Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

12!,. CONCLUSIONE. sulla Italia, considerandole intrecciate con quelle che sembrano maturarsi per tutta Europa. Stimiamo che la Società cristiana , da tre secoli fuorviata dall'indirizzo avuto dalla Provvidenza , sia vicina a rientrare nel male abbandonato suo cammino. Se ciò è vero, le moderne agitazioni europee non sarebbero che foriere di quel felice riordinamento. Il cristiano incivilimento di tulla intera la umana fa - miglia è certo un effetto a compiersi innanzi che questo dramma mondiale riceva il suo compimento. Anzi questo effello vuoi considerarsi non solo come compreso forse per ultimo negli ordini del tempo , ma come primo , come sovrano nelle intenzioni dell' ordinatore supremo. Ora la religione e la civiltà, non potendo germinare come pianta indigena e spontanea in nessuna terra, di necessità un popolo cristiano e civile deve crislianeggiare e incivilire un popolo barbaro e senza fede. All'Europa dunque, non ad altri che all'Europa , essa sola cristiana e civile, era commesso questo carico prezioso: questa era la sua sovrana missione. Finchè durò il lavorio della cultura europea nel medio evo, l' opera fù parziale, esclusiva della Chiesa, 1a Società non vi prese che poca parte. Ma compiutasi quella granue opera nel secolo quindecimo e fatta adulta l'Europa , ci si gettò con un' alacrità portentosa. Dalle prime scoperte del Colombo fino al giro del Globo compiolo la prima volta dal Magellano non passarono che ventinove .anni ; e quei meno ai sei lustri bastarono a fare in questa parte quanto non sapremmo far noi in sessanta. Si approdava alle terre barbariche a nome di Cri- .sto e del suo Vicario; a nowe di Cristo se ne prenùeya

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