Volontà - anno XVII - n.3 - marzo 1964

I CLASSICI DELL'ANARCHISMO Indaginesullagiustiziapolitica Libro III CAP. Ili - IL DOVERE (*) CON RIGUARDO all'argomento traltalo nel capitolo precedente (l), esiste un'enorme difficoltà relativamente alla differenza che può esis~ere tra la giustizia astratta e ciò che il singolo intende per « giustizia ». Quando compio un'azione di per sè cattiva, ma che sembra giusta se posta in relazione col complesso di cognizioni, che formano, in sostanza, il mio discernimento, la mia condotta è virtuosa o è riprovevole? Alcuni moralisti hanno, a proposito, operato una distinzione tra virtù asso– luta e virtù pratica, sostenendo che: « Vi è una specie di virtù, che scaturisce dalla natura delle cose ed è immutabile, ed un'altra che scaturisce dalle pro– spettive esistenti nel mio discernimento. Così per esempio, ammettiamo che io debba rendere omaggio a Gesù Cristo; ma, poichè sono stato educato alla religione di Maometto, debbo aderire a quest'ultima religione fino a quando, le sue verità mi appaiono decisive. Faccio parte di una giuria che deve giudicare un imputato di omicidio, il quale, in realtà, è innocente. Considerandolo nella maniera più semplice, debbo assolverlo. Ma io ignoro la sua innocenza, e la evidenza delle prove è I.aie da rendere più massiccia la presunzione del suo de– litto. Poichè, in tali casi, non si deve raggiungere la dimostrazione e poichè in ogni contingenza della vita umana mi trovo a dovere agire in base a presunzioni, per questa ragione mi tocca di doverlo dichiarare colpevole ». E' da dubitarsi tuttavia che possa essere stato soddisfatto qualche buon proposito, impiegando i termini della scienza astratta a questo metodo incerto ed instabile. La morale è, se qualche cosa può essere, fissa ed immuta• bile. e quindi deve sussistere una ben strana impostura che ci induce a chia• mare un'azione eterna ed immutabilmente ingiusta con i nomi di rettitudine, di dovere e di virtù. Evidentemente quei moralisti non hanno compreso a quale conclusione sa– rebbero pervenuti con questa ammissione. La mente umana è incredibilmente perspicua quando inventa una scusa per giustificare le sue inclinazioni. Non vi è nulla di più rarn della pura ipocrisia e non vi è azione della nostra esistenza per la quale non siamo pronti, nell'adottarla, alla giustificazione, a meno che questa non ci sia impedita per semplice indolenza o trascuratezza. Difficilmente è possibile una qualche giustificazione dell'intenzione di fare ad allri ciò che non vorremmo si facesse a noi, e, in conseguenza, la distinzione sopra stabilita (•) li Godwin, con questa espressione, intende il modo col quale ciascuno può meglio agire per promuovere il benessere generale. {1) Cfr. Volontà, n. l (gennaio, 1964). 180

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