Critica Sociale - Anno XVIII - n. 9 - 1 maggio 1908

CRITICA SOCIALE 139 alPaperto, con l'aria luminosa e aV\'ampata e con il forzato isolamento, spinge ai peccati contro natura, al malandrinaggio o al facile reato di sangue. Ma, per ironia delle cose, le dame e i cicisbei im– parruccati o incipriati, nei salotti rococù, svenivano per le pastorellerie dell'Arcadia. ~on si ìesta ancora dal suonar la coramella sulla presunta armonia tra latifondista e lavoratori dei campi, mentre il ()rimo può fare il signore " onesto ,, a costo non solo della miseria, ma della mornlit,\ dei secondi, specialmente pastori. Costoro, grassatori, abigeatori, immorali, e, di conseguenza, condannati al carcere, al domicilio coatto, alla sorveglianza. speciale; e l'altro, vivente sul la,·oro dei primi, onorato di cariche pubbliche e di pubblico rispetto. li latifondista può assumere la rispettabilità della persona per hone, perchè altri ruba per lui. Molti gentiluomini moderni "senza macchia,, sono una riproduzione, sotto altre rorme, del santo. Questi ruggiva il mondo per salYnre l'nnimn 1 ma la– sciando gli altri nella peccatrice lotta del pane con cui nutrire ancho lui nel convento, doYe egli si rin– tana\·a a biascicare oziose e stupide preghiere. ]!]gli in paradiso, e gli altri, che la,•oravano per lui, all'in• ferno ! li " gentiluomo "' anche quando non sia nato da " buona ramiglia "' perchò abbia ereditato le ladrerie del padre o ciel suocero e riscuota le af– fittanze dei feudi appaltati a pro di gabellati, che li sfruttano in concorrenza ladresca con tutto il ma– landrinaggio rurale, entra di diritto nei quadri della non abbastanza aspettata " borghesia onesta ,,. Ma basta di questi melanconici raffronti. Urge sa– pere se, data la po,•ertà llroduttiva dei latifondi si• ciliani e dato l'interesse padronnlc a mantenere tale povertà che assicura in lui solo la ricchezza, sia possibile una riformn nei patt.i agmri tale da. rista– bilire la pace tra i diritti della possidenza e quelli del lavoro, tra gli interessi egoistici del latifondismo e quelli del consumo sufficiente per ogni lavoratore. Dall'esame da noi fatto in questo studio sorge una recisa risposta negativa. Vedemmo che il sistema del bo1·gesato, anche ricondotto alla pili genuina mez– zadria della terra e semenza a totale peso del pa– drone, nella genornlitù, paga scarsamente il lavoro del contadino, non assicura lavoro che a pochi con– tadini, e lascia insicura la speculazione del gaheltoto o massaro o arbitrianle che dir si voglia. La pietanza essendo insuflìcicnto por due, costoro devono accapi– gliarsi nel dividerla o restare o l'uno o l'altro deru– bato. Ma pili sovente il derubato ò il colono, perché più assai dehola di fronte al padrone o arbitri(rnld che sia. Abbiamo inoltre visto che occorrono non meno di un paio cli salme cli terra seminativa (etta1·i 6 circa), perchò il contadino, colla propria famiglia, sbarchi il lunario ulla meno peggio, e che ben pochi sono coloro che possono assicurarsi una tanta superficie, se non più. Or i contadini siciliani lavoranti nei latifondi della semina e del pascolo sono circa 650 mila in 320 mila famiglie, contando ogni famiglia in media due lavoranti al disopra dei nove anni di età. Occorrono dunque circa due milioni di ettari di terra seminativn per tutto le famiglie coloniche. :Ma la terra seminativa non può oltrepassare, come vedemmo, un milione e dll!lcento mila ettari, perchè quella coltivata a cercali, leguminose e tessili am– montnno a circa noo mila circa, o tutta la super– ficie geografica dell'l"soht ò di ettari 2.574 000. Si dovrnbbe dunque seminarA il mare, poichè la terra non basta. Ciò non potendo8i, nitsce di conseA"uenza uua feroce lotta per h~ conquista violenta e per una più violenta conservazione del possesso fondiario, e nasce una forte emigrazione dei vinti in quella lotta. Ma, se la superficie non può raddoppiarsi e tripli– carsi, potrà raddoppiarsi o triplicarsi la produttività; ccl è in ciò solo riposta la s oluzione del problema. siciliano. Puro la stravag-anzA. unrn.na vaneggia sem– pre dietro il miraA"giodi un si curo ass etto economico e morale per via di una perfetta divisione a metà dei prodotti clelln. semina, tra il colono che mette il solo lavoro e i I padrone cho dà la terra, la semente e il corrnirne, ed anticipit qualche soccorso al primo. .Ammesso cho ciò fosso possibile, non ci sarebbe tornaconto nei coloni, pcrchè per far rispettare i ptttti mezzadrili occorre unn. ferrea organizzazione sempre vigile 1 con la quale si può invece costituire potenti Cooperative agricole per le aflittanze collet– tive, ed imporre ai padroni affitti meno onerosi e pili lunghi del comune sessennio e l'obbligo d'in– dennizzare le migliorie lasciate dalla Cooperativa: per In quale via si arriva ad accrescere la. produt– tività. del suolo e n. dividere i prodotti senza l'ing-e• renza ladra dC'_txliintcrrnediarì e nemmeno .quella feudale del padrnnc della tcrrn. Inoltro, data la po,·erth cli produzione, è pericoloso assegnare per leA"gCl'obhligo nel padrone di sommi– nistrare al colono tutto il necessario per la coltura e per la vita: il colono, se non vede che con il rac– colto abbia d1t rice,'ere n.ncora qualche cosa oltre le anticipazioni ricevute, abhanclona il seminato non mietuto o la messe non trebbiata.; d'altra parte, il padrone che non può assicurare la sua fortuna se non deruba il colouo, sfuggirà. con ogni mezzo alla legge che lo costringe ad oneste anti<'ipazioni che non sa di JJOter ricupemre. Se la legge dà diritto al colono di ricorrere iu giudizio per le mancate somministrazioni del padrone, il colono, soggetto perchè sempre indebitalo verso di costui, non ricorre - senza contare che il giudizio, per ostruzionismo padronale, R\'\'errehbe <prnndo il bi– sogno rlella somministrazione è sorpassato. li conta– dino, che sentesi l'animo di ribellarsi alle inadem• pienze del padrone, si associa; e, associandosi, an– zichè staro eternamente a lottare per fmili vantaggi con lui, gli strappa addirittura la terra di mano con le affittanze collettive a lunga scadenza, con cui promuovere \'aumento della. produzione e restare del tutto padrone del prodotto del proprio lavoro. Al– lora le due utopie, clit·ctte ad aggiustare i rapporti economici tra lavora.tori e padroni dei campi, cioè l'utopia dello sciopero o quella delle riforme legi– slativo, cedono il posto fil fatto pratico d'imporre di– rettamente per via dell'organizzazione lo sgombro di o~ni intermediario, fra cui pil1 nocivo il proprietario tra la terra e i lavoratori che devono lavorarh\ e consumarne i prodotti. 11 proletoriato rurale, che, per un convenzionalismo formatosi nel campo socialista, sembrava non poter competere con l'organizzazione del proletariato in– dustriale e dover aspettare il formarsi di una bor• ghesia e,·oluta o rndirale, ha mostrato di avere in sè, mercè 11uso socializzato delln. terra, la potenza di avviarsi verso l'org-anizzazione pili facilmente che l'altro proletariato. Esso, socializzando l'uso della terra con le Cooperative agricole, esco di hotto dal limbo dello sciopero, dove si dibatte e permane il proletariato industrialo. Lo sciopero per l'aumento dei salari o per migliori patti di lavoro mantiene il padrone; anzi gli riconosce In runzione di poter mi· gliorarc la sorto dei lavoratori, che non saprebbero l'urlo altrimenti. Oli nlti salari, con la scarsa pro• duttiviti\ mantenuta dal latifondismo, sono impossi– bili; ma lo fossero, essi non cond11l'l'ebbero al col• lettivismo, ma aggiungerebbero alla incapacità nei lavoratori di sottnirsi al padrone il tornaconto di mantenerlo, quando i lavoratori non arrivassero a pretcndP,re che il padrone, A.nr.ichò uno sfruttatore, fosse uno sfruttato senza f'alliro. Ciò evidentemente è assurdo. La Cooperativa agricola. con l'11tftttanza collettiva,

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