La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

ALDO CAPITINI E L'OBIEZIONE DI COSCIENZA Piergiorgio Giacchè Riprendere in mano un libro di Capitini e rimetterci dentro la testa provoca una sensazione sgradevole, deprimente: si ha immediatamente la misura chilometrica della strada percorsa in discesa, o addirittura in caduta libera, in questi ultimi decenni. Non è la solita imbararazzante ma salutare sensazione di inferiorità che prova un lettore basso davanti a un autore alto, né quell'eccitazione impotente che si ha davanti ai bei libri o ai giusti pensieri. No, su quel piano soggettivo ci si ritrova sempre esaltati o consolati dalle parole di Capitini: quello che ci avvilisce è l'oggettività e l'enormità dello scarto che si è andato producendo nella cultura e nella vita politica attuale, rispetto ad appena qualche decennio fa, quando leggere Capitini significava incontrarlo, e perfino poteva sembrare possibile confrontarsi con lui. Adesso le sue tesi radicali sull'obiezione di coscienza e le sue proposte attive per la pace sono sempre giuste o, come si dice, «attuali»; ma questo aggettivo, di cui si abusa sempre per gratificare l'autore, non è quasi mai vero per il lettore. Più precisamente, davanti a Capitini, siamo noi a non essere «attuali», oppure se si preferisce è l'attuale cultura politica a non poter più sopportare la profondità e il rigore - o soltanto la luminosità o l'evidenza - di una radicalità divenuta come · insostenibile allo sguardo. Non si tratta di dare come al solito la colpa alle sconfitte politiche, perché invece il cammino della storia sembrerebbe- costellato di vittorie - e, ad esempio, quella della legge che finalmente ha sancito il diritto e la possibilità dell'obiezione di coscienza è per davvero una vittoria da non sottovalutare né dimenticare mai. Si tratta invece di registrare un compiaciuto e consapevole arretramento culturale: un arretramento peraltro ragionevole, assennato, perché operato al fine di mantenere una salda relazione con la realtà delle cose; un arretramento funzionale, azzeccato, perché permette un dialogo con la mentalità delle persone e con i problemi del presente. Un arretramento che ha dunque molte giustificazioni e persino qualche merito, ma che è passato da scelta a condizione, da comportamento tattico ad atteggiamento strategico della politica di sinistra - di tutte le politiche di tutte le sinistre italiane. La sensazione è quella di una perdita progressiva di senso, giocata tutta a favore del nantenimento delle funzionì: la situazione è quella che vede la sinistra ancora impegnata in un vittorioso processo di occupazione estensiva e superficiale della cultura, fatto di conquiste legali e di mantenimenti formali, dietro i quali ci si nasconde e ci si attesta, per non vedere che l'arretramento dal piano dei princìpi è.diventata la moneta di scambio per un avanzamento sul piano degli obiettivi concreti; o per non sapere che è stata la svendita dell'ideale ciò che ha permesso l'acquisto di importanti quote del reale. · L'effetto, almeno sul piano soggettivo, è quello di una generale quanto rilassata complicità con "lo stato delle cose presenti": così, si finisce per barattare o addirittura per confondere l'accettazione della realtà con la comprensione dell'alterità, oppure si scambia la tolleranza con l'apertura, oppure ci si accontenta di un'apertura orizzontale e piatta che si può estendere alla superficie del mondo (mondializzazione) ma che non ha più né radici né traguardi, che ha perso di vista sia il punto di partenza che quello di arrivo e ha sacrificato del tutto il piano della sacralità ('sacro' in senso stretto e dunque anche laico di 'alterità verticale', sulla quale ogni apertura verso l'altro deve trovare riscontro e proiezione, perché passi da comportamento a valore). Forse non è stato un consapevole arretramento culturale, ma una più semplice e colpevole resa politica quella che si è verificata sin qui. A misurare l'attuale cultura politica con il rigido metro capitinano, ci si rende facilmente conto che forse - almeno qui da noi - si sono evitati sli orrori, ma in cambio ci si è arresi a tutti gli errori che lui denunciava: l'amministrativismo che già ieri minacciava di diventare la sterile deriva in cui si poteva esaurire ogni attività e riflessione politica, oggi si è moltiplicato e parcellizzato in un "condominialismo" che non solo riduce ai minimi termini i problemi della vita sociale, ma detta le regole e i metodi e i confini di ogni dibattito politico; persino lo stile della politica si è uniformato alla litigiosità sciocca delle beghe fra condòmini, mentre una "democrazia culturale" in cui ogni parere ha lo stesso potere, si è sostituita come una beffa al sogno di una cultura democratica in cui «il potere è di tutti». A livello istituzionale, il modello presidenziale americano è diventato il più alto e il più "radicale" esempio di democrazia, mentre il sogno americano è stato addirittura superato dalla realtà italiana di un consumismo che non ha più detrattori, ma che è considerato da tutti come l'unica forma di un benessere che non ha altri modi né misure possibili. Sul fronte culturale, l'informazione non si pone più da tempo il problema di essere al servizio della partecipazione politica, giacché semmai, al contrario, l'unica forma di partecipazione politica è quella di rendersi visibile o di entrare a far parte - anche solo per i fatidici quindici minuti di gloria - del sistema informativo stesso. E, infine, per passare agli esempi positivi, il pacifismo è diventato una diffusa quanto generica acquisizione, salvo poi ad essere smentito o rinviato davanti alla necessità di opporsi con la forza, e persino con la guerra, alla guerra; così - corrie s'è già sottolineato - il rifiuto di prestare servizio militare non è più considerato un reato o un tradimento, ma l'obiezione d_icoscienza, passata da obiezione a opzione, rischia di essere proclamata troppo facilmente e praticata persino inutilmente. E tutti questi esempi del nuovo che è avanzato, non riscuotono il plauso soltanto degli altr! o dei peg~i?ri, ma c_icoinvolgon~ e ci equtparano tutti m una az10ne povera e m un . LEZIONI

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