La Voce - anno II - n. 13 - 10 marzo 1910

282 tati a fruttare di terra in terra. Stagnerebbe anche la vita piì.1 intensa senza di essi. Ri– cordiamo i volgarizzatori ed assimilatori esper– tissimi e intelligentissimi di Francia che da• van chiarezza, .igile e duttil corpo alle idee ancor \'Cstite di tenebre giunle dai lidi bri– tannici e germanici. Colla Francia assai amo– reggiò A. \V. Schlegel; lunghi anni rimase con ~l. 111 c de Stael, fervidissinrn, presto vinta ed avvinta al romanticismo, ne educò i tigli ed assorbi dalle idee della genial donna, ter– minato l'apostolato suo in patria. Non si sol– levò mai, tuttavia, sugli spiriti maggiori di lui, e del fratello, svisceratamente amato, ri– conobbe l'originalità grandissima, I' i1itimo, profondissimo lavoro dell'anima: quel pio– ver di faville perpetuo che melleva fiamme nell'intera romantica brigata. A un albero parngonava sè ed il fratello a lui congiunto. Lui restrignevasi alla ci ma 1 ben alta sul fu. sto, flessuosa 'al cieìo i tna al fratello accor~ dava le radici sprofondate nella terra che muore, vita e nutrimento toglieva per en– trambi. E, in verità 1 è a Friedrich Schlegel che dobbiamo inchinarci come all'araldo più ispi• rato, al genio inventivo maggiore del roman– ticismo in Germania. Più s' indietreggia ne– gli anni del suo apostolato, allor che ac– coglie"a, nei primi del '90 1 ed elaborava febbrilmente nel cervello proprio le idee di Kant, maggiore ci appare il fer\'or di uova• zione, più rapida e possente l'intuizione sua. Nei brani di epistole al fratello getta alla rinfusa, e come gli piovevan nella mente, desti dal primo urto, i teoremi suoi, abbozzi di ide~listiche dottrine : e la filosofia deUa natura di Schelling v'è già in embrione; abbozzati già qui i principi fondamentali di una religione, intesa come rapporto del finito coll'infinito, quale apparrà bandita nei di– scorsi famosi dello Schleiermacher. Presto fu avvezz.o a scrutare e a indagare al fondo dell'anima sua. Un'intensità di vibrazione del pensiero, una rlisposizione a seguire I' i– dea balenatagli tino alle estreme conseguenze 1 una innata tendenza al misticismo, la spinta impulsh•a sulla china dell' infinito e del trascendeotale lo fecero prima spiritual guida dei romantici, centro a cui mettevan capo la speculazione, i1 fantasticare, il sognare e de– lirare dei giovani conquisi alla gran riforma ideale. Nessun di loro gli disputò il primalo che gli accordò natura. Tutti da lui si sen– tivan magicamente attratti, spronati, invasi, accesi da fiamme vive. Tutti raccoglievano temi d' idee che spandeva con portentosa prodigalità. Pizzicava Friedrich Schlegel di poeta, ma il pensier grave gli assorbiva quando non gli distruggeva quel suo poco di mondo di fantasia. Le definizioni derivan da lui. 11 credo romantico è da lui compi• lato. I dogmi novelli da lui si raccolgono a catechismo di perfezione spirituale. Ei dà la nota fondamentale, e i compagni intonan su di essa i loro inni e cantici. Giovanissimo, scosso da Herder, da Hamann e da Kant, voleva por mano a un sistema di idee di una filosofia idealistica pura. Vedevasi la mente in grande ebollizione e in grande travaglio per metter fuori quello che al di dentro gli tumultuava. Usciva il pensiero come lava premuta infocata. Era in lui la storra, la mania del rivoluzionario. Mettere il mondo in iscompiglio 1 fondare una filo– sofia nuova, una religion nuova, foggiare le sen1enze e i salmi di una nuova bibbia, at– teggiarsi a profeta de' tempi nUO\'Ì era biso• gno del suo spirito. Riviveva Lutero in lui. Gli dareste un brando per pugnare, su li– beri campi, le sacre battaglie del libero pen– siero. i'lil le idee colpivano, fendevano come la spada stessa. Quella gran foga Schlegeliana 1 il soggetti– vismo ardente eran preceduti, preparati da un periodo di geslazione spirituale men tu– multuaria e più mite. Dell'oggellività senza limiti dei primi anni ebbe Friedrich Schle– gel stesso a dolersi. L',O proprio scioglieva nelle armonie dell'universo 1 prima di rivol– g'el'lo in sè, come suggeriva Fichte e consi– dernrlo come manifestazione solenne dell'u– nità universale. Era entusiasta di Schiller, adoratore de' classici, e tracciava la storia della poesia greca e latina. Gli si affaccina LA VOCE il bello nelle pure forme elleniche. Trova naturale l'antico, artificioso il moderno, go– tico e ancor barbaro Dante. Ma poi progre– disce, e innova, e trasforma non capovol– gendo ma traendo a sostegno del filosofar proprio la speculazione antica. Dalle f,re-– messe di Kant, dalla sintesi a priori logica filosofica passa a nuovi concetti di trascenden– tale idealismo. Avverte o preannuncia l'Uhi– verso di Schelling. La grande eterna armonia dell'universo già "ede\'ala, interrogando Hem– sterhuis1 ascoltatissimo sempre da' primi ro• mantici. Si foggia poi una sua dottrina del- 1' universalità progressiva e la !ipellacolosa dottrina di un centro a cui converge < die h0chste All-Einbeit >. Dell'universalità veduta nel Tullo o insieme armonico fa partecipe la poesia. Non è posta legge all'arbitrio del poeta. L'arte abbraccia l'uni\'erso. È un dive– nire continuo, eterno, come è eterno J!.iA. nife la vita, la natura, fl mondo che ci fo– volge. Ma nel cuore di quel!' iniziator vero del romanticismo germanico pugnava una lrage· dia cruda. All'officina del suo pensiero su– dava, grondava lagrime e sangue. Le idee lo assediano in tumulto, precipitano, s'adden– sano, s'accavallan nel cervello che tutte le , afferra e le comprende e tutte le vorrebbe ordinare, palesare, esprimere, chiarire. Ma ne rimane affranto, soffocato. Pur il Vico soffriya della tumultuosa re~sa dei pensieri che l'ag– gredivano e nel manifestarli davasi talora acerba tortura. Svolazza leggero qual farfal)a A. W. Schlegel. Friedrich Schlegel si, tra· scina del piombo nel suo cammin grave. S'indugia. Imprig:ra. Scioglie un inno all'o- "Forse che ' St zio nella L11ci11de. Quei guizzi di spiri1md vita minaccian spegnersi nell'anima sua, pri· ma di uscire a nuova luce. L'arrurTatissima matassa non si disbriga. L'espressione è lenta quanto rnpido è il balenio dell' idea 1 lenta e ine\'ilabilmente oscura attende l'espressione rifatta nella poetica e musical favella del Novalis, per acquistare :igilit:\ e chiarezza, e per esser intesa, fuor dell'enigma e del mi– stero e delle cifre secrete e sibilline. Assai maggior filosofo di Herder, riesce ancor più di Herder frammentario; l'ardor suo specu· lati\'o non gli edifica nessun sistema. Edifi– caron altri più esperti ed abili di lui, e dei rneravigliosissimi frammenti di idee conden– sate nell'Atheniium, gittate e sparse altrove, ebbero a giovarsi per innalzare maestoso e solenne, forte, incrollabile nella struttura sua, il tempio all'idealismo di questa povera urna· nit:\ ,sofferente, a cui· lavprò Hegel e lavor;m le generazioni, che via via si succedono, e lavorate voi giovani colle forze dell'anima vostra infrangibile all'urto della materia che invade il pensiero e la mente. Piì1 di questa tragedia ci rattrista il miserevol decadimento di questo duce e maestro che si ritrae, dopo 11apostolato suo ardentissimo di pochi anni, e chiude il passato coii una conversione sincera ma fat.ile; quel passato rinnega; distrugge, frange le divini1à invocate e ritrovate un dl, e rimane lui stesso dopo il periodo di gio– ventù più fervido, compassionevol rovina. Divelta, veramente, era la pianta rigogliosa e forte celebrala dal fratello, e le radici inaridite, seccavan sc,repol~ndosi al sole. Arturo Farinelli. forse che no. ,, (Cootlnunlone, vedi numero precedente) IV. Le e: pagine grandi » di questo romanzo appartengono appunto al mondo più volatite e inafferrabile di Gabriele d'Annunzio. ----< Dove la forza di questo poeta sa tracciare un fermo limite al proprio giuoco e ci dà il godimento perfotto di vederla esercitarsi nella libertà sorridente della sua propria legge 1 è nell'espressione di stati di semplicità asso· Iuta, nell'affermazione di atti di vita elemen– tare, che pur s' impregnano d'una superior commozione nell'essere assunti a dignità di arte, e d'arte sl pura. - Sensualismo. - Parve, tuttavia, che in questo sensualismo si rico– noscesse l'anima di tutlo un popolo a risan· tificarsi, a rifarsi degna della bellezza della sua terra. Le laudi di Gabriele d'Annunzio sono una grandiosa presa di possesso di fe. licità terrestre, e :.aranno per l'Italia nuova come il canto di quella ebrietà di gioventù che la giustizia universa vuole discenda un'ora in tutti! le esistenze, quasi un crisma profondo, perchè le creature 1 nel volger degli anni e nel mutar del dolore, intendano talvolta a lei con un rimpianto desideroso, e ritrovino in sè medesime l' ingenuilà primordiale che le ritempri e le riposi. È una felicità che fiorisce nello schietto amor delle cose e che vollero anche gli spirili più severi, pili ignudi, più abissali. È un capo puerile di violetta che ama far oscillare la sua om– bra az.zurra anche sulla pielra arsa dei se– polcri. Cn bene che nella sua fiduciosa dol– cezza sa distendere e pacificare i tormenti più aspri e gelosi. Dice Beethoven nel suo stile selvaggio, tutto sco1ci ed anacoluti: « lo amo piì.1 un albero che un uomo >. e Dio onni· potente, nella foresta io sono beato, felice nella foresta .... » « O Dio, quale maestà in una tale profondi1à di foresta : nelle altezze è quiete, quiete per sen•ire a lui ». E Leopardi : ~leco ritorna a vi\·ere La piaggia. il bosco, il monte; Parla al mio core il fo11te, ri.leco favella il mar. Chi mi ridona il piaus:-erc Dopo cotanto obblio? E come al guardo mio Cangiato il mondo appar? E nelle ultime lettere di Mii;helangiolo si legge (18 Settembre 1556}: lo ho avuto a questi dl con gran disagio e spesa e g1an piacere nelle montagne di Spuleti a visitare que' romiti, in modo che io son ritornillto' men che mezzo a Roma, perchè veramente e' non si trova pace ~ non ne' boschi. > Ma se tutto un popolo, trattato da una seco· lare afflizione con prove le quali gli infetta– rono I' esistenza nei suoi sapori più sacri e profondi, rigodendo ad un tratto della vita liberata, rinascesse ai vergini aspetti delle cose fra le qual i nel suo in forme dolore aveva mosso come bruto, mentre i suoi occhi erano spenti, e queste cose fo~sero sfavillanti montagne di verzura e di neve, boschi sonori di olivi argentei, mari di smeraldi e di zaf– firi, pianure balenanti d'occhi azzurri di fiori, pensose città divine, nelle Laudi 1 ridicendo il suo amore alle sue perdute e riconquistate sorelle, questo popolo troverebbe parole ade– guate alla sua gigantesca allegrezza. Veramente, chi risentì in quei poemi un sonio di epopea indiana, errò forse nella formula nella quale credette esaltare quel suo sentimento, nQn errò nel sentimento. Poichè dei due elementi di cui consta lo spirito di quella epopea, uno, certo, passò nella poesia panica di Gabriele d 1 Annun– zio : l'elemento naturalistko 1 percettivo, a conferirle, per il suo isolamento medesimo, quella vit.tlità cosi es~berante e sicura che la fa esser 1 più che una inspirata compagine \'er· baie, addirittura un viluppo di cose vive, una luce solare materiata, un'allegria di venti trasfusasi, in 1utta la sua freschezza e in tutto il suo profumo, in flessuosi!:\ di aeree mo– venze, in ritmi di ilarità prodigiosa. In Giovanni Segantini un natnralismo al– trettanto puro e robusto si compiè, propria– mente come negli indiani, di quel mistico soffio di divinità che manca alla poesia di Gabriele d'Annunzio. L'amore alla fonte della vita, Il ,!olore confortalo dalla fede, ecc., sono opere nelle quali questa confessione non a\'– viene nativamente ma si orrusca in forme che risentono della loro incuba1.ione letteraria. Ma, in altre opere, il nitido spettacolo delle cose sembra talvolta interrompersi, talvolta esser diffusamente gravato d'un' ingenua luce, più vi\'a del fulgore istesso delle montagne Bibloteca Gino Bianco e delle nubi, nella quale la divinità è intat• tamente trasfusa. Non abbiamo allora incon– gruenze estetiche, come quando questo pittore figurò le anime liberate dalla spoglia mortale salenti al cielo in una bianca nuvoletta, die– tro la quale angioli gridavano a coro « Osan– na >, come nelle piuure dei giotteschi. E sul cielo topazio e viola del pannello centrale del gran trittico, quella luce che racchiude l'ultima confessione divina dell'artista, sazia sublimemente la nube sospesa, la quale, sotto gli occhi di chi guarda, sembra inappercepi– bilmente mu1a1e il suo folgorlo, ed esser plasmata da un vento che s'aggiri senza 1ur– bare il cristallo del!' aria purissima, a quel modo che il semplice alit.o della vita con– torna e modella forme di ardenti pensieri nel terso cielo dell'anima dell'uomo. Ma quasi, a dir così, che la pittura meglio riuscis~c. de.Ila poesia. ~d affermar CO$l appena appena affiorata e ad esprimer senza sforzarla ciuesta umanità rinascente, il Segantini pare avere urtato assai di rado negli ostacoli nei quali, in\'ece, si imbattè ad ogni passo Gabriele d'Annunzio, allorchè volle uscir dalla sua cruda animalità ed imprimere alla sua arte una vita pii.1 consapevole, più ricca di con– trasto, la quale fosse, per esprimermi, meno smarrita nelle cose ed intendesse ad una spi– ritualiti più attuale. Era un dolore largo, oscuro, simile al cieco dolore della natura quello che, più sovente, questi spiriti primitivi sentivan calare sulla loro limpidità. Fuso nelle colorazioni di un paese, armonizzato di luci e di velature, on– nipresente e dappertutto dissimulato, nei qua– dri del Segantini esso ci conquista potente– mente con la sua verginità schiva di atteg– giamenti nei quali si pretenda astringerla a significar più di quel eh' ella e voglia e possa, sospettosa di chiudersi in contingenze immature. ln certe liriche del d'Annunzio la fusione si può dire egualmente avvenuta in modo perfetto. Non gli bastava. Egli voleva rappresentare la gioiosità che avea creato la schietta forma dei suoi ditirambi, a contatto del dolore che egli riconosceva neee!llario al compiuto !!,ipore del.la vita, e prppriamenl:e nelle forme che ioseguon la vita stessa nel complesso svilupparsi delle sue crisi : nel ro– manio e nel dramma. Da questo punto co– mincia a raccogliersi intorno al chiaro nu• eleo della sua prima poesia (Canio novo, Terra vergù,e) il mondo che abbiam detto più difficile ed erronee-, sebben gra\'ido di bel· lezza e ricchissimo di significati profondi. Fu osservato che, nello sforzo per rappre– sentarsi in crisi, la carnalità, base prima della poesia dannunziana, subisce, nei romanzi e nei drammi, le trasformazioni più singolari, patisce i pili inverosimili compromessi. E la vediamo infatli camuffarsi in equivoco pieti• smo ed in vacuo eroismo, etc. 1 a seconda della clirrerente sostanza di cui, nel volger degli anni, sotto la diversa influenza degli studii e delle mode letterarie, al poeta tornò più comodo foggiare il sostegno, lo scheletro delle narrazioni e dei fatti, da imborrar poi della materia viva delle sue sensazioni e delle sue fantasie. 11 romanzo di Gabriele d' An– nunzio ed il su~ dramma son cosi tutti in– quinati d'un intrinseco inconciliabile dissidio fra lo sforzo artificioso ed inane verso una determina1ezza 1 una coerenza, una logica con· catenazione che possano valere a sostenerli e dar loro mo10, ed una psicologia egoistica• mente lirica che non sa apparir generata dall'urto degli avvenimenti, nè ha possi– bile rapporto con loro, anzi, sordamente, e giustamente, loro si ribella. Per equilibrare in qualche modo le sue violenze liriche, credè opportuno il d'Annu111.io a1tribuirle a crea· ture di eccezione, e tutti conoscono la pro– lis~a serie dei suoi person:Jggi. Ma accadde che le sue creature, mentre ci erano odiose in quella lor vita fittizia di bambole incapaci ad agitarsi fuor che nell'aria viziata dei salotti ed a parlar fuor che in un un gergo smam· molato, furono ancor meno vive e più ancora incomprensibili quando ad un tratto s' infiam– marono di vero ardore e parlaron non più le loro parole troppo adorne, ma parole di ignuda umanità, schietta nel suo travaglio, come schietta nella sua gioia il pot:la già la aveva saputa cantare. Era un sano che, tratto

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