Una città - anno V - n. 40 - aprile 1995

tale, che ha una radice di colpa e che soltanto a partire da essa potrà davvero diventare un uomo libero, e per farlo deve andare in galera, deve andare in Siberia. Ma siamo sempre a questo benedetto concetto-chiave che è il concetto di libertà e che non basta intendere come la intende Rawls, tanto perdi re il nome di un filosofo della libertà. Non basta intendere la libertà rispetto alle condizioni che la rendono possibile, cioè rispetto alle libertà specifiche, la libertà va intesa in senso ontologico, metafisico se vogliamo, cioè come quell'origine che non è preceduta da nulla, come quell'origine che è Dio stesso, che è il senso dell'essere, se l'essere ha un senso. Possiamo dire che l'essere non ha nessun senso, ma, di nuovo, in base a che cosa diciamo che l'essere non ha nessun senso? In base a cosa diciamo che l'essere non ha nessun senso perché essere è uguale a soffrire? Perché non diciamo, invece, che l'essere ha senso, che il male non è la sofferenza perché la sofferenza libera dal male? Noi diciamo una cosa o I' altra in base a una scelta e parlando del concetto di libertà siamo nel cuore della questione, ali' origine, dove, non a caso, noi scegliamo di dire che l'essere ha senso, che questa dialettica del male e della sofferenza è davvero liberatrice, o che, al contrario, tutto ciò non ha senso perché l'essere, come diceva Anassimandro, è espiare il fio dell'essere nati. Nel concetto cristiano di espiazione non si tratta soltanto di pagare il fio, ma di scegliere uno stato, cioè di scegliere un modo di essere, di scegliere quel dono delle lacrime di cui parla un altro personaggio de I fratelli Karamazov. E che cos'è il dono delle lacrime se non questo sciogliersi del grumo del male? Questo, dal male alla sofferenza al dolore, è un passaggio importante perché il male è quello che patiamo e quello che facciamo, ma il dolore è la consapevolezza che il male patito ha una radice di colpa, cioè che è il nostro destino anche se non ne abbiamo colpa diretta. Spesso ci chiediamo cosa c'entriamo con i nostri progenitori, cosa c'entriamo con questa storia di orrori che pesa su di noi, ma c'entriamo perché siamo tutti vincolati da un rapporto di solidarietà nella colpa: continuando a citare Dostoevskij, che è il più grande che abbia pensato a questo problema: "siamo tutti colpevoli di tutto". Recentemente, su la Repubblica, Alberto Arbasino sosteneva l'esatto contrario di tutto ciò. Con la sua solita ironia si chiedeva perché la casalinga di Voghera dovrebbe essere colpevole di quello che accade in Bosnia, perché c'è tutta questa smania di soffrire, di sentirsi colpevoli. Ma siamo colpevoli di quello che succede in Bosnia perché, con buona pace di Arbasino, c'è solidarietà nella colpa. Certo, siamo tutti casalinghe di Voghera, cioè siamo tutti dei poveretti di fronte a cui questi pensieri che ci proiettano negli abissi dell'ontologia, dell'essere, del nulla e così via, sembrano molto lontani da noi, la nostra esperienza è quella banale di chi fa un male banale, ma non si deve dimenticare il principio della solidarietà di tutti nella colpa. Diceva prima che l'orrore di Auschwitz nasce dal sentimento giudaico-cristiano ... Nell'orizzonte cristiano il male non è una necessità, ma una possibilità. Il male è, ma potrebbe non essere, quindi non è necessariamente. Se noi pensiamo a questo possibile non essere ecco che misuriamo che cosa davvero il male sia, cogliamo il fatto che il male è appeso alla libertà piuttosto che alla necessità. Qui si potrebbe aprire un lungo discorso, di tipo logico e ontologico prima che etico, per cercare di capire che cosa esattamente voglia dire questo agganciare il male alla libertà, quindi l'identificazione della libertà con l'essere stesso, e sarebbe un discorso piuttosto complesso che ci porterebbe a riconoscere nell'essere l'infondatezza, cioè il fatto che l'essere è stretto parente del nulla, anzi, che l'essere non è se non in forza del nulla. Se l'essere fosse necessariamente quello che è, il nulla sarebbe dissolto, risulterebbe impensabile, che è precisamente la via scelta dai presocratici e ripresa da Platone. il male fu scelto • • • 1nor1g1ne da Adamo ed Eva Nel mio libro Storia del nulla cerco proprio di mettere in luce il fatto che il concetto del nulla per lungo tempo non ha potuto essere pensato perché pensare l'essere come l'opposto del nulla, come una realtà autofondantesi che esclude da sé il nulla, comporta l'impossibilità di pensare I' altrimenti, cioè il poter essere altrimenti da come le cose stanno: quindi non possiamo pensare la libertà. Spesso, invece, il male e il nulla sono identificati: si dice "l'essere trionfa sul male e sul nulla", ma il male e il nulla sono due cose completamente diverse, vanno tenute distinte perché il nulla, ben lungi da essere il male,è una sorta di salvaguardia, è ciò che rende possibile il bene. Solo a partire dal nulla, cioè a partire dall'essere come libertà, è possibile scegliere il bene e cogliere il male come qualche cosa di non ineluttabile. E' questa possibilità, il male che potrebbe non essere, che fa scandalo mentre se fosse necessario il male non farebbe scandalo, se mai farebbe scandalo il fatto di essere così ciechi da non prendere atto della sua ineluttabilità. Il mito del peccato originale dice che il male è stato scelto ali' origine da Adamo ed Eva e noi tutti siamo solidali in quella colpa perché c'è la libertà, ma è proprio questo principio della libertà ciò che rende il male così scandaloso, così orrendo. Se non ci fosse stato l'ebraismo e il cristianesimo non ci sarebbe stato l'orrore che vediamo in Auschwitz, non avremmo saputo coglierlo. Non è che i pagani non annientassero i loro nemici, ma per un pagano annientare il nemico in quanto nemico apparteneva alla necessità del1' essere e quindi, essendo necessario, era anche giustificato. E' là dove la libertà si converte nel suo opposto, cioè diventa decisione per il male, che abbiamo Auschwitz. Qualcuno ha osservato, giustamente, che con Auschwitz il genocidio acquista un carattere unico, anche se sappiamo che prima e dopo Auschwitz ci sono stati centinaia di Auschwitz. Se noi cerchiamo di capire che cosa c'è di assolutamente unico in Auschwitz, che cosa lo SARAJEVO, APRILE 95 Durante il periodo più duro dell'assedio di Sarajevo, quando l'isolamento era totale, un ufficiale francese dell'Unprofor in licenza, andò in un famoso ristorante di Parigi e chiese una birra dolce. Quella che gli portarono non gli piaceva e ne chiese un'altra più dolce. Neanche la successiva andava bene. Fece chiamare il direttore e sbottò: "ma come, questo è uno dei migliori ristoranti di Parigi e non trovo la birra che mi piace, mentre la trovo a Sarajevo assediata!!". In realtà quell'ufficiale non era un intenditore, perché la birra prodotta in quel momento dalla famosa birreria di Sarajevo, fondata nel 1864 da degli austriaci per la qualità dell'acqua della sua fonte, non era delle migliori. Era B1ol1otecGa ino Bianco prodotta artigianalmente in una fabbrica sottoposta ai bombardamenti, con gli operai spesso occupati a spegnere gli incendi. Ma nonostante vi siano cadute 120 granate, nonostante i più di 100 camion distrutti, le 10.000 tonnellate di materiali sequestrate dai serbi, i danni stimati attorno ai 35 milioni di marchi, la birreria non ha mai cessato la produzione, anche se ridotta al 2 o 3 % della potenzialità. Quella birra spesso veniva scambiata con benzina dell'Unprofor. Per il resto la birreria ha prodotto acqua. Con l'acqua della sua fonte ha dissetato l'intera città, salvandola da una sicura, veloce caduta, quando i serbi tagliarono le fonti di approvvigionamento idrico che erano tutte a/l'esterno della città. distingue da tutta la storia che pure è storia di stermini, di genocidi, io direi che questo unicum è la decisione del male per il male, è la volontà di fare il male indipendentemente da ogni scopo. Si potrà dire che, dietro ad Auschwitz, c'era un'ideologia che follemente e perversamente cercava di giustificarlo -il pericolo ebraico, gli ebrei che avevano in mano la finanza, eccetera-, ma la mia impressione è che l'unicità di Auschwitz sia tale perché, in realtà, queste giustificazioni erano del tutto secondarie e alla radice c'era una pura volontà di sterminio, progettata da qualcuno e a cui molti si sono adattati senza nessun problema. E' interessante che, negli interrogatori di coloro che furono coinvolti in Auschwitz, non venga mai detto: "lo ritenevo di salvare la razza ariana", ma sia sempre ripetuto: "Mi è stato detto di fare questo e io l'ho fatto ..." perché è un riflesso di questa originarietà maligna, cioè del fatto che lì abbiamo a che fare con la libertà di perpetuare il male. Quindi identificare libertà e bene è addirittura pericoloso? Capita spesso di leggere definizioni della libertà che la vogliono come decisione per il bene, ma questa è una sciocchezza: la libertà è una decisione e questo è quello che la rende assolutamente ambivalente. Sul piano politico si parla della libertà come di un valore, la parola libertà diventa una specie di slogan, ma la libertà non può essere utilizzata come slogan di alcunché di positivo perché non è un valore, ma ciò a partire da cui i valori sono possibili.Tant'è che non c'è valore che sia tale in assenza di libertà. Prendete anche il valore più alto, più indiscutibile, quello della giustizia, togliete la libertà e fate della giustizia qualche cosa di coercitivo, di imposto: essa, come abbiamo visto nei regimi totalitari, diventerà il suo contrario. Viceversa prendiamo qualche cosa che appare come un disvalore, e uccidere una persona è certamente un disvalore, mettiamoci la libertà, quindi pensiamo quella uccisione come una scelta meditata, e, paradossalmente, potremmo trovare anche nell'atto più svalutato e più eticamente condannabile qualche cosa come un valore. l'indifferenza, isteria dello spirito Ciò accade, nel caso più banale, quando si uccide qualcuno per difendere un innocente. Non ci sono regole di ordine generale che aiutino a dire "questo è bene" o "questo è male", ma c'è appunto da capire che un gesto ha valore, che è giustificato eticamente, solo se è in rapporto con la libertà. Insomma, sto sostenendo la tesi dell'assoluto primato della coscienza su qualsiasi decisione che possiamo prendere. La parola "indifferenza" diventa molto brutta ... Indifferenza è una parola molto brutta. Kierkegaard chiama l'indifferentismo morale "l'isteria dello spirito". Di uno spirito incapace di uscire dalle proprie contraddizioni, indifferente a tutto ma convinto di poter utilizzare tutto ai propri fini. - Dall'interno della birreria partì un sistema di distribuzione alternativo dell'acqua con tubazioni e 60 terminali sparsi nella parte della città dove si trova la fabbrica. Il resto veniva servito con cisterne. L'acqua, proveniente da una falda profonda 300 metri, già ricca di sali minerali, veniva ulteriormente addizionata di sali adatti al sostentamento della popolazione. Ora in fabbrica lavorano quasi esclusivamente donne, gli uomini solo se è necessario. I magazzini di stoccaggio sono pieni. "Siamo pronti per esportare" dice con orgoglio Relif Pasic, direttore generale della Sarajevska Pibara. Quando sarà possibile? UNA CITTA' 1 5

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