Volontà - anno VIII - n.12 - 15 aprile 1955

,·ato. o lo scopo della ,·fmdeua di clas5e, ma dovrebbe tuu'al pii1, met– tere il delinquente nelle cond.izioni di non pili nuocere, isolandolo, e non torturanclo1o. Difatti il Montesquieu, considt:– rando la « legge )1 che opera sotto l'im1mlso feticista, osserva: « Le p<uu> soverchie arrivano a tal segno clic corrompono lo stesso tli– spotismo. Osserviamo un po' il Gic,ppone. lvi si puniscono di morte <J11<1si tut.t.i.i delitti, perchè racchiu– tlemlosi iu. ogni. delit.to generalment.e ww disubbi<lien:m ad rm così grau.– tl,· /mperat.ore, qualu,ique delitto si. giudica su d'un ml principio è egual– lllCllt<> enorme e dello .~t.essopeso; non procurmulosi ivi fo, chrrczio11e del delinquente, ma. la. soddi.sfnzio- 11(' dell'lmpemtore )I, Ed i1 Montesquieu condanna i ca– stighi freouenti e troppo atroci che sogliono spegnere sensibilmente nel cuore degli uomini. ogn'idea d'onore e di virt11, degradandol.i. a poco a poco con l'ubbidienza e 1a paura. Intanto! tutti i legislatori moderni condannano la legge che ha uno sco- 1>0 di vendetta: Tommaso Natale, considerato come il precursore di Cesare Beccaria, nel suo trattato, ri– ferendosi al Grozio, di.ce : « Jlfn come è ragi.onevole che la soclclis/n:;ione non debbc,, consistere nella com,,U,cenz<idel dolore ,/cl de– linqueute, ciò clic sarebbe inumano e cln sfu,ggirsi, m(l, bensì nelltt sicu.– rez::.Cl, non venga di nuovo offeso, o possa, iu.. aJ>presso incorrere in uu.. maggior pericolo; cioè si deve incl11-• dere nell' obieuo generale delle pe– ne, clie è ,,uello delltt pubblica si– curezza ». 1 Tommaso Nal.Aievoleva l'abolizio• ne della pena di morte 9 ma non pet' tutti i delitti; e gli premeva di cou– servare quella contro la sicurezza dello Stato; e forse perchè il Natale non era riuscito a superare l'istinto di conservazione di casta, essendo e– gli, quale nrnrches~ di Monterosuto, un signore del censo. Ma Cesare Bec– caria che aveva pure lo ~tesso titolo nobiliare, non sapeva rinunziare al– la parilà di diritto di ogni cittadino di fronte alla legge. Egli, dopo di a. ver notato che i Romani, divideva– no le pene in tre classi: quelle molto leggere che riguardavano le persone pii1 alte dello Stato, quelle severe che riguardavano le persone di rango in– feriore e <1uelleassai rigorose che ri– guardavano il basso ceto, scriveva: (< lo mi restringerò a/Jc sole pene do– v1Lle a questo rango, essentlo che es– ser <fobbono le medesime per il pri– mo e l'ultimo cittadino. " Ogni ,lislinzionc, sia negli one– ri, .,i11 ,wlle ricchezze., perchè sia leggittimtt su.ppo,ie uu.'anleriore e– guaglicmzc1,fon.data sulle leggi, che considerano tutti i suddit.i come u– gualmente dipendenti da esse ». 2 Ora, per quanto il principio di quesii legislatori non andasse al di lii da (JllCllo istituzionale del terzo Stato borghese, esso non è stato nemmeno esattamente tradotto nei vigenti Codici del Diritto penale, l quali sembrano appunto scritti in <1ucllaforma oscura, perchè ogni uo– mo di legge ci possa leggere a mo• do suo, e dargli una interpretazione elasticn, comoda alla giustizia di parte. Nè la Magistratura (come corpo), cercò mai cli mettere la Giustizia. al 1 To:ul\uso NATAU:. (< Dclfo cffic1u:foe ,1e- 2 C•:~.uu;; R.:c :c.uu. « Dei delitti e delle ussit1ì ,lelle pene». pe11e )1. 717

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