Carlo Maria Curci - Sette libere parole di un italiano sulla Italia (marzo 1849)

6 LIDERTA' lndubilatamente in molti ce ne fu più di un poco; c il Troya in Napoli, il Balbo in Torioo, il Capponi in Firenze ed H Rossi in Uoma erano uomini forse da ispirare quella indispensabil fiducia alla parte sana della Penisola, e da assicurarle Je acquistate e ancor balenanti istituzioni. Ma i vrimi tre colle improvide morbidczze .verso la parte iniqua riuscivano ad essere sopraffatti da questa: l'ultimo colla sua fermezza e colla fedellà al Principe si chiamava sul capo il pugnale dell' assassino; e colla decorosa ~ua. morte giustificava i timori dei tre primi , espiava qualche passato suo torto, e lasciava anche quell'ultima parte delfa Jtafia superiore in preda dei demagoghi. Cosi dalla Dora infino al Tronto il principio di autorità è tradotlo nelle piazze : a queste sole appartiene il diritlo di sanzionare e di eseguire: ogni onestà aùborrenle dai politici saturnali dei circoli popolari è tenuta per n i mica o alme n per :'Ospella : il Principe si ritrasse , come ùa Uoma; che se resta, come in Torino, a volerne salva la coscienza e illeso il decoro, deve supporsi poco altro che fantoccio ·pe1· mostrar la persona e prestare il nome. Nella llalia meridionale una felice eccezione fll che si goda qualche tranquillità~ essa noudimeno iniziata nelle Sélnguinose giornate di maggio , non sarebbesi prolungata fiuora , se nora fosse sostenuta da arrni valorose e leali. Ma anche cosi cjuella lranquillila è precaria; è da una generazione di uomini quasi reliquia di dispotismo maladelta ed imprecata. Ci è dunque, e chi potrebbe ripugnare a questa illazione? oltre all'assolutismo r.he ha ceduto, ollr~ alla monarchia costituzionale che ha trionfato, ci è un terzo elemen to ribellante che pugna, a cui 1' olleuuto nou

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