Volontà - anno IX - n.4 - 1 agosto 1955

Del Buono, mi meraviglio di te, Ti sembra cotesto il modo di parlare? Tu minacci! Io, se tu vuoi, sai cosa fo? ·)fetto in tasca la pipa e ci s1 prova ». Fece seguire il gesto alle parole, e questo suo intervento, riuscì a dira– dare l'impaccio che c'era un po' in tutti, siccome era la circostanza che lo determinava, nncl,e nei più decisi. L'ilarità che seguì, li mosse, tre cin<1ue dieci mani si alzarono, non J>er significare il proprio disaccordo, ma 1>er chiedere la parola e ripetere, ciascuno n suo modo, il concetto espresso da Del Buono, e che condividevano. Fu come se ciascuno sentisse il bisogno di ripetersi le proprie ragioni, per dimostrare a se stesso di essere nel giu– sto, e come per darsi coraggio, una volta impegnatosi, di correre l'avven– tura. Ma anche se non li avesse animati un senti1nento di dignità, di ri– bellione, c'era la propria privala situazione a deciderli. La precarietà delle loro condizioni, in certi casi la lame, li spingeva. « Pongo il mio caso » uno disse. Era un uomo ancora giovane, bruno, dallo sguardo mite e deciso, il voho magro, i baffi corli, la mosca sotto il labbro; era in corpetto e ma– niche di camicia, questa senza solino, fermata al collo da un gemello. 11 Come sa chi mi conosco, ho ventotl'anni e sono mezzomuratore. Mi chiamo Donnini Aminta, vengo dal Ponte a Ema. Lavoro nel Cantiere Ba– dolati di via XX Sette1nbre e 1>rima, da manovale, sta,•o SOito il Tajuti. Ci. pressino nll conosce ». Metello assentì e Del Buono disse: « Anch'io ti conosco. Bravo, parla». « Pongo il mio caso. Ero bracciante, prima di far questo mestiere, pili di dieci anni fa. E nelle campagne c'era anche allora sempre meno Ja, 1 oro per chi ha bisogno d'andare a giornata. Eppoi, fare il bracciante è un me– s1iere? Sei lo schiavo del fattore e del contadini). Il padrone non ti conosce nemmeno, mai. Sei Jo schia,•o dello schiavo dello scluno. E fatichi e gua– dagni di conseguenza. Meno di uno dei nostri manovali ». («Purtroppo» borbottò il ragazzo Renzoni. 1< Se no, chi si sarebbe mosso dall'lmpruneta? »). « Ora statemi a sentire. Avanti d'andar soldato, mi ero impegnato con una brava ragazza. l\fi ero preso anche l'acconto. Ora è In mia donna e non c'è nulla di vergognoso a fnrlo sapere. Al Ponte a Ema l'hanno sempr-e sa– puto. Lei l'ebbe a dire in confessione e i1 pievano la tolse dalle Figlie di Muria. Così In voce foce il giro del paese. Io ero digià militare. E appena congedalo, non me la tlovcvo sposare? L'ho sposata anche pcrchè ci si vo– leva bene. Ma in Municipio J'ho sposata, non in Chiesa. E non perchè io sia ateo dichiarato, ma perchè al pievano, appena tornato dn fare il mili– tare, la 1>rima cosa che Ceci, gli feci uscire il sangue dal naso. Sono stato per <1ucsto sette mesi aJle Murate». « Peccato quelle cbe li nnclllrono di fuori, Aminta » gli gridarono. « Poche andarono di fuori, ve l'assicuro. Era ancora in età cli poterle sopporture. Lo bacchiai seguendo un ragionamento. Poi, feci conio che ]a ferma, invece di tre anni, fosse durata tre e mezzo. Questo succedeva due anni fa. Quando uscii dalle Murate, mia moglie aveva appena partorito ». 194

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