Una città - anno V - n. 40 - aprile 1995

sottosuolo e solo il resto finisce ai rubinetti. Per non parlare poi degli usi non appropriati: addirittura si lavano le automobili con acqua potabile oligominerale, si irrigano i prati, gli orti, i giardini, raffreddiamo i nostri frigoriferi industriali con acqua oligominerale, allontaniamo la nostra merda nelle case con acqua oligominerale con scarichi di I0-15 litri ognuno. Occorrerebbero reti duali, con acquedotti di acque non pregiatissime, ma ancora molto buone, per tutti gli usi non potabili, non direttamente riferiti all'alimentazione umana. Per allontanare i nostri metaboliti non è necessaria una qualità chimica da acqua oligominerale. Ma, tornando al fiume, il risultato è che, se i fiumi di grosse dimensioni resistono ancora, tutti i fiumi medio-piccoli sono ormai ridoni a miseri rigagnoli costretti, però, a ricevere degli scarichi inquinanti largamente aumentati sia nella qualità che nella quantità delle molecole inquinanti: sono aumentate le attività produttive e industriali, tutte le case ormai hanno il loro scarico, è aumentata la popolazione. Tutto ciò vuol dire che quell' inquinamento arriva a concentrazioni per litro mai conosciute prima. Ecco allora che i nostri fiumi si inginocchiano: una minore portata comporta un'altrettanto minor capacità di autodepurarsi e di metabolizzare l'inquinamento. Insomma, qualità e quantità per i fiumi non sono scindibili: la qualità di un fiume dipende anche dalla quantità di acqua che ci sta. Se a ciò si aggiunge che per motivi di ignoranza, ma anche di furto legato a Tangentopoli, sui fiumi sono stati eseguiti lavori imponenti di devastazione dello spazio fisico, chiamati "sistemazioni idrauliche" ... , "regolarizzazioni" ..., "riordino" ... , abbiamo un quadro del disastro. I fiumi, come dicevo, sono stati canalizzati e rettilineizzati,cioè manomessi ed accorciati, a dei livelli mai conosciuti nella storia del pianeta. Il fiume, per conto suo, abbandonandosi a meandri, a ricami sul territorio, molto ampi soprattutto in pianura, percorre molti più chilometri di quelli che noi percorriamo nella solita strada o superstrada rettilinea che scorre ad esso accanto. Generalmente in natura i chilometri fluviali sono addirittura il doppio, quindi se noi rettilineizziamo perdiamo la metà del la sua capacità depurativa. Con lo sviluppo di superficie abbiamo perso anche gran parte della capacità di ritenzione dell'acqua sul territorio. E' evidente che quando arriva la piena, se il corso normale riteneva un tot d'acqua, rettilineizzato ne ritiene di meno. Non solo, ma l'energia dell'acqua giunge a livelli impressionanti e allora il fiume sarà simile a una pista da bowling. Il risultato di questa politica noi a Pescara l'abbiamo visto nel l'apri le '92, quando la prima pioggerella seria ha provocato miliardi di danni, distruzione nel porto-canale con l'affondamento di decine di imbarcazioni e due morti per un ponte spazzato via sul fiume Tavo. Comunque, la cosa più importante da capire è che il fiume è lo specchio del territorio: se il territorio ha inquinamento diffuso, ha delle strade assai trafficate con sgocciolamento di olio e polvere di pneumatici, il fiume sarà di pessima qualità. Si parla addirittura di un "effetto via Emilia" dal momento che tutti i fiumi emiliani, attraversata la via Emilia, vedono peggiorare la loro qualità: come se fosse una linea di confine. Più il territorio è boscato, più è pulito, più è sistemato a prati più il fiume avrà un'elevata qualità d'acqua, perché l'acqua viene maggiormente ritenuta dal territorio, viene filtrata e depurata e raggiunge lentamente il fiume. Se tutto è capannonizzato, asfaltato, cementificato e impermeabilizzato, gran parte dell'acqua arriverà a valanga nel fiume in piena, al territorio resta poco o niente, le falde si impoveriscono perché l'infiltrazione è minima e quindi i pozzi tendono a seccarsi ... In definitiva, lo stato di qualità del fiume è esattamente proporzionale allo stato di qualità del territorio. E' possibile "tornare indietro"? A livello culturale, secondo me, si tratta di fare entrare nella scuola e nell'università italiana, nella mentalità dei tecnici del Genio Civile, dei ministeri, delle amministrazioni regionali e della gente che il fiume è un gigantesco depuratore naturale e che il fiume non è solo dove scorre l'acqua, ma è anche il suo sistema ripari aie, cioè lo spazio che gli sta accanto. Sono due concelti basilari per impostare progetti di tutela eco-sistemica. Che fare? In tuui gli alvei asciutti, cioè quelli che sono invasi solo da piene annuali oppure da piene probabili a 10, 15, 20 anni, non bisogna costruire, non bisogna impermeabilizzare, non bisognerebbe neanche coltivare per mantenere un livello di naturalità minimo desiderabile, almeno per 150-200 metri in media lungo le aste fluviali. Questo è un primo intervento, e sono riforme che non costano niente, sono solo culturali: si traua di rinunciare a devastare. Occorre poi cominciare ad agire sulla prevenzione, sulle sostanze tossiche. Prima questione: di un prodouo che noi utilizziamo dovremmo avere nell'etichetta la dichiarazione perfetta, non generica, anche rispetto alla sua eco-tossicologia. Se io pago un prodotto che acquisto ho il diritto di sapere che cosa c'è dentro e se fa male. Questo fatto che ci coinvolge come cittadini, come consumatori, potrebbe diventare decisivo per piegare l' industria a una transizione verso molecole dolci, molecole cioè di origine naturale e assorbibili dalla natura. La più grande pressione va compiuta nei riguardi della detergenza: dobbiamo sostituire ancora tantissime molecole, che si trovano nei detersivi, con molecole velocemente e completamente biodegradabili e dobbiamo utilizzare il più possibile saponi, perché iIsapone è atossico, velocemente e completamente biodegradabile. Quando dico sapone intendo sapone come termine chimico, cioè quello che usava la nonna, una combinazione di grassi con la soda o la potassa, per capirci. Ebbene, oggi con i saponi in polvere o liquidi riusciremmo a dare una risposta a quasi tutti i problemi della detergenza e se non lo si utilizza è solo per il business delle molecole chimiche e dei detersivi, da una parte, e delle nostre lavatrici, che proprio perché lavano soprattutto con l'aggressività delle molecole chimiche e ad alta temperatura, possono essere costruite molto leggere. Per lavare ecologicamente dovremmo passare al1'utilizzo di lavatrici robuste con molecole soft soprattutto a base di sapone, per più tempo e a bassa temperatura e quindi anche con basso consumo energetico. Questo è possibilissimo, la tecnologia c'è da anni, c'è solo il problema di piegare l'esasperato business di detersivi dove, fra l'altro, sia la pubblicità che la confezione costano spesso più del prodotto. Venendo poi al problema della depurazione delle acque usate, la rivoluzione da fare è quella di tarare lo sforzo di depurazione rispetto alle esigenze del corso d'acqua e non rispetto ai dettati di una legge stupida come la Merli, che ha tabelle uguali per tutti quando ogni fiume ed ogni scarico è diverso dall'altro. A noi importa agire sulle fognature per tutelare il fiume,quindi i nostri occhi devono rivolgersi al fiume, al corso d'acqua, al canale e da lì prendere indicazioni suli 'entità e sul tipo di depurazione per le fognature. Il problema della depurazione delle acque è un grande problema, non esiste un'unica soluzione, ma sono noti, ormai, sistemi di depurazione, non tecnocratici, non industrialisti che, assemblati insieme, possono produrre grandi risultati con tante piccole soluzioni diffuse. Per esempio i depuratori che si chiamano percolatori: i percola tori sono depuratori realizzabili anche con sassi di fiume, hanno una loro buona efficienza, funzionano con pochissima, o nulla, energia elettrica e non vengono utilizzati, perché non hanno il grosso business industriale dietro. Sono depuratori ormai ben conosciuti da 50 anni, che però siccome richiedono poche pompe, pochi impianti, poca gestione e poco business sia nella B1 liotecaGino Bianco realizzazione che nella gestione non vengono mai proposti. Fino a quando il mercato lo fa l'industria, questa ti venderà quel che costa di più, e quindi impianti tesi a massimizzare le spese al l'atto del la progettazione e della realizzazione e che ti legano alla gestione, come avviene invece per i diffusissimi impianti biologici a fanghi attivi. Eppure esistono delle tecniche addirittura neglette in Italia che sono conosciute come "fitodepuratori"; in realtà si tratta di terre umide e cioè di depuratori che funzionano con l'attraversamento della fogna in terre a permeabilità studiata, su cui alleviamo la comune cannuccia di palude o piante simili. Sono dei depuratori che hanno un bassissimo impatto ambientale, bassissima necessità di manutenzione, che si integrano perfettamente nel paesaggio, proprio non li vedi e non li senti, non richiedono corrente elettrica e spesso si configurano come un prato, un'aiuola, con delle erbe lì seminate e riescono a darti dei buoni risultati. Sarebbero particolarmente adatti ai nostri climi, ma da noi non ce ne sono. i delicati e preziosi richiami fra sessi e specie Soltanto su pressione dei movimenti ecologisti e su imitazione di quel che si fa in Austria, in Germania e in Slovenia, se ne comincia a parlare ora. Hanno, però, il problema di impegnare da 2 a 4 mq. per abitante servito. E' evidente che dove non c'è spazio, dove non ci sono terreni a disposizione bisogna ricorrere ai depuratori sofisticati, quelli tecnologici a fanghi attivi. Una città come Pescara, dove il territorio è tutto urbanizzato, non può che permettersi un depuratore costipato di questo tipo, ma faccio presente che nell'80-90% degli scarichi di piccoli centri, di case sparse, di contrade, potremmo ottenere un elevato livello di depurazione con i fitodepuratori, a bassa tecnologia e inseribili nel paesaggio senza problemi. Invece, ad esempio, in Abruzzo abbiamo un'inflazione di depuratori sofisticati a fanghi attivi: in alcuni paesini di 800-1.000 abitanti ve ne sono anche due o tre, mentre per avere economicità nella gestione ne occorrerebbe uno solo per una città di 60 mila abitanti. Com'è la situazione dell' Adriatico dopo l'eutrofizzazione? La prima moria di pesci a Milano Marittima del '69-'70, l'eutrofizzazione, le biotossine concentrate nei molluschi, fenomeni come le vongole blu o le mucillagini, sono tutti aspetti di un unico problema: l'Adriatico è squilibrato. Così come il fiume è lo specchio del territorio, la qualità del nostro mare è lo specchio dello stato dei nostri bacini idrografici, quindi dei fiumi e dei loro territori messi assieme. Credo che anche qui siamo lontani dall'affrontare inmaniera giusta il problema; manca, infatti, la conoscenza dei rapporti tra le varie componenti degli ecosistemi marini: per esempio, in che maniera sono collegate tra di loro le diatomee e le dinoflagellate (microalghe), i molluschi e altre popolazioni. Le popolazioni in natura comunicano tra loro con segnali chimici anche in tracce, comunicano con segnali visivi, acustici o elettromagnetici e quindi, lo ripeto, oggi non è importante solo la quantità dell'inquinamento ma anche la sua qualità: un inquinante se va a camuffare un segnale naturale importante, anche in tracce può provocare disastri. Faccio un esempio terrestre, per capirci: due farfalle di sesso diverso si sentono con l'emissione di ferormoni, delle sostanze in tracce inimmaginabilmente basse a distanza di chilometri, e questa loro ricerca può benissimo non essere disturbata da una qualsiasi puzza molto diversa, derivante anche da un inquinamento massiccio, mentre può bastare un inquinamento atmosferico solo in tracce ma capace di camuffare quel segnale per impedire che le due farfalle si trovino. Stessa cosa per due lucciole che si cercano per accoppiarsi _con i propri segnali luminosi: se_c'è un'autostrada vicino, vengono confuse e seguono tutti i segnali luminosi dei fari delle autovetture e non riconoscono più il loro alfabeto Morse. Oppure il grillo che si sente con la "grilla" con un segnale acustico preciso: può passare un jet e non Ii disturba, perché quel suono è totalmente differente, ma ci può essere una segheria che ti dà quel tipo di trillo lontanissimo appena percettibile che però camuffa il segnale e non si ritrovano più. Ecco, io credo che questi esempi vadano trasportati a livello di rapporti e dinamiche di popolazioni in tutti gli ecosistemi: per l'Adriatico su questo siamo all'anno zero. Ci sono stati degli studi francesi sui telemediatori, cioè sulle sostanze che in tracce stabiliscono le comunicazioni e quindi gli equilibri tra le popolazioni degli eco-sistemi, ma da noi nulla. Per esempio noi abbiamo le diatomee che in genere iniziano le esplosioni demografiche algali dovute ali' eutrofizzazione: sono micro alghe, molto belle, di forme straordinarie, dal guscio siliceo, viste al microscopio sono decoratissime, meravigliose, proliferano a dismisura e ti danno I' impressione di un'acqua gialliccia, untuosa. Sappiamo che le diatomee tirano fuori un olio essenziale, che, secondo scienziati francesi, scatena la proliferazione di mangiatori di diatomee: più olio c'è e più i mangiatori di diatomee rimettono le cose a posto. Domanda: se il dilavamento stradale untuoso andasse a mascherare questo tipo di segnale tra le due popolazioni anche in termini di tracce? I mangiatori di diatomee non riconoscerebbero più nulla col risultato di far esplodere demograficamente Je"diatomee, che colorano il mare di giallo, o di far esplodere demograficamente i flagellati perché "informa- . ti" che ci sono un sacco di diatomee, e il mare allora si colora di rosso mattone. A vent'anni dal manifestarsi dei primi sintomi della grave crisi dell'Adriatico conosciamo ancora molto poco, perché l'approccio scientifico è stato, al solito, non solo riduzionista e meccanicista, ma anche utilitaristico. Chi ha mai indagato sulla gigantesca moria di meduse che è avvenuta qualche anno fa? Nessuno, perché la medusa non ha mercato. Si va a indagare soltanto sulle cose che colpiscono il mercato, l'uso economico. II mare è vissuto come piscina o allevamento di pesci. Ritorno a dire che se noi non intendiamo il senso ecologico complessivo del mondo delle acque non avremo mai la possibilità di capire come stanno le cose e di garantire una convivenza con gli altri viventi e una molteplicità di usi per noi e per le generazioni future. Alle meduse, ai cavallucci marini, alle stelle di mare ed alla alghe apparentemente più insignificanti dovremmo dare lo stesso valore e le stesse attenzioni che riserviamo alle sogliole. La consapevolezza della natura è estranea alle regole del mercato. • UNA CITTA' 1 1

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