La Voce - anno II - n. 49 - 17 novembre 1910

A. 882. Sig. (Coseuza) 'fommaso Nuoletti . Avv. S. Giovannin Fiore (Scade 31-12-910) ' Esce ogni giovedì in Firenze, via dei Robbia, 42 .JI, Diretta da GIUSEPPE PREZZO LINI .:,. Albonamento per il Regno, Trento, Trieste, Canton Ticino, L. 5,00. Un numero cent. IO. Anno Il .:I- N: 49 .:I- 17 Novembre 1910. 50'.\I:\l:\RIO: Giuseppe Cesare Abba, Do:i.1EN1co Bt;1~FERETT1 - Per la Cattedraa G. Ferrero, G1L."SEPPR PREZZOJ,INI - 11Convegnoper la Questione Sessuale _ Il CongressoCattolico, PIETRO z.. \Nl~ROC.NINI _ Per il «Rifugio» J/aje/ti. Giuseppe Cesare Abba. Aveva le virtù che mancano ai più degli Italiani. ~lodesto, laborioso, gentile. Dal pa– rere singolare tanto rifuggiva che riesci figura singolarissima. Chi l'ha conosciuto ne sen– tirà il vuoto per gran tempo. La gloria l'ha preso come a tradimento in quest'ultimi anni, che non aveva più forza di resisterle. Dopo la nomina a senatore mi scriveva: « Sto qui come una foglia mulinata dal vento che la sbatterà finalmente in terra •· Compiti gli studi universitari e combat– tuto nelle campagne del '59, del '60 e del '66, si ritirò nel suo Cairo J\lontenotte a vita modestissima, e vi fondò una società di ~I. S. tra gli operai, e vi promosse I' igiene e l'istruzione. Nel '61 aveva composto un poemetto, e i compagni di Pisa l'avevano indotto a darlo alle stampe prima di partire per la guerra del '66; ma egli non aveva molto concetto del suo lavoro, e l'aveva stampate a malincuore. Tra i monti nativi pensò e scrisse un romanzo, illustrando la venuta dell'esercito repubblicano francese, e lo pubblicò, cedendo anche stavolta alle in– sistenze di alcuni amici, nel 1875. Era lon– tanissimo dall'idea di fare lo scrittore o, peggio, il letterato. E le noticine, che aveva buttate giù del '60, quelle si vergognava fino di mandarle come materiale di consul– tazione al Carducci. Ma il Carducci le passò al Zanichelli; e battè perchè egli entrasse nell'insegnamento. J\lorti i genitori, scemategli le sostanze e cresciutagli la famiglia, andò, di quaranta– quattr'an oi, professore a Faenza. A Ifredo Oriani lo salutò « eroica e gentile figura di troviero ». Lo fecero parlare del Generale alla commemorazione della sua morte: « un discorso che fu un canto di allodola inter– rotto da strida di aquila ». Era sulla sua via, e non si fermò più. ,via non volle dimorare nelle città grandi. Predilesse Brescia per le risonanze d'un suo mondo ideale rivelato da alcuni aneddoti, i quali anche illuminano diversi aspetti dell'uomo. Aveva quattordici anni che senti dire del– l'uccisione di Tito Speri. « Bel fiore! > Era il nome del becchino del suo paese. Credette che il becchino avesse assassinato Tito Speri, e con altri giovanolli poco mancò non l'am– mazzasse per vendicare il patriolta bresciano. A Savona uno scolopio parlò in iscuola delle Dieci Giornate. Egli se n'esaltò; e alla chiama: e Abba di ... •, rispose: « Di Bre– scia! > \'ide Brescia la prima volta l'estate del 18j9. Subito corse fuori porta Venezia, e chiese a un vecchio della casa dove il Fo· scolo compose i Sepolcri. e Quella casetta lassù >. rispose quegli con un gesto vago. Il giovine fissò una fra le tante ville dei ro11cl,i: e si convinse che in quei luoghi e a quell'aria dovesse essere nato il Carme. Stando un giorno alla porta d'uno degli ospedali zeppi dei feriti di Solferino e di S. ~lartino, \'ide fermarsi un carro di casse J'aranci e di filacciche e di bende. Intese he ,•enivano dalle donne di Palermo, e ch'erano uscite dall'isola trafugate. Fece voto di andare a dar la sua vita laggiù .. Aperto e sensibilissimo alle impressioni, non dimenticava. La sua forma spirituale era il ricordo; e di ricordi erano falli i suoi racconti, i suoi ragionamenti, le sue dimo– strazioni. \'eleva spiegarvi la sua sfiducia in un .\1inistro? \'i raccontava che, quand'egli si recava alla stazione di Pisa per la guerra del '66, dietro una vetrina del caffè dell'lìs– sero quel tale guarda va e sorrideva scettico. Si ragionava di clericalismo? Ricordava casi e essi di sopraffazioni settarie, di preti in– creduli, di frati paurosi della morte ... Era anticlericale di nobilissima lega. Cristo, S. Francesco, Gioberti, ~lazzini gli bruciav,1110 l'anima a pensarli. l più dei preti e dei clericali gli rivoltavano lo stomaco. Diceva: « Non posso entrare in una chiesa senza vergogna della gente che mi ci tocca vedere ». Ma ad As– sisi non volle uscire lui dal tempio, bensì fece uscire quei tre o quattro che lo profa– navano di chiacchiere. Nel marzo 1908 non gli dava pace la bassezza onde s'era svolta alla camera la discussione sul l'insegnamento religioso. Nei Pro111essi Sposi trovava la pii, acuta critica di tutto il clero. Soltanto quando incontrava l'esile figura d'un vecchio prete giobeniano, che vide il '48, gli stdngeva le mani esclamando: « Oh, l~i é giovine; ma i giovani d'oggi, i più sono decrepiti! » Gioberti, lo leggeva, ma nel Prima/o; perchè nelle opere filosofiche ci si smarriva. Qualche anno fa, il Lco11ardo, il Ri1111ova- 111enlo, anche la Critica gli facevano paura come deviazioni al, diceva egli, teologismo. Poi si persuase della sanità di quel movi– mento; e nella primavera del 1907 1 seri• vendo un saggio su Garibaldi per Natura e A,te, gli balzarono alcuni periodi sul carat· tere religioso degl' Italiani e sul misticismo del Generale, dove l'ala del sentimento tra· scende i ricordi e muove l'aria delle idee. Egli spiegava il sapore nuovo di quelle pagine con lo stato d'animo in cui l'aveva messo la partenza d'un suo lìgliuolo per l'Afiica. Dei figliuoli, della famiglia ebbe un culto esemplare. Ultimamente, co11versando con un giovane della questione sessuale agitata dalla Voce, tutt'a un tratto disse: « A settant'anni fa piacere poter conversare di queste cose senz'arrossire ~- Attendeva ancora - modesto, laborioso, gentile - alle sue occupazioni. Il primo novembre scriveva all'on. Riccardo Luzzatto: « Devo far sedici ore settimanali di lezione, tener la Presidenza dell'Istituto, sbrigare tulio il da fare che in questo mese dànno il Mi– nistero, la Provincia, il Comune, le due· cento famiglie degli alunni». Per quelle due– cento famiglie, e per più altre, egli era un altro e migliore padre. Molti giovani devono a lui la vita serena. E tutti quelli che l'hanno avvicinato, che banno avuto un suo sguardo, una sua parola, una sua stretta di mano, si sono trovati come cresciuti d'animo e fino di statura. E ,·eramente, alta e dritta era la sua persona, come tiera e bella la testa. La modestia non gl' impediva il decoro di chi sente la propria dignità. Le ultime parole da lui pronunziate proruppero dall'animo: , j\j' hanno veduto cadere così come un briaco: mi crederanno malato, diranno che sono epilettico! • Accettò di fare troppe commemorazioni? Ma bisogna tener conto delle infinite a cui si rifiutò: massime delle grandi cillà dove si esige rom ba di retorica. Andando nei paesi a rievocare le nobili anime dei passati faceva opera di educatore, schietta e pura. Sentite come l'esprimeva nell'ultima delle sue commemorazioni, a Fiesse, il 30 ottobre: • Non è la parola alata, la f.intasiosa figu- BiblotecaGino Bianco raziQne de' poeti, che soccorre in queste comh1emorazioni: è il battito del cuore, è la commozione delle parole semplici ... Bi– sognerebbe usare di quelle parole che ven– g0;;.._.,1Je labbra quando attorno al focolare atte.udono i figli i ricordi dei padri, quello che vissero e che fermarono nella memoria rer non mai più pederlo •· Poichè egli parlava con quel suo garbo paterno, lo ascoltavano anche gli umili. Poichè egli ha scritto al modo che parlava, è a credere che lo leggeranno anche quando della odierna letteratura poco sarà soprav– vissuto. Domenico Bulferetti. PER LA CATTEDRAA G. FERRERO Liquidata nel numero passato la questione personale con Guglielmo Ferrere, ho voluto separarla con una settimana di tempo e di riflessione da quella impersonale di cultura. Guglielmo Ferrere ha certamente avuto torlo di parlare come ha parlato di noi ; ma po· trebbe avere avuto ragione di lagnarsi delle opposizioni alla sua cattedra sbcciale. Sparita ogni ombra di risentimento personale in me, sono disposto a discuterlo e, se occorre, a dargli ragione ; non soltanto per un senso di ~giustizia, ma anche per una certa cavalleria. Sono però dispiacente di non poterlo fare. La conferenza del Ferrere - malgrado i ten– tativi di appro\'azione - non ha incontrato nemmeno presso i suoi amici e presso i so– stenitori della sua cattedra; i quali non si nascondono l'errore ch'egli ha commesso par· lando per un 'ora e mezzo di se stesso di fronte à un p,1bblico che nella massima pa,te si annoiava, e con argomenti troppo facili ad essere demoliti. Del primo errore non è lui solo il colpe· vole, bensl i condiscendenti padroni bloccardi del I' U11ivcrsilàpopolare, i quali hanno am– messo che ad inaugurare l'undecimo anno di insegnamento il Ferrere venisse a portare dei pettegolezzi e ad esporre una sua questione privata. Francamente essi non hanno dimo– strato di avere un criterio molto es:Jtto di quello che dovrebbe essere l'Università cosi detta p~polare, mentre l'ha dimostrato quella parte del pubblico operaio e piccolo borghese che sfollava dalla porta d'escita man mano che il Ferrere procedeva nella sua autoapo· logia capita nelle sue allusioni soltanto da pochi intellettuali e giornalisti. Di fronte a questo fenomeno sorgeva spon· tanea la domanda : « - e che cosa farà iI Ferrere domani se otterrà la cattedra di Roma? Racconterà, come qui, le sue beghe private, riporterà le sue polemiche lellerarie, narrerà i suoi viaggi, - o farà lezione? » Non du– bito ch'egli si atterrebbe a questo partito. ~la il modo di promettercelo in questa sua inau– gurazione ne era tutt>altro che !:{aranziasi– ctira. Del secondo errore, cioè dei suoi deboli argomenti, è responsabile però il solo Fer· rero. Perchè il Ferrere voleva 1111a calledra, e non dimentichiamolo, una cattedra di filo· sojia della storia, e, non scordiamolo, a Roma? Sono tre elementi che non vanno assoluta-– mente confusi. Rispose il Fe,rero: - Ho domandato la cattedra per formare degli scolari. La do· mando di filosofia del la storia perchè intendo porre un nuovo contenuto in questa vecchia formula. Chiedo sia a Roo,a perchè ... li perchè Guglielmo l'errero non ce l'ha detto. Non ce l'ha detto perchè non poteva dircelo. A nessuno è mai parso che ad in– segnare filosofia della storia sia necessario poter girare la sera per il Corso di Roma piuttosto che per i portici del Pavaglione o per i Lungopò di Torino. Roma non sembra a nessuno un'ideale città per formare stu– denti seri e disciplinati e studiosi. Roma è invece stata sempre i1 punto di mira, insie– me con Napoli, di quei professori deputati e senatori, che fanno più ore di politica che ore di lezione, più anticamera ministerialé che sedute nelle biblioteche e nei labora· tori. Ho1111J' soil qui mal y pc11se. Guglielmo Ferrere non pensa di certo a diventar depu– tato. Deputato è troppo poco per lui. Ma perchè allora chiede Roma? Forse per vedere le feste? Non supponia– mo tanto cattivo gusto in Ferrero. E queste domande ce le facciamo per la nostra e per la sua pace spirituale Roma ... Roma ... Quan– do si ode questo fatidico 11ome, anche se è Guglielmo Ferrere che lo pronunzia, vi si sen1e associato un certo turbinio <li imma– gini di mala vita spirituale e letteraria e di Cesarismo ridollo alla Riccardo Joanna che non ci si può trallener dai sospetti e dai rim• pianti. ;\lais qu'est ce qu'allait-il.faire dans cene galère? Che cosa vuol fare Ferrere a Roma? Ecco uno dei grandi misteri italiani, e a meno di supporre in Ferrero la cristiana abne· gazione di vivere in compagnia di An– giolo de Gubernatis, non si riesce davvero a capirlo. Quel che si capisce, e trqppo, è invece la calledra di filosofia della storia. Questa cat• tedra rammenta la cattedra oj Thi11gsi11gc 11cral del buon Teufelsdroeck : cattedra di cose in generale. Di chiacchiere in generale. - Storia romana? cartaginese? greca? -– Storia di Carlo V? di l\apoleone? - Storia del 1437 o del I 872? Um ! Storia di tulti i tempi, presa a spiz2ico ; e le farmacie di vil– laggio ne sanno qualcosa. Àvete mai sentito qualche m~lato imma· ginario lamentarsi? - Che ti duole? - Ah, tutto, tutto! - Tutto? ~la le gambe forse? la testa? - No, nè le gambe, nè la tesla : ma tulio. - Così risponde il malato imma– ginario. Il professore di filosofia della storia gli assomiglia: fa la storia di tutto e di nulla. Se gli domandi il particolare, si rifugia nel generale. Se obietti al generale, ti si ripre· senta franco franco al'mato d'un particolare. La filosofia della storia è il gioco del rim· piattino. J\la Ferrero, testa tine, propone un' inno– vazione. Già. L'è un po' vecchia, a dir il vero, ma con una spianatina le grinze van via: almeno per il giorno della cerimonia. Poi torneran fuori : ma passata la festa, gab· bato lo santo, e qui chi fa da santo è il pub– blico. Lasciamo parlare Ferrere: « L' inno– vazione sarebbe que,ta : dividere lo studio non per epoche - antica, medioevale, moderna, contemporanea - ma per categorie di feno• meni>. Le quali sarebbero, con divisioni la cui originalità rispello alla religione sarà ricono– sciuta da ognuno:« guerre 1 rivoluzioni politi– che, lotte diplomatiche, dinastie, aristocrazie, repubbliche, burocrszie, religioni nazionali e politiche, religioni cosmopolite, mistiche o metafisiche [sic J ». Il compito sarebbe poi di « scomporle nelle loro forze elementari, in– telligibili immediatamente, secondo quel rrin·

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