Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

228 BEATRICE CÈNCI il terreno occupato dal campo cartaginese, e alla fine presero Cartagine. - Porgimi braccio... fa piano veh! - guarda non farti male - andiamo adagio. E al buio lo condusse per infiniti avvolgimenti nei sotterranei del palazzo. — Qui non mi trova neanche il demonio. — Oh! per questo sta' securo, nessuno ti tro'verà! — E poi nessuno sa, che io sto qua dentro. - Nè mai lo saprà. — A me basta, che la corte non lo sappia fino a domani I' altro; poi non me ne importa nulla. — Abbassa il capo, e avverti di non urtare nella soglia... qua... da questa parte... entra. — Entra! - disse Olimpio trattenendo il passo, mentre sentiva un' aria fresca e umida ventargli in faccia, - e don Francesco ridendo forte gli domandò: — Sta a vedere, che tu hai paural — Io? No; ma penso che nei luoghi chiusi sappiamo sempre quando ci entriamo, non mai quando ne usciremo. — Come! Domani notte, - tu lo hai detto. • — E se voi non veniste più per me? — E qual profitto avrei dalla tua morte? Dove troverei un altro Olimpio per servirmi di coppa e di coltello? — Ma se non veniste? — Tu urleresti. Le cantine sono presso la strada, e i passeggieri ti udrebbero. — Bel guadagno! Dalla cantina Cènci sarei traslocato nelle carceri di Corte Savella. — Avverti, che io me ne andrei in castello per avere dato ricetto a un patriarca come se' tu. — In questo, che dite, trovo qualche cosa di vero: per ogni buon riguardo lasciatemi la porta aperta. Ed entrò; ma la porta girò sopra gli arpioni e si chiuso a mandata. — Don Francesco, come va che la porta si è chiusa? — Vi ho inciampato non volendo. -- Portatemi presto il lume, e apritemi la porta.

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