Critica Sociale - Anno XXII - n. 16 - 16 agosto 1912

254 CRITICA SOCIALE L'INTELLETTUALISMO E ADEMOCRAZIA Angelo Crespi, che i 1·ecenti eventi politici, sopratutto la comune avve1·sione al nazionalismo e alta guerra, hanno - com' egli ci scrive - mollo riavvicinato ai compagni d'un tempo, ci invia da Londra questo ai·li– colo, che non abbiamtJ difficoltà a pubblicare, pe1·chèla verità nucleare del suo pensiero è appena, ci sembra, velata, non distrutta, dat sottile involucro spiritualista e quasi mistico, in cui egli da assai tempo si compiace di presentarlo. La C. S. · La democrazia non ha mai àvuto molta fortuna nè goduto. di molta stima. tra gli intellettuali di profes– sione; nell'antichità, Socrate, .Aristotele e sopratutto Platone la guardarono di mal occhio o la disprezza– rono; nei tempi moderni s'ebbe gli anatemi di Hobbes e di Spinoza; perfino i fondatori della Repubblica Ame– ricana fecero di tutt() percp.è, nonostante l'assenza d'una al'istocrazia e d'una dinastia, essa avesse ad essere de– mocratica il meno possibile; i liberali della prima metà del secolo XIX in Francia, da De Tocqueville a Benj a– min Constant, credettero in un'antitesi tra liberali– smo e democr_azia; .Augusto Comte, il fondatore del positivismo, seguendo la tradizione sansimoniana, l'ana– temizzò come farina del diavolo e fattura metafisica; Renan sognò. l'aristocrazia dei filosofi come rimedio all'anarchia del democratismo, in ciò seguito da tanti immortali della celebre .Accademia, tra cui, da ultimo, Emilio Faguet, che vede nella democrazia il culto del– l'incompétenza, e nella morale e nella religione illu– sioni e menzogne socialmente e storicamente neces– sarie, create dal genio della specie. In Inghilterra, Carlyle eresse contro di essa il culto dell'Eroe e le scagliò gli anatemi furiosi dei Latter day Pamphlets; lo stesso Stuart Mili, nel suo aureo opuscolo sulla - Libertà, insistè sulla libertà di discussione, come ri– medio al mediocrismo, inerente e ineluttabilmente trionfante nelle democrazie, e sul fatto che, in queste, le maggioranze ignoranti ponno opprimere le mino– ranze ,progressive e colte, e l'interesse del maggior nu– mero può, in un dato momento, trovarsi in· antitesi col vero interesse generale permanente del paese, spesso rappresentato da una minoranza illuminata o da uno o pochi individui. Il Summer Maine, il celebre inda– gatore delle antichità del diritto, andò più oltre, e mostrò che ~e maggioranze sono anguste, misqneiste, conservatrici, inette; che il mondo non progredisce se' non per opera di geni individuali e di minoranze au– daci e chiaroveggenti; che i periodi, in cui queste non siano oppresse, sono nella storia eccezionali, e che la de1').ocrazia conduce alla decadenza come alla ,morte. E potrei continuare, nominanclo tra gli inglesi il Lecky, tra i russi l'Ostrogorsky, tra gli italiani il Mosca e il Pareto, come tra i più dotti sociologi contemporanei quelli che più insistettero sulla vanità delle speranze riposte nelle democrazia; da ultimo potremmo aggiun– gere il Sorel e gli scrittori sindacalisti al suo seguito. Quando pertanto R. Michels ci si presenta con l'ul– tima sua opera: La sociologia det partito politico nella democrazia mode1·na (Torino, Società tip. edit. 1912) per dimostrarci che, inesorabilmente, la democrazia, ossia il Governo popolare, dei più o di tutti, è una utopia; che, in realtà, sotto tutte le sue apparenti tras- formazioni, 1~ costituzione sociale è sempre oligarchica; che i molti e i più sono incapaci; che i capaci sono pochi, e che perciò, nella lotta per la preminenza. tra le nazioni, quelle, in cui i capaci e i pochi non gover– nano i molti, sono ineluttabilmente destinate a sfasciarsi e a cader sotto le altre; quando il Michela ci mostra, con ricchissima. e irrefutabile documentazio1H', tolta alla storia o alla politica contemporanea, che i più e i molti non sono che gli strumenti e gli sgabelli delle ambizioni dei pochi, e che le ideologie democratiche ed ugualitarie non sono che specchietti per le allodole, coi quali i più forti e i più astuti attraggono e aggio– gano al carro della propria fortuna coloro, che. non vogliono essere da essi stritolati; dobbiamo ammettere che egli è in buona compagnia. Vuol ciò dire che egli e tutti i suoi precursori ab– biano ragione? Un tempo, allo sfasciarsi della mia or– todossia più o meno socialista, fui tentato di crederlo; per qualche tempo, l'utopia reazionaria, o almeno con– servatrice, mi parve la gran verità. Se questa teoria è vei-a, infatti, i più, gli incapaci, devono ringrnziare il cielo che esistano i pochi, i quali, sia pure obbedendo alle loro ambizioni egoistiche, elevano, con le loro stesse rivalità, tutti i loro fratelli minori, di cui sarebbe giusto dire con .Aristotele che di vidono con gli sciocchi il privilegio di essere governati dai savi; e coloro che, con utopie democratiche ed ugualitarie, cercano di porre i più e i molti, che sono gli incapaci, al livello dei pochi capaci, minano le radici stesse del progresso e della civiltà. Se questa teoria è vera, il progresso sa– rebbe impossibile senza le illusioni dell'eguaglianza ci– vile e politica, della morale e della religione, con cui l'istinto di conservazione della specie soggioga, ai propri fini, gli impulsi della coscienza dell'individuo, Ma presto alcuni fatti vennero a persuadermi che, se in questa teoria c'è molto di vero, essa è ben lungi dall'essere tutto il vero; e che, prima di rassegnarci a credere che la realtà abbia nel suo seno incu·rabili contraddizioni ~ ci nutra di illusioni necessarie per divorarci come Saturno i suoi figli, bisogna almeno cer– care di capirla meglio. Un fatto innegabile è che esistono storici insigni, con immensa esperienza pratica dell'arte di Governo, che sono coscienze intemerate e che, non a dispetto, ma a cagione dei loro studi e della loro esperienza, certo superiore a quella d'ogni nero topo di biblioteca, conservano iqtatta la loro devozione entusiaRtica alla causa defllocratica; basterà che io nomini Lord Morley, il Segretario del Gladstone per l'Irlanda, l'attuale· Se– gretario di Stato per l'Impero delle Indie e autore di monografie ammirabili sul Bnrke, sul Diderot, sul Rous– seau, sul Voltaire, sul Cobden e sul Gladstone; che io vi aggiunga James Bryce, già i':legretario per l'Irlanda, attuale ambasciatore ·inglese a Washington, studioso dell'imperialismo britannico e autore dello studio più completo sulla vita politica degli Stati Uniti; e, final– mente, l'Hobhouse, un sociologo e filosofo di cultura straordinaria, il quale, in pemccracy and Reaction (1905) e· in Liberalism (1911), ha dato, assieme con Lord Mor– ley, alcuni dei colpi più formidabili alla dottrina di cui siamo discorrendo. L'Hobhouse mostra che questa teoria critica della democrazia è solo un corollario logico inevitabil~ di quel trasferimento di concetti meccanici, biologici e antropologici nel mondo sociale e spirituale, che segui ai trionfi del darwinismo e dello spencerianismo, e che non p:uò a meno. di seguire ad ogni interpreta-

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