Volontà - anno XIII - n.2 - febbraio 1960

Albert e a m u s A S PETTI A M o a parlnrne. • Non ha egli tutto il 1cmpo da– vanti a sè? E' a partire da orn che noi incominceremo a parlare di lui tutti assieme. In tutto il bene ed in tutto il male che si presenterà sulla nostra strada. L'ultimo dei Giusti ci ha lasciato. Non c'è altro che di andare puntual– mente e senza stancarci mai ad in– con1rarlo ». Fra tutli gli scritti che ho potuto leggere sul grande scrittore france• se, subito dopo la sua fine tragica, avvenuta come tutti sanno in segui– to al cozzo tremendo delJ'automo– bile su cui viaggiava, contro un pla– tano che fiancheggia una delle tante slrade di Francia, il 4 gennaio di quest'anno, questa breve risposta di un redattore del Canarcl Enclrniné ai lettori che gli scrivevano « parlateci di Camus n, è quella che mi ha 1>il1 Jlrofondnmente commossa. Ed è unu di quelle che più testimoniano della costernazione generale che accompa– gnò quella scomparsa. Certo, (rn gli omaggi accorati e de– solati, profondamente sinceri, vi (u. rono nuche quelli di coloro che, qua– si come tardivo pentimento delle lo– ro critiche astiose o della guerra meschina che gli mossero quando la nccndemin svedese, nell'ottobre 1957, gli nuribul il maggior premio d'ella letteratura, una volta Cnmt18 scom– parso, potevano riconoscergli le rari dote di scrittore e di uomo che egli possedeva realmente. Ma quanta genie, modesta anche, ha pianto sinceramente In morte di A. Camus! Tt1tti coloro che avevano sentito che la sua parola suonava \'era, che era nutrita di cuore, che era ricerca ansiosa di giustizia e di li– bertà. Tutti i giovani, (almeno colo– ro che in quei giorni non s'interes– savano solo alla morte di Fausto Coppi), che avevano trovato in Ca– mus lo scrittore che aveva saputo e– sprimere le loro inquietudini, l'ango– scia dei nostri tempi, le assurdità di infiniti a.spetti di questa nostra esistenza. l\ta a d'armi la misura più gran– de del dolore per l'immatura scom– parsa di A1bert Camus, in quei gior– ni in cui mi trov1wo nella capitale francese, forono i compagni, gli a– mici, i simpatizzanti che tro"o ogni volta che vado lù, nel nostro ambien- 1<', Era un cercar-Ri ansioso al tele– fono per rimanere poi muli da un capo all'altro del filo; rrano gli in– contri silenziosi di runici che l'a,•e– "ano conosciuto, ern l'angoscia che non riuscivamo a rompere, erano i visi pallidi e tristi dei no!llri compa– gni spagnoli che parevano scopril"8i impro"visamcnte piì1 soli, pii, pove– ri, piit indifesi. Chi è che ha par– lato di un Camus altero e solitario? Tutti noi l'avevamo sentilo sempre « compagno » tra compagni, aveva– mo seotita quanta gcncrosìtà e ami– cizia si nascondessero dietro il suo pudore. Per chi veniva d'al di fuo– ri, gli era facile, dai compagni ed 71

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