Una città - anno V - n. 46 - dicembre 1995

QUEL PIANTO AL FUNE LE Il clima di odio religioso che era cresciuto negli ambienti di destra contro Rabin. La mania, importata dall'America, degli speakers, che ora tacciono. La fine dell'ethos pioneristico e del sacrificio che impediva anche di piangere. Tel Aviv che ora sembra Manhattan. La frattura con la diaspora americana e la rimessa in discussione della legge del ritorno. Israeliani e palestinesi sono ormai due popoli comunicanti che guardano la stessa tv. L'impatto forse decisivo delle lacrime di Arafat. Intervista a Wlodek Goldkorn. Wlodek Goldkom, giornalista e saggista, è redauore del 'Espresso. Di fronte all'attentato a Rabin, le indagini propongono l'immagine di un attentatore fanatico. Ci sono novità? Fondamentalmente non credo alla teoria dei complotti, proprio come atteggiamento mentale. Perché con questa teoria si spiega tutto il mondo, ma in realtà non si spiega niente. Come è successo altre volte in altri paesi nella storia di questo secolo - nel '20 in Germania fu assassinato Rathenau, nel '21 in Polonia accadde una cosa analoga-, anche in Israele, prima che l'assassino entrasse in azione, c'è stata una campagna di odio -non trovo altre paroleda parte di certa stampa. e non solo. Con una aggravante, che non è facile far capire a chi non frequenta la società israeliana e la cultura ebraica: per gli ebrei il rapporto fra la parola e il fatto è molto più immediato che non, ad esempio, per i cattolici. Tanto è vero che la stessa radice dbr in ebraico significa sia discorso che oggetto. Cioè parola e oggetto in ebraico sono la stessa cosa. Allora, nelle manifestazioni di piazza la cosiddetta destra pulita, quella del Likud, ha portato manifesti con Rabin raffigurato nelle vesti di un ufficiale delle SS. ln altri manifesti Rabin era rappresentato con la Kefiah palestinese, come se fosse un terrorista. Si tenga presente, inoltre, che la sigla dell'associazione di cui faceva parte l'attentatore è anche l'acronimo in ebraico dell'organizzazione di combattimento che guidò l'insurrezione nel ghetto di Varsavia. Se si aggiunge che certi ambienti religiosi, rabbinici, discutevano se a Rabin poteva essere applicata la legge del Talmud relativa a chi è un traditore o a chi mette in pericolo l'esistenza del popolo -e secondo il Talmud la pena per il colpevole di tali delitti è la morte- abbiamo un'idea del clima. Detto tutto questo, c'è poi da stupirsi se arriva anche la pallottola? Nel momento tutti si sono dimostrati sorpresi, ma oggi, col senno di poi, risulta incredibilmente evidente che sarebbe andata a finire così, che Rabin sarebbe stato ucciso. L'esistenza di un complotto bisognerà dimostrarla, ma che ci fosse qualche complicità è già chiaro, perché quando Igal Amir ha visto che quella sera sul palco c'era un cantante di sinistra ha detto: "Manca solo Dana International", che è un famoso personaggio, non si sa bene se uomo o donna. E l'ha detto in tono spregiativo, disgustato, provocando reazioni di assenso e di complicità fra i poliziotti incaricati del servizio d'ordine. Qual è stata la reazione della destra israeliana? In questo momento hanno la coda di paglia. C'è uno schieramento fanatico, fondamentalista, che è convinto che il Messia verrà, e quindi ogni cosa che succede è vista come un avvicinamento a quella data. E con questi c'è poco da capire o da spiegare, hanno un altro tipo di valori e basta. E poi c'è il Likud, la destra cosiddetta pulita, che in realtà non ha alcuna alternativa alla politica laburista. Non ce l'ha né rispetto alle tasse né rispetto alla pace. Rispetto a quest'ultima, l'unica cosa che riesce a dire è che il governo mette in pericolo l'esistenza dello Stato d'Israele. Ciò naturalmente non è vero, è pura propaganda, ma questo ora non ci interessa. Quello che ci interessa è la saldatura immediata con la destra fondamentalista che dice la stessa cosa e, in modo più fanatico, è disposta a tutto per scongiurare il pericolo che vede. Oggi si rendono conto, nel Likud, di avere esagerato, dicono che non si aspettavano una cosa del genere, si dichiarano dispiaciuti e in Parlamento si sono astenuti dal criticare il governo. Sono in cerca di una legittimità messa gravemente in questione. Da un po' di tempo in Israele c'è la mania, importata dall'America, degli speakers, di quelli cioè che montano degli altoparlanti sull'auto e poi se ne vanno in giro a dire quel che vogliono. In genere dal tipo di auto si capisce anche l'orientamento di questi speakers, comunque ce n'erano molti che dicevano cose del tipo: "non ce ne andremo mai dal Golan", "Hebron è ebraica". Ecco, dopo l'assassinio di Rabin, questo tipo di speakers è sparito. Io ne ho visto uno solo. Quelli che continuano a girare dicono: Shalom haver, che significa "addio compagno", "addio amico". Questo per dire che la destra, dopo l'assassinio, ha avuto il problema della propria legittimità. Ed è un problema che ha ancora. Peres ha sufficiente credibilità? Peres ha le stimmate dell'uomo non credibile, è vero. Rabin non era né colomba né falco. Era un generale e una persona estremamente antipatica, che rispondeva agli intervistatori a monosillabi. Non aveva visione politica delle cose, nel senso di progettualità, di prospettiva a lungo termine. Rabin fondamentalmente cercava di capire cosa serviva in quella giornata o rispetto a quel problema. Serviva la guerra? Faceva la guerra. Serviva la pace? Faceva la pace. Era un uomo che non conosceva mediazioni, né aveva veri conBOSNIACI A PARIGI Nessuno sa quanti bosniaci ci sono a Parigi, le stime dicono tra i due e i seimila, e sono totalmente approssimative. Non lo sa nemmeno la polizia, dato che la maggioranza di loro sono clandestini nella Ville Lumière. In Francia, un bosniaco, se non è un membro del governo, un artista che ha ricevuto l'invito dal Ministro della Cultura francese o un professore dell'Università di Sarajevo che è stato invitato a tenere delle lezioni alla Sorbona o alla Scuola Superiore, non può oggi entrare legalmente, nemmeno con la lettera di garanzia rilasciata dal proprietario della Peugeot. Nonostante tutto loro entrano. Si sa dov'è il controllo doganale più approssimativo e basta avere un amico francese che non abbia paura di far salire sulla sua auto un bosniaco: si attraversa la frontiera quando c'è un po' più di traffico, mostrando il passaporto dal finestrino sotto il naso dell'ufficiale doganale. di religione o nazionalità diversa, tuo padre si è sposato con una dalmata, e tu ti sei sposato con una somadina (una regione della Serbia), così i tuoi figli non sanno chi sono, cosa sono e dove sono. Che sei, per esempio, ostacolato nella lotta per la ricostruzione della monarchia degli Asburgo o che ti è proibito di formare una setta dei Mormoni a Zenica. Quando dichiari una cosa simile, la spieghi bene e evidenzi che è per questo che devi abbandonare i I tuo paese, allora ricevi il permesso per il soggiorno legale e il diritto di lavorare in Francia e anche qualche franco al mese, giusto per sopravvivere finché non trovi un lavoro. E puoi piangere la tua Bosnia quanto vuoi. Se, per caso, non vuoi farlo così, puoi avere, nel caso trovi nella polizia un uomo col cuore tenero, il permesso turistico per tremesi e completa incertezza, finché un giorno t'informano gentilmente che devi lasciare il territorio francese e che la Francia è pronta a pagarti le spese di viaggio. Puoi anche scegliere dove vuoi andartene e, siccome non hai un posto dove andare, ti ritiri nell'illegalità, senza nessuna possibilità di avere qualsiasi documento e, nonostante tutto, devi mantenere ottimismo e vivacità. "A Parigi non puoi perderti", dice un mio amico facendomi vedere lo stradario che si trova ad ogni fermata del bus, Vous ètes ici è indicato su ognuna, dovunque trovi la pianta, la leggi e ti senti meglio. La Francia ed i francesi fanno mostra di democrazia verso i bosniaci trattando coloro che sono entrati legalmente (che sono pochi) nello stesso modo di coloro che si sono infilati senza visto: ad entrambi offrono lo status di rifugiato politico, naturalmente con condizioni ed argomenti che si devono spiegare a fondo e certificare. E questo status, da qualsiasi lato lo si guardi, significa rinunciare al proprio paese, e anche al proprio popolo, perché l'argomento per ottenere asilo politico non è la guerra, e nemmeno che nel tuo paese hai perso tutto I bosniaci a Parigi sono gli esiliati del profondo tranne la tua testa, né che non avevi dove bisogno, non ce n'è probabilmente neanche uno andare: i motivi devono essere politici, religiosi che si trovi qui per sua scelta. Per esempio, una o nazionalistici, cioè mancanza di libertà, di rifugiata politica è anche la Sig.ra Meira di rispetto, o maltrattamenti ed esilio. Ma maltrat- sessant'anni da Gacku, che ha avuto i due figli tamenti ed esilio purtroppo non sono di Sa- uccisi combattendo nell'armata di BIH, o il Sig. rajevo. Karadzic ti rovescia centinaia di granate Edhem di settant'anni da Focia, che ancora sulla testa giornalmente e non importa che una spera che qualcuno della sua numerosa famidi quelle abbia distrutto il tuo appartamento, glia sia sopravvissuto e lo contatterà. nemmeno che tu sia stato ferito; un buon motivo Coloro che continuano in tutti i modi possibili ~otrebbe invece essere che il tuo bisnonno era a rimanere cittadini della loro Bosnia ed Erze81 110 eca Gino Bianco siglieri. Peres è invece il contrario di tutto ciò, è un uomo di grandissime visioni e un finissimo intellettuale. E' un critico letterario, scrive poesie, scrive racconti, che poi però non pubblica. In politica è l'uomo delle mediazioni, della politique po!iticienne, più che altro come forma melllis. Lui concepisce e pratica la politica fra questi due poli: quello visionario e quello della politica spicciola, dell'intrigo quasi. Da qui la fama di uomo inaffidabile, ma in realtà non è un corrotto, si perde spesso nella manovra per la manovra. Per quanto riguarda il processo di pace non credo che possa rallentare. Peres cercherà di recuperare i partiti di destra, religiosi, a scapito del rapporto con il Merets, l'alleanza di sinistra, che aveva un rapporto stretto con Rabin. La spiegazione di questa manovra può essere che mentre Rabin è stato un personaggio non di sinistra, anzi fondamentalmente di destra, che aveva bisogno del Merets come di un contrappeso, Peres sa che nel processo cli pace non avrà problemi da sinistra e che il suo obbiettivo è di coinvolgere i piccoli partiti di destra, sia q_omerete di sicurezza in Parlamento, dove la maggioranza è molto risicata, sia per isolare ulteriormente il Likud. Come disegno non mi sembra stupido, soprattutto in considerazione del fatto che le truppe israeliane stanno rispettando la tabella di marcia dei ritiri dalla Cisgiordania, anzi li stanno anticipando, e in considerazione di una riapertura dei canali di comunicazione con la Siria. Qual è l'atteggiamento della società israeliana nei confronti dei coloni, che sono i più ostili alla restituzione dei territori? In questo momento non sono molto popolari, è evidente che sono loro i mandanti morali dell'assassinio. La società israeliana è stata scossa, ai funerali c'erano tanti giovani, tanti soldati. Io ho una mia tesi, abbastanza ardita, ma ci credo davvero: la società israeliana sta uscendo dall'ethos pionieristico, dall'ethos del sacrificio, dello stringere i denti e andare avanti. E' un processo non ancora compiuto, però è già ben visibile: nel livello di vita, nei viaggi all'estero, in un certo edonismo, in un certo gusto per i ristoranti. Te! Aviv è ormai una specie di New York, con luoghi per gay e lesbiche, con tutte le cucine possibili, una vita notturna intensa, sembra davvero di stare a Manhattan. Tutto questo, la scoperta dei bei vestiti, dei buoni cibi, l'idea che è lecito piangere, questi soldati che piangono ai funerali dei loro commilitoni - potremmo chiamarlo ethos edonistico, delgovina, lo fanno assolutamente invano. Non c'è solo da fare i conti con le leggi francesi, perché la validità del passaporto scade e per rinnovarlo ci vuole il permesso delle autorità bosniache. E' difficile che troviate una persona che lo abbia, non si sa nemmeno quale istituzione lo rilasci. Neanche all'ambasciata ti possono aiutare: loro devono rispettare le regole; una persona che permanentemente rifiuta di chiedere asilo ha speso sei mesi cercando tra i parenti, gli amici, anche le conoscenze, un permesso simile e l'unica cosa che abbia ottenuto è la risposta al telefono che deve venire a Sarajevo per prenderlo! E come puoi andare quando la validità del passaporto è scaduta, per non dire altro? Così non c'è altro da fare che andare con qualcuno che parla bene il francese all'associazione La France, /erre d'asile, far visita al gentile e rispettabile (tutti sono d'accordo su questo) signor D. per confessare ogni cosa. A lui potete confidare tutto, esprimere amarezza, dire che se la Francia, l'Europa e l'Onu facevano il loro lavoro come dovevano, tu non saresti a Parigi, se non, al massimo, come turista in un viaggio organizzato. Con le lacrime agli occhi puoi dire che ami la tua patria più di tutto al mondo, parlare del tuo matrimonio "misto", dei tuoi bambini "misti", che sei ateo, che non ti sei mai interessato di politica, che badavi al tuo lavoro e alla tua vita - lui capirà, ma ti consiglierà anche come la tua amarezza si può trasformare in argomenti concreti per l'immigrazione politica. "Le emozioni non aiutano", dirà con calma. Le emozioni non aiutano, ma nemmeno altro. Essendo un rifugiato o no, il bosniaco a Parigi non è di nessuno, non è nessuno e non è niente; con i documenti di un rifugiato puoi studiare francese gratis a Cimade. insieme con cingalesi, curdi, cinesi, cileni e ruandesi, puoi trovare lavoro in nero (con tre milioni di disoccupati francesi, un lavoro in regola non puoi trovarlo mai), puoi avere per Ramadan (indipendentemente dalla tua religione) un pacco d'aiuti dall'associazione bosniacaAssocia1io11Bosniaque, lo star bene- sta prendendo il sopravvento sull'altro, su quello storico e tradizionale di Israele, l'ethos pionieristico appunto. Dopo l'assassinio di Rabin, migliaia e migliaia di persone, soprattutto giovani, sono andate sul luogo dell'attentato e hanno lasciato una candela accesa, che nella cultura ebraica simboleggia l'anima, l'anima che vive nel fuoco della candela. Io non so bene perché tanti ragazzi siano andati, non credo che Rabin fosse vissuto dai giovani come un padre, non era un uomo che suscitasse questo sentimento. Forse sono andati perché si sono sentiti minacciati dai coloni, da quello che essi rappresentano e che vogliono e che può mettere in discussione la loro vita attuale, fatta di libertà, di cose belle. Quando i coloni dicono di essere i veri eredi del sionismo in parte hanno ragione. A parte l'aspetto del messianesimo, che davvero non ha niente a che fare col sionismo, per il resto possono avere ragione: l'idea del sacrificio, del legame con la terra, di essere pronti a morire e ad ammazzare, è strettamente legata alla fase pionieristica del sionismo. Tanto è vero che molti sono venuti via da Nablus, da Hebron, da Junin, da Gaza, perché non puoi vivere bene se devi fare il militare 24 ore su 24. E' vero che il sostegno popolare ad Hamas sta calando? Hamas è effettivamente in calo, sostanzialmente perché l'esercito israeliano sta lasciando i territori. La pace si vede, e Hamas cos'ha da dire, cos'ha da proporre? Ha basato tutta la sua politica sul fatto che non si può fare la pace col nemico sionista, ma nel momento in cui il nemico sionista ritira le sue truppe e si comincia a vivere normalmente cosa gli resta da dire? Inoltre c'è la figura di Arafat, la cui popolarità è in crescita perché cominciano a vedersi dei risultati. Ho sempre pensato che le due società, israeliana e palestinese, sono vasi comunicanti. Ed è successo che ad un certo punto Rabin, che odiava Arafat, ha cominciato a fidarsi, la società israeliana ha cominciato a fidarsi e Arafat s'è sentito più sicuro, s'è convinto che Israele non lo stava prendendo in giro ed è diventato più deciso, riacquistando carisma fra i suoi. Poi è successo che dopo la morte di Rabin rutti gli israeliani hanno visto in tv piangere Arafat e questo è stato di un impatto enorme, soprattutto in una società così emozionale, quasi isterica nelle sue emozioni, come quella israeliana. Questa maggiore fiducia in Arafat da parte degli israeliani ne aumenta il peso, il ruolo fra i palestinesi. puoi partecipare alle manifestazioni di protesta organizzate al Trocadero dai francesi, davanti all'Odeon, al Teatro Europa o nella Salle Mutualitè, puoi ascoltare i discorsi focosi di Henry Levy, Bruckner, Glucksmann o Leon Schwartzenberg contro l'aggressione serba, e poi dopo guardare alla tv i massacri sulle strade delle città bosniache, puoi fare visita agli amicirifugiati e insieme a loro deprimerti, puoi ascoltare Radio Bosnia e Rfi, o puoi salire sulla Tour Eiffel, puoi camminare perii Boisde Boulogne, puoi vagare per le viuzze di Pigalle, visitare il Louvre, passeggiare lungo la Senna, per il Palais Royale, per l'Ile de la Cité, con la famosa Notre Dame; puoi, se da qualche parte arriva qualche franco, godere i miracoli dei Caffè di Saint Miche! o St. Germain des Prés, puoi andare alla Bastiglia per le celebrazioni del 14 luglio. Non sempre nella tua testa avrai il martellamento: "Sì, Parigi è meravigliosa, veramente irresistibile, ma perché sono qui? Il mio posto è altrove". Batterà nella testa anche più forte, perché (a causa del costo basso) abiti nei sobborghi, che i francesi hanno quasi abbandonato, o, nella migliore situazione, al confine di uno dei due (non solo per i numeri) ultimi arrondissements parigini, 19° e 20°, tra gli immigrati di tutto il mondo, dove la polizia costantemente cerca i terroristi dai diversi colori: nazionalisti (non dei territori della ex Jugoslavia, i loro nazionalisti sono là), integralisti, fanatici, macro/ e spacciatori. Batte più spesso, perché tutto questo che tu sai essere Bosnia e la sua tragedia, tutto quello che succede inBosnia, qui diventa solo informazione per i media e niente più; conoscenza, ragione, morale del 99% dei cittadini di Parigi si fonna sulla graduatoria informativa dei media, prima di tutto della tv. La Bosnia è spesso ai primi posti, ma la coscienza del ricevitore delle informazioni è occupata anche dagli orrori degli altri paesi. "Where are you from?", mi chiede in un caffè una mia fortuita conoscenza, un'inglese, che vive a Parigi già da dieci anni. "Da un paese sfortunato", rispondo. Ripeto, siamo di fronte a vasi comunicanti non a due società separate: si incontrano sempre, guardano la stessa tv, non ci sono muri. Questa situazione nuova ha tolto spazio ad Hamas, il cui inganno a danno dei palestinesi s'è rotto, è scoperto. Gli attentati a Te! Aviv contro gli autobus non erano attentati contro Israele, ma contro il governo Rabin. Hamas voleva un governo del Likud. Ma questo inganno ormai è saltato, non vorrei essere troppo ottimista, ma credo sia così. C'è frattura fra una parte della diaspora americana e Israele? Innanzitutto bisogna parlare di un termine che tu hai accuratamente evitato e cioè "lobby ebraica". Bene, questa lobby non è mai esistita. E' esistita invece, soprattutto negli Usa, la lobby israeliana, formata da tantissimi ebrei ma non solo. Questa lobby ha appoggiato ogni politica dei governi israeliani, persino il governo Shamir è stato appoggiato. In tanti non erano d'accordo, ma il consenso non è venuto meno. Anzi, chi s'è provato a rompere questo consenso, anche in Italia, ha poi rischiato di finire emarginato. Con l'avvento del governo Rabin e soprattutto del processo di pace, la lobby israeliana negli Stati Uniti s'è spaccata. Ed è avvenuta una cosa che non succedeva dalla fine della seconda guerra mondiale: una parte di questa lobby ha cominciato a contestare il governo israeliano, ha rotto la regola non scritta che il governo in carica non si critica, ha cercato di mettere in atto azioni, ad esempio nel Senato americano, per rendere più difficile la vita al governo Rabin. Pensiamo alla decisione di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviva Gerusalemme. Ciò che ha contribuito grandemente a mettere in crisi il rapporto fra Israele e la lobby in America è stato il fatto che buona parte, e sicuramente quella più fanatica, dei coloni in Israele era di origine americana, erano ebrei americani che in virtù della legge del ritorno sono immediatamente diventati cittadini israeliani. Queste persone erano assolutamente dei marginali negli Stati Uniti, gente anche strana, un po' pazzoide, che in Israele invece è artefice di azioni di grande impatto e di gravi conseguenze. Tutto questo ha messo in discussione il rapporto tra Israele e la diaspora, e la natura stessa di Israele, la sua identità, se è vero che si comincia a mettere in discussione la legge del ritorno, che significa rimettere in discussione l'esistenza dello Stato di Israele. - "Ah, lo so, dalla Cecenia, I'm sorry", ribatte ·senza pensare Helen, perché le immagini da . Grozny, al momento al vertice delle informa- . zioni, hanno cancellato tutto il resto. "Sì, Helen", rispondo; io sono un ceceno finché un'altra tragedia, trasmessa via satellite da Sarajevo, non le cambia l'immagine del mondo. "Raccontami", chiede Helen, "mi piace ascoltare la tua life-story." Per rivelarle discretamente che sono bosniaco, racconto le esperienze di Sarajevo, indicando i nomi dei posti: Bas-Carsija, Marindvor, Grbavica,Trebevic, Butmir, Drvenija, Bistrik, Bjelave, Kusevo, Zetra, parlo del IV edificio in mezzo alla strada tra il centro di Sarajevo e Ilidza e con tutto come background i crimini di Karadzic e Slobodan Milosevic, ma Helen ha capito tulio come una life-story cecena. "Oddio, com'è noiosa la mia vita", ha gridato, "vorrei andare subito in Cecenia". "Ma io non sono ceceno", ho urlato, "nemmeno russo". "Non è importante", risponde Helen, "vi invidio così tanto". Helen Later è un'europea tipica, appena scende nel lagraduatoria informativa della tv, la Bosnia non esiste nella loro mente, neanche nella mente dei parigini comuni; torna in alto ed esiste solo quando uccidono, distruggono o violentano; in altre parole la Bosnia, nella mente dell'europeo comune, anche dei parigini, esiste solo come un raro orrore. E dall'orrore non ci si salva con l'emigrazione, mi dice un bosniaco, questo è solo un passaggio nell'orrore del secondo livello. Figli e nipoti pronunciano perfettamente l'erre francese solo dopo pochi mesi d'emigrazione, ma allo stesso ritmo dimenticano la loro lingua. Contemporaneamente ci sono sempre più bosniaci, specialmente anziani, che pensano di tornare a casa, o aquel che resta, agli incendi, sotto le bombe, e aspettano la prima opportunità. Alcuni ne hanno già approfittato. Come tornare? Nello stesso modo col quale siamo arrivati: con la coscienza dell'emigrazione, indietro. Dzevad Sab/jakovic UNA CITTA' 5

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==