Volontà - anno XVII - n.5 - maggio1964

logicamente inserire tra la fase ormai millenaria del potere armato e quella fase sociale che si potrà considerare il sicuro inizio di una società libertaria. Giusto è pure il parere di :ion ali– mentare l'idea che la «personalità» del– l'anarchico debba per forza essere uno scrupoloso osservatore di «regole» pre– stabilite, oltre che dimostrarsi costan– temente un campione di rettitudine. Diremo invece che talvolta è necessa– ria anche un po' di «cattiveria», quan– do con questa siamo costretti a difen– dere conquiste guadagnate faticosamen– te in lunghi secoli di lotte. Non è dunque possibile sottrarsi del tutto da una particolare «attesa pa– ziente»; ed è naturalmente sottinteso che tale attesa non deve assomigliare a quella contemplativa <lei monaco buddista. « Se l'C\•idcnza non ci soccor– re» è inutile impostare problemi im– possibili, tenendo però presente che la evidenza dei fatti - sia pure con una certa avarizia - ci soccorre sempre in qualche cosa. Certo che la naturale di– versità dei caratteri e delle intelligenze dei singoli individui, comporta pure u– na diversità dì condotta, di metodo o di espressione; e, come in altri cam– pi, inevitabilmente - per propria col– pa o per cause imponderabili - anche in campo anarchico esistono le incoor– dinazioni di forze, le dispersioni di e– nergie, le particolari debolezze non giu– stificate e, diciamo pure francamente, qualche pusillanimità. Ma non insistiamo troppo su di una autocritica la quale, anche se può ave– re una certa giustificazione, ci dice pu– re che, a nostro onore, socialmente sia– mo sicuramente molto meno dannosi dei formidabili eserciti e dei depositi di bombe atomiche, difesi e giustificati dai princìpi che reggono l'attuale so– cietà ... Certo è una particolare verità che quando dal nostro osservatorio diamo uno sguardo al mondo, un po' perples– si e un po' scoraggiati, le cose e le vi– cende umane ci si presentano come un muro tetragono ed insuperabile. Perciò l'inquetudine può avere per conseguen– za un ,rallentamento di volontà pratica; e di qui, come abbiamo accennato, la facile tentazione di crearsi una propria «torre d'avorio»; cioè come possibilità di durare anche nel tempo, però in mo– do statico, senza amplitudini feconda– trici, come le regole immutabili di un monastero. E tutto questo non è certa– mente qualcosa d'integralmente utile, anche se soggettivamente non è affatto disprezzabile. « Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare», dice un vecchio adagio. Anche questa è una particolare verità; e di– ciamo particolare nel senso che, nono– stante tutto, non si può dire che sia stata e che sarà sempre una penosa condizione della parte più libera del pensiero. Se lo fosse stata, l'umanità non avrebbe certamente progredito: è più esatto affermare che tra il dire e il fare, quando hanno lo scopo d'illu– minare veramente le menti, c'è di mez– zo una lunga serie di lotte e di sacrifici. Probabilmente, più che chiarire, avrò ancora disilluso con questa mia breve risposta. Si attendevano, forse, indica– zioni dettagliate, _,-strade sicure,. o per– lomeno abbastanza percorribili, ecc. Per _,-prospettive di ricostruzione» pra– ticamente intendo il non perdere ter– reno sui fatti ove l'evidenza, sia teorica quanto pratica, già ci aiuta; e natural– mente il fare in modo di ampliare quel poco che si è conquistato. MARIO DAL MOLIN 271

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