ancora guardare in faccia i carcerieri. A quale razza di bestie spettassero costoro, chi lo può dire? Uno di essi rassomigliava al geroglifico egiziano, che presenta forma di uomo, e capo di sparvierq un altro pareva un pomodoro fradicio imbrattato di calcina, così lo aveva concio nella faccia l' erpete maligno inasprito dalla perpetua ubbriachezza : invece di occhi tu avresti detto che tenesse in fronte coccole di cipresso, tanto elli apparivano duri, e senza sguardo: gli orecchi poi erano un vero laberinto della pietà, ‹dacchè i ge. miti degli affiati o vi si perdevano, o vi restavano divorati da bestia più crudele del Minotauro, voglio dire dall' anima malnata di costui. Di rado accade che nelle cose belle, per quanto leggiadrissime esse sieno, le parti armonizzino perfettamente tra loro; ma in questa trista carcere tutto accordavasi, così uomini come cose, con istupenda, corrispondenza. Il brutto e il cattivo ,occorrono in natura troppo più copiosi del bello e del buono. Come talora, per giuoco, facciamo passare sopra la buia parete una serie di figure spaventevoli o grottesche, in quel giorno

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