Volontà - anno VIII - n.10 - 15 febbraio 1955

per vrovare J'Essere supremo, io non rinvenni che una metafisica vacil– lante Je cui deduzioni avevano l'aria di una ·ipotesi più comoda, e non rassomigliavano affatto a una teoria -scientifica e certa. Permettetemi, signori, che ve ne offra un esempio. L'anima non può perire, dicono i cartesiani, J>erchè è immateriale e sem1>lice. Ma perchè ciò che ha comm– ciato d'essere non potrebbe cessare d'esistere? Che dunque? l'anima, nella sua durata, sarebbe, da una parte, infinita e eterna, daJl'altra limitata? Ciò è incomprensibile. La materia - dicono i 1ilosdfi. - non è l'Essere neccssar:-io, perchè evidentemente essa è contingente, dipendente e passiva. Dunque, ella è stata creata. Ma come concepire la creazione della materia da parte dello spirito piuttosto che la produzione dello spirito da parte della materia? L'una cosa è altrettanto inconcepibile dell'altra. Rimasi dunque quel che ero. Mi sembrò d'allora che occorresse seguire un'altra slrada per costituire la filosofia in una scienza, e non ho J>iù mutato opi– nione dalla mia infanzia. Continuai gli studi umanistici attraverso le miserie della mia famiglia e tutti i disgusti di cui può essere abbeverato un giov,me sensibiJe e fornito del piÌI irritabile amor proprio. Oltre le malattie e il cattivo stato dei suoi affari, mio padre subì uu processo la cui perdita colmò la sua rovina. Il giorno stesso in cui il giudizio doveva essere pronunciato l-Cnivo inco– ronato del diploma -di eccelle11zC1. Andai col cuore triste a quella solennità ove tutto avrebbe dovuto sorrulermi; padri e madri abbracciavano i loro figli laureati e applaudivano ai loro trionfi, mentre la mia famiglia era :i.I tribunale, in attesa dell'arresto. Me ne ricordo sempre. Il Rettore mi domandò se volevo essere presentato a (;ualche genitore o amico per farmi coronare della sua mano. « lo non ho nessuno qui, Signor Rettore», gli risposi. « Ebbene! aggiunse lui, sarò io a coronarvi e ad. abbracciarvi! ». Mai, Signori, sentii un piÌI vivo struggimento. Ritrovai la mia fa. miglia, costernata, mia madre in pianto: nostro padre aveva perdu:o. Quella sera inzuppammo il pane nell'ac(1na. Mi trasci11ai fino a]la classe di retorica: fu quello il mio Ultimo anno di collegio. Mi Cu giocoforza, da alfora, provvedere al mio nutrimento e al mio mantenimento. « Ora - disse mio padre - dcvi sapere qual'è il tuo mestiere; a diciotto anni io mi guadagnavo il pane, e non avevo fatto grandi studi». Trorni che aveva ragione, e entrai in una tipografia. Sperai per alcun tem1>0 che il mestiere di correttore mi avrebbe p4>t• messo di riprendere gli studi abbandonati proprio nel momento in cui essi esigevano i mie sforzi maggi.or e una rinnovata attività. Le opere di Bos– .met, di Bergier, ecc. mi pai;.sarono sollo gli occhi; imparai la legge del ragionamento e deJlo stile, sotto <1uci grandi maestri. Ben presto mi credetti chianrnlo a diventare un apologista del cristianesimo, e mi misi a leggere i libri dei suoi nemici e quelli dei suoi difensori. Nell'ardente fornace della controversia, a1,J1:issionaodomi sovente per delle immagina– zioni e non ascoltando che il mio senso intimo, vidi 6Vanire poco a poco ~97

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