Gaetano Salvemini - La politica estera italiana dal 1871 al 1915

Parte terza tonomo per mandato delle altre Potenze. Questo mandato rimaneva sempre sospeso per aria, finché le altre Potenze non avessero creduto conveniente ai loro interessi intervenire attivamente fra i due soci-concorrenti. Il dissidio fra Vienna e Roma diventò clamoroso, quando a gover– nare il nuovo Stato autonomo albanese, sui primi del 1914, i due governi scelsero il principe di Wied. Era questi un semideficiente, che l'imperatore Guglielmo aveva scovato nel suo esercito ed aveva raccomandato ai governi alleati. Il governo di Vienna lo aveva accolto con grande favore. Di San Giuliano lo aveva adottato senza entusiasmo, per non sollevare nuove diffi– coltà. Il nuovo sovrano non sapeva nulla del paese che doveva governare. In poche settimane fece tanti spropositi, che una rivolta di albanesi lo cacciò via. Gli agenti italiani furono incantati di questa fine di commedia, perché il principe di Wied favoriva troppo le influenze dell'Austria. Pare, anzi, che abbiano favorito la rivolta contro il principe, sebbene le manovre di questo genere siano assai difficili a provare. "Questo Stato di Albania," osservava Leonida Bissolati nel maggio 1914, "che ci era parso un meraviglioso espediente per impedire la discesa del- 1' Austria• lungo l'Adriatico, e per dirimere con ciò ogni occasione di conflitti con essa, già è diventato un campo di acri competizioni italo-austriache..." E spiegava che una delle cause di questa pericolosissima situazione si tro– vava nel mancato accordo sincero fra le Potenze. "Formalmente tutta l'Eu– ropa è presente in Albania; in realtà l'Italia e l'Austria sole vi si trovano come in un campo chiuso." Perché mai era sorta questa situazione, cosf di– versa da quella, in cui era stato possibile, fra il 1903 e il 1905, sistemare la questione macedone, che pur non era piu scabrosa della questione albanese? La risposta non era difficile. La nostra politica estera - Bissolati spiegava - è venuta intensificando il suo ca– rattere triplicista. È quasi spezzato il filo di questa politica, per la quale l'Italia, specialmen– te in ciò che concerneva gl'interessi mediterranei, mirava ad armonizzare la sua adesione alla Triplice Alleanza coll'amicizia per l'Inghilterra e la Francia. Il rigido ed esclu– sivo triplicismo nostro ha contribuito inevitabilmente ad acuire l'antagonismo fra la Tri– plice Intesa e la Triplice Alleanza. Le Potenze dell'Intesa non possono, perciò, trovare il loro tornaconto a favorire in Albania una situazione, che impedisca od attenui l'anta– gonismo italo-austriaco. Formalmente esse faranno atto di presenza in Albania; ma sareb– be ingenuo attendere che vogliano effettivamente interessarsi alle cose albanesi come l'I– talia potrebbe desiderare. Ad esse giova, al contrario, che le due Potenze mediterranee della Triplice Alleanza, Italia ed Austria, rimangano isolate di fronte al problema albanese: ben prevedendosi che in tale isolamento non potranno mancare di accentuarsi gli antagoni– smi da cui entrambe saranno paralizzate. La prospettiva dunque non è lieta. Venendo a mancare una attiva partecipazione delle Potenze dell'Intesa agli eventi di Albania, l'Italia corre il pericolo di trovarsi, ad un certo momento, in un conflitto con l'Austria-Ungheria e costretta a provvedere da sola ai propri casi. Non le resterà allora che attendere sicu– rezza dalla Germania. Onde saremmo riportati a quel periodo, in cui ci eravamo accorti che l'unica giustificazione del nostro triplicismo consisteva nella garanzia contro la pos– sibilità di una guerra con l'Austria. Erano a questo punto i rapporti italo~austriaci quando l'ultimatum alla Serbia del 23 luglio 1914 scatenò la guerra europea. 394 BibliotecaGino Bianco

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