Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

18 BEATRICE aNci Nerone era un cane enorme di Mole e di ferocia. — Così lo nominò il Cènei, meno in memoria del truce imperatore, che per significare, nel vetusto linguaggio de' Sanniti, forte, o gagliardo. Coricato appena, prese a dare di volta pel letto: incominciò A gemere d' impazienza: a mano a mano la impazienza diventò furore, e si pose a ruggire. Nerone gli 'rispondeva. ruggendo. Indi a breve il Conte, balzando dalle odiate piume, esclamò: — Abbiano avvelenato le lenzuola.! — Questo si è pur dato altra volta, ed. io 1' ho letto in qualche libro. Olimpia! Ali! mi àei fuggita, ma io ti arriverò: nessuno ha da scapparmi di mano — nessuno. — Quale silenzio è questo accanto a me! Che pace qui in casa mia! Riposano:...— dunque non gli atterrisco io? Marzio. - Il cameriere chiamato accorreva prontissimo. — Marzio, riprese il Conte, la famiglia, che fa? — Dorme. —Tutti? Tutti; almeno sembra, poichè ogni cosa sia tranquilla in casa. — T quando io non posso dormire ardiscono riposare in casa mia? — Va', guarda se veramente dormono oreglia alle stanze, in ispecie quella di Virgilio; sprangale pianamente per di fuori, e torna. Marzio andò. — Costui, continuava il Conte, sopra gli altri aborrisco sotto quella superficie di ghiacciata niansuetudine non iscor— rono meno veloci le acque della ribellione: aspide senza lingua, non però senza veleno. Quanto mi tarda, che tu muoia! Marzio, tornando, confermava: — Dormono tutti, anche don Virgilio ; ma di sonno trava- gliato, per quanto può giudicarsi dalr anelito febbrile. — L'hai sprangata fuori? Marzio 'col capo accennò affermativamente. — Bene; prendi questo archibugio, sparalo traverso l' uscio

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