Francesco Domenico Guerrazzi - Beatrice Cenci

CAP. IX. - II. SUOCERO 145 di gentiluomo, ch' è la lealtà, conduce sempre in miserabili rovine. Voi pertanto foste ingannata; io tradito. Forse potrei riprendervi di soverchia facilità a credere; — forse potrei chiamare incauti i vostri parenti, e voi; — ma in qualunque caso, qual colpa mai avrebbero i vostri figliuoli? — Ed è appunto per questi, che pure sono sangue vostro, e devono continuare la vostra discendenza... — E ne avete?... — Quattro, e leggiadrissimi tutti — angioli d' innocenza e di beltà — rispose vivacemente Luisa mentre le pupille le sfolgoravano traverso due grosse lacrime, figlie dell' orgoglio materno... - Com' è feconda la razza delle vipere! - pensò nel suo segreto il Conte Cènci; — poi con labbra sorridenti riprese: — Dio ve gli salvi. . . -- Padre mio le vostre parole mi ridonano gli spiriti. Ascoltatemi dunque, perocchè io sia venuta appunto per favellarvi dei vostri nepoti. Voi vedete in me una madre desolata, una vera madre del Pianto. Di me non parlo. Non badate a: questo abbigliamento vilissimo, per cui divenni favola poco anzi dei vostri medesimi staffieri ma sappiate che i figliuoli miei, i nepoti vostri, non hanno vesti che bastino a cuoprire la loro nudità; — mancano spesso di pane per saziare la fame. — E le lacrime d' orgoglio, che versava poco anzi liete e rare, si convertirono nella povera madre in pianto dirotto, e pieno di dolore. — Come può essere questo? Certo io non vorrò negare di essermi mostrato sempre a Giacomo piuttosto scarso, che no; però che la esperienza mi avesse ammaestrato, com' egli crescesse nei costumi poco lodevoli in proporzione della facoltà ch' ei possedeva per alimentarli. La botte delle Danaidi fu favola, ma la prodigalità di mio figlio è vizio pur troppo irreparabile. A me repugnò sempre contribuire a rendeilo peggiore di quello ch' ei sia. Mi ha ognora trattenuto dal mostrarmi largo soverchiamente con lui una sorte di rimorso, e il timore di doverne rendere un giorno conto a Dio. Se 5, 19

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