La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

pensiero davvero debole; ··· m particolare, tutti questi esempi (e molti altri ancora) abbassano talmente il ci~lo delle idee da spingerci alla rinuncia e all' oblìo di ciò che Capitini chiamava «tensione», Non c'è più tensione, .né a livello esistenziale né tantomeno sul piano sociale: non c'è tensione nemmeno nella fede (che non comporta più nessuna sfida) e nemmeno nella speranza (che si traduce in un'attesa passiva della buona sorte - e perché poi non dovrebbe essere buona?), Ci spiegava uno "scienziato della politica"_ di una delle università di Parigi che "la nostra non è più una democrazia attiva ma un'insieme di norme / entro le quali non c'è dinamica": non c'è altro da fare se non attendere, anzi senz'altro "arrendersi alla sorte" - o al sondaggio, alla previsione di bilancio o di comportamento che an-, · ticipa addirittura il risultato, La nostra è ormai "una democrazia senza divenire" in cui ciascuno ripete il suo ruolo e dilata la propria identità (nel senso r I dell'identico) magari fino ' ad occupare uno spazio spropositato, ma nessuno spessore: un gioco che forse non è consolante ma che per contro è addirittura soddisfacente, Al leggero fastidio che si può provare "davanti al fatto sempre compiuto", si accompagna la decisa convinzione che "sia sempre andata bene com'è andata", In questo quadro, la tensione morale o religiosa diventa una fonte di rischio invece che un asse di orientamento: introduce una inopportuna triangolazione sul perfetto equilibrio binario a cui si è abituati, e che per di più ci sembra sufficiente sia a garantire la scelta che a suggerire la tolleranza, Conviene ammetterlo, quel bipolarismo che si sta ancora inseguendo in politica, già ~overna da tempo la cultura e la società: le possibilità o le varianti a prima vista paiono infinite, ma ognuno sa che si estendono in un campo (o in un mercato) rigorosamente bidimensionale, dove si può oscillare "liberamente" fra anoressia e bulimia culturale a seconda dei gusti o dei problemi. L'importante è non alzare mai lo sguardo né abbassare la mano, per non fuoriuscire dal piano piatto e favorevolmente inclinato di una conformità e di un ordine senza limiti eppure senza precedenti, · Chiusi in un illimitato supermarket che non è più la metafora ma il tempio della nostra cultura, non si dà attività provocatoria né pensiero critico (pure entrambi abbondanti) che si azzardino a ferire l'equilibrio o a forzare i confini di questa dialettica da biliardo. Nemmeno l'arte si s_pingepiù verso la sfida o la follia. Figuriamoci se la politica può ancora permetter~i l'utopia! Ma quel che è peggio, è che l'utopia è bandita - o talvolta persino blandita - come oggetto: ce la si vuole figurare ancora sotto forma di isola che non c'è o di limbo che tutti vagheggiano ma dove nessuno vorrebbe vivere. Men- . tre una lunga teoria di eretici ha cercato invano di 1 farsi ascoltare, proclaman- • do e dimostranao le possi- ; bilità dell'utopia come metodo, ovvero rivendicando l oltre il conflitto bipolare il vantaggio di un tertium che, come si sa, non è da- .-:to, ma che ci si può prenA.:PJ·---~-dere ugualmente la briga di considerare, quando si voglia marciare verso la conciliazione degli opposti. Anzi, verso quella complementarità dei contrari che poi è una tanto utopica quanto reale, o persino banale, verità. È questo, ad esempio, il metodo che permette a Capitini l'invenzione del suo «liberalsocialismo» (sul serio da non confondere con le imitazioni coeve, e tantomeno con gli aggiornamenti attuali-:-- credo che sia Ugo lntini quello che oggi si è appropriato della fori:nula). Nella teoria e nella scelta di Capitini, l'utopia non sta nel raggiungere il fine di una società in cui libertà ed uguaglianza siano valori non contraddittori, ma nel rivelare la loro logica complementarità e nell'adoperarla come mezzo per la discussione e la costruzione politica; e lo si può fare se non si perde quella tensionè ideale o morale che ci permette di riconoscere nei valori i princìpi - termini che non sono sinonimi, perché diversamente collocati e impiegati nel faticoso rapporto fra realtà e coscienza. · La "tensione", infatti, non muove verso i valori ma nasce dai princìpi: il tendere di cui parla Capitini è un gesto che deve essere garantito da una posizione e da un'energia di base, e non è la postura risultante da un'aspirazione che ci guida e a cui si resta appesi. Rispetto al cielo vago dei valori, i princìpi appaiono allora come un terreno preciso: sono _P,ropriamente gli 'inizi' di un percorso praticabile e di un ragionamento sensato. Uscendo dai massimi termini di un discorso tanto arduo quanto sfuggente e tornando alla più spicciola cultura politica, la misura della differenza fra l'utopismo all'antica e il ·realismo corrente ce la dà un modesto, quanto ma~ari ingiusto, paragone. Basta richiamare infatti in memoria il migliore esempio del pensiero laico attuale - quel testo divenuto ormai enciclica di Norberto Bobbio su Destra e sinistra - e confrontare la pacata e puntigliosa misurazione dell'equilibrio e dell'equidistanza fra le due sponde e i due valori della libertà e dell'uguaglianza con l'immediata semplicità di un socialismo nella libertà così come l'aveva proposto Capitini (peraltro uno dei suoi autorevoli e

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