Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

88 LA MAGGIORANlA J>remo di governarsi. Accetto di tutta la mia volontà il principio colla indispensabile restrizione accennala di so· pra; ma allora sarà egli altro che tirannide il calpestare <JUCI diritto? l'imporre qualunque ordinamento sociale senza il volere, anzi espressamente contro il volere del popolo, cioè , come sol puòssi , della maggior sua parte ? Che a consumare quell'attentato sia uno o sian dieci , che sian cento o mille: che si chiamino Nerone o Arrigo, Catilina o Sterbini, Robespierre o Gioberti, Mara t o Guerrazzi , . questi sono accidenti che non alterano la sostanza del fatto : e la sostanza del fatto dimora in questo , che la minorità non può imporre i suoi voleri alla maggioranza senza un'enorme ingiustizia, che pel Corpo sociale contro cui si consuma non dee appellarsi altrimenti che tirannide. Supposto che la massima è incontrastabile, si avrebbe l'impudenza di richiamare in dubbio il fatto ? Lascio sol dubbioso che nella domanda di alcune r·i· forme amministrative e civili convenissero i desiderii dei più. Ma queste ottenute , per tutto il resto la faccenda si è ridotta a ispezione oculare e a suppulazioni numeriche. Che se la paura ci ha fallo vedere trentamila dimost1·anti dove non era n che trenta, ci sarem potuto riavere tanto dallo sgomento da intendere che uno non è sette, e che tre non sono quaranta. Non credo che altrove o in altro tempo siasi fallo t an Lo abuso della parola popolo, quanto se n'è fallo novellamente tra noi ; ma non è a stupirne. Dipendendo quell' abuso dalla indolenza del vero popolo e dalla sfrontatezza svergognata del preteso popolo, noi per l'uno e per l' altro capo ci siam trovati ad un estremo , che nessun paese c:ivile ci saprà invidiare. Ma se per la nequizia è gastigo

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