Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

126 CONCLUSIONE. della ·riforma , essi ne abbracciarono e ne praticarono la massima principale nella politica; ed all'interesse di Stato ogni cosa dove Ile obb~dire, non esclusa la giustizia, la equità, la coscienza. Arrigo e Lisabetta martoriavano e squartavano callolici sul Tamigi : gl' imperadori protettori della Chiesa , sotto specie di di fenderla, ne violavano i diritti più santi , e se ne valevano a strumeut-J di cupa politica; i crislianissimi re di Francia c figli primogeniti della Chiesa caltolica , chiamavano e pa- . gavano il Turco, perchè investisse i cristiani, e si confederavano con ogni feccia di eretici per combattere le ambizioni spagouole e le esigenze imperiali. Si andava iulanto dagli europei nei paesi barbarici ; ma ci andava la feccia dei popoli a rapinarne un oro in~ nJffiato di lagrime e di sangue , e a darne in contraccambio malori schifosi , vizi sconosciuti, lulli i raffinamenti di una corruzione istruita. L'Europa abbandonò l' opera di combatlerc la barbarie di fuori; forse è appunto per questo che essa veJe ripullular la barbarie nel proprio seno t La politica machia\'ellesca dell'assolutismo, il fanatismo religioso della eterodoss ia sono state le due piaghe ehe hanno lacerata e indebolita l'Europa di dentro , rcndcndola inabile alla sovrana sua missione al di fuori. La sola Inghillena seguitò quella via, ma per Jei nor1 era una missione incivilitrice: era una specuJa1ionc di lraffico, un maneggio d'ingrandimento, in quanto es:,a non polea dare ad altrui quello che aveva pet·duto per sè. Essa non è riuscita che a portare in Europa la mùllezza asiatica, e regalare all'Asia la corruzione eurov-ea ; se pur non vogliate contar per guadagno gl' idoli megli o

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