Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte quinta intendersi fra loro, prima çhe l'Austria assumesse un'iniziati va cosf grave," ed affermò "in tono eccessivamente irritato" che "il passo austriaco verso la Serbia era né piu né meno che un atto di aggressione," mentre "il trattato della Triplice era puramente difensivo." Ma da queste osservazioni non dedusse la conseguenza che l'ultimatum avesse violato il trattato di alleanza, e perciò l'alleanza fosse caduta nel nul– la. Si limitò a dichiarare che il "governo italiano non si riteneva responsa– bile per le conseguenze dell'ultimatum"; se la Russia fosse coinvolta nel con– flitto e ne conseguisse una guerra generale, non nascerebbe per questo il casus f-rederis per l'Italia e l'Italia "rimarrebbe passiva." In altre parole, la procedura seguita dal Gabinetto di Vienna nell'in– viare l'ultimatum alla Serbia aveva violato il trattato, ma San Giuliano pas– sava sopra a questa scorrettezza e rinunciava a considerare come "contraria" al trattato la guerra che poteva sorgere da quella iniziativa. Il trattato d'al– leanza perciò continuava a rimanere in vigore, ma la eventuale guerra sa– rebbe stata "estranea" al trattato, e quindi il governo di Vienna doveva af– frontarne le conseguenze a suo esclusivo rischio e pericolo senza invocare il casus foederis. Dal momento che il trattato di alleanza rimaneva sempre in vigore, San Giuliano invocò i diritti che esso riconosceva al governo italiano rielle questioni balcaniche, e fece osservare a Merey che l'ultimatum austriaco ten– deva ad alterare lo statu quo balcanico, e non poteva non essere seguito da occupazioni territoriali in Serbia. Entrava, quindi, in gioco quella parte del– l'articolo VII del trattato, in cui era stabilito che i governi di Vienna e di Ro– ma avevano l'obbligo di accordarsi prima che uno di essi procedesse ad una occupazione territoriale, "sia temporanea sia permanente," "nelle regioni dei Balcani o delle coste ed isole ottomane nell'Adriatico e nel Mare Egeo"; l'accordo doveva essere basato sul principio che se una fra le due parti otte– nesse un vantaggio, "territoriale o di altro genere," l'altra parte doveva rice– vere un compenso soddisfacente. Una dichiarazione ufficialejn questo senso fu presentata a Berchtold dall'ambasciatore italiano, duca di Avarna, il 25 luglio. San Giuliano, dunque distingueva fra l'ultimatum e le operazioni mili– tari: dell'ultimatum rifiutava la responsabilità e le conseguenze; quanto alle operazioni militari, esigeva che nessuna occupazione territoriale avvenisse, salvo previo accordo col criterio dei compensi. Questi sono i punti su cui si discusse nel luglio del 1914 fra Roma, Berlino e Vienna: se il governo italiano avesse o no l'obbligo di intervenire nella guerra generale qualora il conflitto austro-serbo si allargasse e se il governo italiano avesse o no diritto ad ottenere dei compensi. Una protesta italiana contro la violazione del trattato non apparve mai. · Quando arrivarono le prime notizie sulla inquietudine di San Giuliano, il cancelliere Bethmann-Hollweg, ed il ip.inistro degli esteri, Jagow, comin– ciarono a sospettare di aver commesso uno sproposito. Il 20 luglio, Jagov. 470 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=