Critica Sociale - Anno XIX - n. 1 - 1 gennaio 1909

CRrTICA SOCIA LE 15 stre: ùi comper,so però gode ben alt1·0 cibo, che il san– guetta pallido d'im mosce1·ino. Dunque it nost1·0 1·agno industre /esseva la sua tela: si attaccava penosamente a due fili raccomandati alle tenui asperità del sof/U/0 1 epoi moveva in fi·eua e furia le w·lico!azioni delle lunghe zampetle 1 intrecciando e stendendo la lievissima bava, con cui i ragni ci dànno l'esempio di come si possano rendere uliti e quasi dfrei estetiche le natw·ali secrezioni, che in più nobili ani– maU 1·estano oggetto di schifo o di 1·idicoto. 1'esseca ra– pido ed acco1·to in poche ore t·ae1·eo drappo; poi si 1·incantucciava, so,·1·idendo1·agnescamente alt'ope1·a uiite e bella - bella 1 intendo. ai suoi molteplici piccoli occhi 1·agnini. Ma la mattina (non tutte le mattine, si intende) una cameriera a1·mata d'un lunq9 piumaccio, volteggiante t1·a i fastigi supi-emi della stanza, distrug– geva spietata la bella (per il ragno) e utile (per it 1·a– n o) ope1·afaticosa. Noi non possiamo accusare di ciò la cm11e1·ie1·a, benchè oramai ci siamo un po' affezionali al nostro ragno: an.=idobbiamo dichiara1·e che essa era multo diligente, certo una cameriera di antico stampo, di quelle che usavano spazzare e scopa1·e la casa. Eppure, se io sapessi rappresentare più efjicacenu.,,,,ile ,t cuore che aveva il ra– gno ogni volta che vedeva distrutta d'un ti·atto la fatica utile e bella, voi vi commuovei·este ancor più: e, d'altro canto, se vi facessi segui?'e la donna, ben ordinata e assestata, nelle mille umili faccenduole di tutto it gi01·no, che ?'endevano la casa nitida e pulita, voi di1·esle un 11 bmva n ud ogni colpo uib1·ato contro le polverose e sporche 'ragnatele. Il che ci fa subito pensare alla 1·e– lativilà dei r.ost1·iconcetti di utUe, di buono e di bello, e ci fa1·ebbe entrare in una pi·ofonda disquisizione sulle dottrine dei filosofi iclealisU, le quali dott1·ine e la quale disquisiZione una favola onesta deve fuggi1·e. '<': .. Osse1·vat;a l'alterna vicenda, delle zampette tessitrici e detta scopa dwaslatl'ice, una bestiola tot·pida, landa, senz'ali e quasi senza gambe 1 che avrà fo1·se in zoo– logia il suo nome e cognome latino, ma che io non so come indicare. Non so neppure come vivesse, così im– mota come si stava, 1·incantucciala in un angolopresso it nost1·0 mgno: c1·edoanzi che questi, dopo avei· ten– tato invano di vincerne la epidermide coriacea, le ab– bandonasse i 1·ifiuli dissanguali del suo pasto, e se ne servisse come d'un vivo inwzondezzaio. Io sarei tratto anche qui a fare un ben triste parallelo con certe co - stumanze dell'homo sapiens, ma non voglio rendere questa favola troppo g1·ave: basta che sia noiosa. La anonima bestiuota, vivendo così inoperosa, s'era data alia vita contemplativa, e, pe1· insetto ch'eU'era, poteva di?·si un filosofo. Come filosofo, ed anche come oziosa, ei·a pessimista: perchè guai, o uomini, a non far nulla; se si è 1·icchi,si diventa viziosi o candidati politici del Governo: se si è poveri o insetti, si diventa t1·isti e schifosi. ;l!ludo ai pm·assiti. Essa, dunque, dopo aver meditato pe1· un mese, du- 1·ante il quale e1·ast>·aordin.ariamenteinvecchiata epe,· ciò diventala saggia) si rivolse un gio1·no at ragno che s1,iava i voli imp1·udenti d'una mosca, e gli disse: - Ecco, tu attendi la gioùi dal male altrui: tu bel'l·ai la vita della mosca, e la scopa berrà la tua tela. Di- 1nani, per 1·ipa1·a1·e al danno, un altro ovo moschino germ.ine1·à un'alt1·a giovane mosca: tu premerat dal tuo addome nuova bava e ti affaticherni a 1·itessere la tua tela ; e il pium'lccio agiterà ancora le sue b1·anche fatali per ripa1·a1·eal danno 1·is01·gente.Cosi net lon- !ano fut u1·0di un alt,·o mese, quando io e tu sal'emo m.o,·li, aUl'e mosche pascei·anno altl'i ragni; att1·i ra– gni pasce,·anno altri piumacci; e il mondo vim·à pe1· se1•vfrealla m01·te; lav01·el'àper da1·emateria alla di– st1·uzione. Ma, se la mosca non volasse stupidamente sventata, tu non am·esti cla, tessere le tue reti; e lo scv· peUino inimico non av,·ebbe da avventarsi cont1·0di esse: sm·ebbe it riposo; la soggez:za. - Ma io mm'h•ei di fame, e tu pw·e; - rispose sotto– voce il 1·agno, che aveva sempre l'occhio alla mosca, via via più vicina atte panie. - Ebbene; tu fatichi per mantenere la necessità.della fatica - che alt1·0 noh è corlesto tuo modo cli vita. Vi vere non est necesse, disse un grande latino; ma tanto meno è necessario navigare l'oceano dell'aria, sopra la sottilissima paranza dette tue tele. Riposa e medita; opera ciò che deve 1·esta1·e;rinuncia a questo angolo, popolato sì di mosche per i dolcidel sottostante vassoio, ma f,·equenlato pur anche dagli impetuosi sti'Ofinacci. Sii prudente, e parco delta tua faNca; fa il bilancio t1·aquesta e il p1·o(ìtto, e medita e 1·iposa. A quel punto il ragno si lanciò pe1· la sua vela, pal– pitante nell'agonia della mosca impigliata; 1·aggiunse la vittima, l'avvinghiò, la punse, la dissanguò, cupido di cibo, tum-ido di 1·apacia,supe1·bodi villo1'ia. - Ecco la vita, o stupida bestia (n·spose, dopo il pa– sto, allo schifoso suo consiglie1·e): fatica1·e, vince1·e 1 e dover 1·iJatica1·ee rivince1·epe,· vivere. La tua, sì, che è morte. E delle cose morte infatti si pasce. E gli lasciò dist,·uggere la salma ragg,·inzila delta mosca. . . . Il ragno è1·agno, el'uomo é l'uomo: prendete adunque la pa,·abola per quel che vate, e s()p>·at'Utto non ce1'cate di t1·ar1'e cattive itlazioni pe>·quello che dico della mosca. invece vi pi·ego di feì'ma1·e la vo.~t/'a atlen::ione sop1·a lo strofinaccio. Pe,· l"insetto filosofo questo el'a auto– nomo, volitivo, operante, giacchè i suoi occhi non giun– gevano, dì là dal manico, atte energiche e fone bianche braccia della camel'ie1·a; e Dante dice che dieti·o i sensi la 1·agione ha corte l1ali. Per noi, sapienU uomini, lo strofinaccio è it 1·ude strumento in mano d'una supe- 1·iore volontà direltiva: ma quante volte, quando esso ci viene a distrugge1·e le nost1·e opere, pazientemente e finemente intessute, anche noi, uomini sapienti, non vediamo olt1·e it manièo .r Basta; non è ciò che voglio dirvi: m'interessa meglio additarvi lo stoico esempio del 1·agno - mosche a pm·te. In fine o in p1•incipio d'anno, che fa lo stesso pe,· it tocca1·sidegli est1·emi, noi siamo tutti, almeno nei pro– positi, buoni e innocui 1·agni ope1·osi 7 che si accingono a ritesse1·e la eterna tela, che il tem,po e i casi lace- 1ano e distruggono: e forse la intima gioia detl'ope1·a sta apµunto nella coscienza della sua instabilità, della sua continuità., onde non ci si profila mai il chiuso l1:wmine,la finale cimossa; ma sentiamo <li dove;· un giorno consegnai·e e spole e telai e (ila delicate ad all1·e mani, che noi av1·emo ammaesl1·ato alt'opera difficile e che devotamente si ingegnei-anno a cambiar trama e tessuto. Mi semb,·a che questa parabola noios.i e g1·ossa,come debbono essei·e le favole oneste, sia adatta all'ora del tempo e alla non dolce stagione. Potrei conlinum·la e 1'ip1'ende1·la,come noi continuiamo e 1·iprendiamo la nosfra faticosa vita; posso anche finirla così., b1·u~ca– mente, senza una fine logica e conclusioa, appunto come noi /ì,niamo la nostra vita, a wi tratto 1 per inia.

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