Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

n. GENIO 01 PIO IX·. quei concetti stessi aveva cagionalo quasi per tutto.. S~ che paragonando Uoma con qualunque altm metropoli dt Europa , vi avreste trovato perdite e compensi dall'una parte e dall' allra , da poleroe portare un giudizio complessivo quasi uguale pel Ialo civile~ Per ragion di esempio il tanto fiorire delle arti belle in Roma, H tanto affiuirv.i di stranieri non la compensava abbastanza di qualche languore nelle industrie e nel commercio? Nondimeno questo contegno dci Pontefici giustificalo dalle ragioni e dai falli , fù tollo a prcleslo di un aggressione di tre secoli dalla eleroùossia italiana ; la quale ia opera di odio al callolicismo non la cede all'anglicana ed all'alemanna; se non forse l'avanza, perchè compressa , delusa, impoteule cova e ruguma dispettosa le sue ire , c smania ùi non potere combatlere che sotto la maschera della impostura. La eterodossia italiana adunque da quel contegno dei Pontefici tolse il destro di tradurre il Pontcficato come essenzialmente stazionario, ostile ad ogni miglioramento, ombroso di ogni progresso; come barbaro nirni co di civiltà cd oppressore <lei popoli; come a~solulisla, audele , e che , non avendo nella propria debolezza ruezzo a mantenere la sua tirannide, a vca per naturale alleato l'Imperatore e per unico puntello le baionette alemanne. li trapasso dal Papa ai preti era facile;. più facile ancora dai preti alla Chiesa ed al Vangelo , proclamato comp nemico dci popoli e non accGrdante coi bisogni del secolo. Anzi, dico meglio, non fù propriaruenlc il Vangelo a cui si appiccava quell' invido ferro; ma si veramente alla maniera, onde iu Roma da l Pai'a e dai pl'eti s'interpreta l' Evangelio. Il che ùovca lauto più spiacevoLe riuscire ai popoli, q,uanlo si prelendca, cha

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