La Voce - anno I - n. 52 - 9 dicembre 1909

220 LA VOCE molli dall'esporre la stori:t come 11n,1 ai fan– ciulli, perchè ha potuto far credere che per questo non si pos~ano tro\·are imagini abba– stanta concrete - come ne occorrono all'in– segnamcto elemcnlare - nè abbastanza esatte. Ma se il concreto critico storico nostro è inaccessibile ai fanciulli o deforme; se i pez– zettini biogrntic) cli questo concreto nostro che noi gli offri:imo come meno indigesti, sono insignificanti anche per lui, che non sa che farsene, ricorriamo al concreto fantastico, che è veramente parente colle imagìni che egli si forma delle cose e che secondo il Vico è la prima \'Cra storia e che nel po– polo di tutti i paesi ha una bellissima e ab– bondante tradizione di miti, di fa\·ole 1 di novelle. e illustriamo con quell:t un sem– plicissimo racconto - ,mo -- che corrì• sponda a!Paspellazione \"erso la storia. Non si tratta dunque di dare al fanciullo ciò che può comprendere fra i nostri veri scientifici, di moJa più o meno dur3U1ra 1 e nemmeno di dargli da studiare realmente i pani della fantasia riproduttrice d'un suo com– pagno! - non vi capirebbe nulla egualmente, forse - ma di fare di tutla la storia un'i– magine simile a quella che saprebbe formarsi un fanciullo o un ignorante se ne fosse spettatore, Se l'imagine rappresenta davvero l'impressione che può fare la storia all'ima– ginario spettatore non può essere falsa, nep– pure se sia d'un ignorante e la cognizione dell'oggetto storia sarà davvero incominciata. E dove collocherei questo spettatore ? Lo colloco nella mente dell'artista che ab– bia abba.stanu stima dell'infanzia e dcli' igno– ranz.a per sapere dh·entare un ignorante e un bambino anche lui. L'artista che può ripro- 1Jurre in sè le condizioni dello spirito infan– tile e intendere la ~riet3 di quel momento dello S\•iluppo umano, può ancora ,•edere per conto del fanciullo e imaginare la sua emozione complessi\•a nella forma dell'unità storica, Questo racconto storico donebbe essere dunque una vera creazione d'arte e l'unità del suo criterio dovrebbe compenetrarlo tutto e neMuna sun espressione sarebbe oscura per il f1nciullo. L'errore dei facitori di libri sco– lastici è sempre qui: buttano giù della '.roba che \'UOI essere facile e semplice perchè dice poco e I frammento, ma dove si sente la de– gnuione del sapientone che ammaes1ra I' igno· rantello e mal sa frenare il suo sapere. Frasi come queste: I barbari mtralt nelle tarich, i - i barbari llllirali do/ faro della cici/là roma11,, 1 si erano stanziati nelle \'alli del Danubioj - i barbari porl11ro110 r:ergùu sa11g1Je d,, tui dopo secoli scal11riro110 sorgmli viee di t•ila 11ot•e/la; - in Piemonte si man– tene,•ano spiriti pùì alt, e virili - ecc. si trovano 111 tulle le storie elemencari a rac– contini, anche in quelle approvate. Anche volendo spezzetrnre la storia nell'episodio. domando io come fa un povero bambino a capire queste espressioni dove, a parte molto, si vede l'errore di chi crede di dovtr astrar,, d11 t:.ùl tht sa in\'ece di concrelarc nuov.1ment,. Astraendo le note piil dillìcili del nostro concreto non resta un concre10 piu semplice ma un coccio. La difficoltà non sia nel tulio più che nella parte. l..:a questione del principio che de,·e rnfor. mare la scuola elementare non è isolata da quella che riguarda la riforma della scuola media perché come grado dell'unico s,·olgi– mento dello ~pirito non è separata da que• sta che per criteri pr:ollci. Se è \"ero che la scuola secondaria clas.;1ca abbia import3nza formatÌ\"a in quanto dà una piu profonda e intima v11,1 alla coltuni moderna e la riattacca alle sue origini, in quanto cioè quello studio classico è stori11 1 come scrisse il prof. Geo• tile nella l'ou:, mi p3re che :rnche uaa sem• plice intuir.ione della storiJ potrebbe fare re• lativamente un sunile utlìcio nella scuola po· pobre, D.irebhe infatti e<c;a pure allo spirito del popolo la coscienza della sua tr:adizione, con que~h elemenll essen11almente emozio• nall che, del resto, come finalit.1 ~no il SO· strato necessario Jell.1 st~ri.i e il prrchè d·ogni suo stuJio più auazato. L':rnimo della m t'-sa popolue non c;.,1rehbepiù !;laci:a1,1 interan:ente da quell:1 delle cb~i ~upcnori nel o:.apere. 111 moJo che quell.1 i,~nori interamente la su3 tra- dizione o ne abbia un'idea primiti,·a come se non foc;.serocor~i c;ecoli di \"Ìta. - Perchè se la scuola elementare de,·e solamente inse– gnare al piccolo mercante a maneggiare il metro e a '-Otlomettere ogni ,·alutazione al giogo del sic;tema decimale, se tutto lo sforzo formati\"O si deve ridurre a c:ilcobre la per· centuale del guadagno di chi compra per ire e \'encle per nove - è meglio chiudere le scuole popolari perchè nel fcn·ore dell:t \"ita moderna queste coi;c s'imparano lo stesso sul mercato. È \ero che si parla del modo d' espmnc1c con garbo e chiarezza sufficiente il proprio pensiero e di leggere con buon senso: ma scri\"ere con garbo la chiara mi– seria del proprio animo o leggere corrente· mente il foglio politico o il $t"grtla,iogalante non sono cose che nlgano la pena di com– bat1ere l'analfabetismo. Io dice,•o in\Cce: insegnamo al popolo l'unità della storia e il suo line3111en10, dfa• mogli una piccola parte della nos1ra ,·era eredi1à 1 mostrbmogli l'importanza, la bellezza, la passione, l'aspetto emotivo di questa grande vita umana; uscito dalle scuole legger:. di storia come d'un grande romanzo. Poi~hè ne avrà l'uni là già viva nello spirito ne cercherà ogni nuovn manifest:1zione, a quel modo che i popoli meridionali d'Italia, innamorati di Rolando, sono curiosi di tutti i fatti do\"e entra il paladino. Dalla vila di questa coltura del popolo, se iniziata bene, non si può affermare che deb· bano uscire concepin1enti deformi, grotteschi, almeno m generale. Si traila poi d'educazione mentale e non di propaganda d' energumeni e, se fatta con ordine e con scienza, non può fallire al buon segno. Allora: la preparazione dell'insegnan1e. Un vergognoso pregiudizio, comune alla gente del popolo e alle classi superiori, suppone che per insegnare ai fanciulli basti avere una col• tura secondaria; una coltura buona per im– piegati d'ordine o di concetto, per ferrovieri e ufficiali postali o per chi si prepara a studi superiori, ma non per chi deve lavorare su spiriti -· e per giunta su spiriti vergini che non hanno alcuna possibilità di reazione con– tro la cieca ignoram.a di chi li può dominare. L'insegnante delle nostre scuole consen•a press'a poco il medesimo atteggiamento di· dattico dalla prima classe elementare al corso di laurea : attegqiarnento di banditore di scien– ta e non d1 fecondatore d 1 1ntelletti prima che di informatore. Perciò ~ lecito credere che al maestro elementare, che poco de,·e dire, si pc,ssa d:.are una preparazione rnferiore a quella del professore uni,·ersitario, che deve dire di pii.1. Memre il mede5imo sapere su• periore nel maestro elementare, sollo forma, dirò cosi, di riserva, dovrebbe dirigere il discor:,o sia rispetto a 11:l t·trit,} Jilosojica, che alln mente del fanciullo e, nel professore 1 ,•in via, d'anno in anno dovrebbe passare dalla forma d'intenzione e di risen·a al discorso informativo, fino a essere tutto espresso nel– l'insegnamento superiore. Ciò formerebbe da\• ,·ero l'umanità dell'insegnamento, di frame all'umanit;l dello spirito da educare. Sarebbe meno pericoloso dare per profes· sore a una SGolaresca di ginnasio '-Uperiore un liceista che darlo per maestro a un asilo infantilt. Senza che mi dilunghi oltre, la mia utoria sarebbe che lo ste'òSO grado accade· mico, la stes~ prcparnione filosofica fosc;c comune al maestro e al professore di liceo, perchè guard3ndo bene, se 11 liceo chiede un vac;to e profondo sapere parla10 1 la scuola dei bambini ,,, d1itdt ,,/trelt.mlo t,uiulo: altro che arte! cioè economia e buon gusto, pre• tese infami di produzioni geniali ,·erso infe– lici ai quuli furono lesinati gli strumenti del– !' arte, il pane e tulle le condizioni della di– gn,u e del decoro. E non biso1um dire chi! gli ottimi e di– spendiosi calcoli fatti sulla caria ,-algono poco e costano r-oca fatica, eh~ non si tratta mica d'un ron1e attraver<o lo ~1re110di Gibiherra o J'una rete ferro,iaria attrner.o il Sahara: <i tratta della ,oo:.a principale, nientemeno ~be Jella ,·it.1 <pi11tuale della nazione e per que– ~to '-e il fare ottimi e dispendiosi calcoli costa poca fatica t: vergo~na ,;,olamente per chi non li ha falli prima. Guido Santini. Bibloteca Gino Bianco Colloquio con Giorgio Sorel. La pesante ,·ettura omnibus che mi a\e,·a condotto ad Aute11il si fermò. La giornat.l era fredda, umida, brumos.1. Tulla Parigi era a,•. ,·olla nella nebbill. Pur in quella nebbia che precipirnva qua~i la notte, la grande melro· poli viveva In sua ,•ilfl di fremiti, 1:i sua febbre etern11. Questa consociazione umana, cosl ,·aria, possente, terribile infinita non s'arresta nel suo moto per I' ingra1a assenza del sole. )la laggiù ad Auteuil il silenzio era a,:;saiprofondo. le strade deserte 1 abbanclonate 1 \ estite già di tulta la loro tristeua in\'ernale. Pochi mi– nuti ancora di omnibufl e R:iunsi a Boulogae. Imbocc3i rue L1 RochefoucaulJ 1 che incro· eia con Rue Oenfert Rochereau. Qui al :m· mero 2; è un piccolo cancello di ferro : a un giro di maniglia ec;so !,' apre, e lascia adito ad una minuscola villetta. Qui è una scala, un' altrn porta che cede alla mano del visilatore e si è in un piccolo p,,rlerre. È l'abitazione di Giorgio Sorel. La cafla ha tre piani: semplice ed isolata. Mi venne incon• tro una giovane donna: la nipote del Maestro. Di li a pochi istAnti ero al ten.o piano della caseua, 0\'e in un piccolo ambieme ingom– bro di libri, riviste, giornali, manoscritti. su uno scranno a spallie1a assai alta, sedeva Giorgio Sorel. È una li@.uradi vegliardo dalla barba e dalle chiome bianche, dalla fronte ampia, Jall' occhio illuminato. Mi chiese su· bito notizie dei sindacalisti italiani, e del Dh:mire Soci11le. E prese subito a parlare con intonazione gra\'e d1 rammarico della con– dizione critica del sindacalismo, dei peri– coli che incombono nell'ora presente al pro– letariato. Nel silenzio dcli:, piccola stanza, ove il caminetto diffonde un calore assai gra– dito, mentre la no11e scende egli parla, parla, della Confederazione del Lavoro, di Griffuel• hes, di Briand, di Millerand. « Briand è pc· ricoloso :1ssai al nostro movimento. In lui è il corrotto e il corruttore. • lo ne fo para• gone a Giolitti. i\ta egli crede che il Gio– litti sia più onesto, È 1>0ssibile, perchè Gio– liui non \"iene ,talle file rivoluzionarie ... ! Sorel è un tn11St11r pieno di vita i parla come scrive, con un seguito di osservazioni che s'incalzano, si spiegano, s'integrano. Nella voce ha un'intonazione calma, eguale dai chia– roscuri lievi qua'-i impercet11bili 1 dominati come da un ritmo dal parigino ,,'est et p.:1s? Mi son convinto nel conversare con lui, anzi nel sentirlo che mal si appone colui che giudica Sorci dall'apparente disor~anicità delle sue osservazioni. Egli ha al contrario una vi• sione completa, integrnle, perfetta, definita, di ciò che giudica. Dall'eremo di Boulogne ove vive, \"Cnendo a Pllrigi flistematicamente il gio\'edl, a passa,e lii giornata in qualche redazione di rivistn, egli con ironia, o con disprezzo, con fede o con dolore, dà una va· lutazione del mondo contemporaneo che ri· sponde sempre ad una concezione rettilinea del suo pensiero. La d1sorganic11à che appare in lui risulta dalla spontanea positione iJeo• logica ch'egli ~ \·enu10 ad aflsumere, che una mente come la sua ,lot·tt·a assumere d1 fronte al pensiero contemporaneo. Se concepite il pensatore cosi e cosi, e poi applicate questo certo modello a Sorel egli vi apparirà enor– memente disorganico: egli non risponde a nessun modello , non hJ sistema, non \'UOle avere sistema. Attuare un sistema, inqua• dm,e in questo il proprio pensiero, che è C0fla diver ..a dal sistema, è una fatica, uno sforzo che crede inutile e infecondo. Pos– sono riuscire utili le O'l-serva1.ioni, non il sistema. « Perciò, egli mi ha eletto, io non ho tratto alcuna conclu,.ione dal mio libro sulla vio– lenza. Esso comincia e hni,;ce c;en,a un co• m111ciamen10 log1co 1 od un epilogo conclu• si\"o. Lo s1UJ10 d1 un f.auo nella sun realtà può dare inizio a,l 1n1in11eosscr\'auoni non a deduzioni conclusin~: a ritlettert", non a in· quadrare. Il pensatore che \UOI trarre un sistema d:1lle realta, non fa che porre a sè stesso delle limila11oni. Sono mhnite le contradi– zioni che esistono nella \'Ìta, qlll Jul'11l1, le quali ,·oi sarete costretti n non vedere o non potete più intendere 111lorchè , i sarete rac– chiusi in un precostituito sistema. Hegel è immortale, sopratutlo dal suo lato storico, perchè ha riconosciuto, accettato le contradi· z.ioni come reali:) stessa. I Peusi.:,i cli Pascal sono una mirnbile opera di pensiero, sentn che abbiano alcun legame sistematico. Racchiuderli in qualunque confine logico sarebbe annullarli. Ed è Pascal che dice che « noi immaginiamo Platone e Aristotele ammantati in grandi vesti di pe– danti . .\la essi erano delle brave persone, che come tutti scherza\"ano con i loro amici. e quando si erano dh·ertiti a scri\"ere le Leggi e la Polifita, tornnano alle loro cure ; era la parte meno seria e meno filosofica della loro dta, lr1 parte p1u nlosouca era di ,·i,·ere semplicemente e tranquillamente >. Credo che questi brevi pensieri di Sorel siano il miglior commento, l'illustrazione più completa a IUlta l'opera sua. Evidente• mente è qui che egli si riattacca come ad un punclum saliens del suo pensiero, a tutto il suo modo d'intendere, qui è il motivo della sua inorganicità. È chiaro che per ciò egli deve accellare Pascal e rigettare Voltaire e Rousseau, essere più bergsonìano di Bergson e repellere ogni forma di positivismo. È noto che Bergson ha confessato di essere stato in• teso appieno sopratutto da Giorgio Sorel. « A Bcrgson - disse Sorel a me che gliene domandavo, - si è sopratlutto rim– pro,·erato, di non u·er creato alcuno sistema. Quale il fine dell'opera sua, dicono i suoi critici? Ebbene, è qui il merilo più grande di Bergson, ne11'esser rimilsto esente da ogni conclusione. e Il pensatore che fis~a in formule il pro– prio pensiero, non fa che diventare disc,polo di ~ stesso. Egli discende dalla sua altitudine di un grado, Orbene questa frue del Bergson è come una sintesi cli tutto il suo pensiero>. Crede perciò Sorel che Croce valga assai più del sistema che ha credulo di creare. Di Croce ammira sopratutto la maniera di rinettere e di intendere. « Ma oh I perch~ Croce dice in ,. una sua recente intervista di meravigliarsi che dei due hegeliani, che pare esistano io Italia, lui, e il Gentile, ognuno abbia un modo di– ,·erso d'intendere Giorgio Hegel? Ques10 di• saccordo non solo è possibile m" è lode\'ole, perchè dimostra ch'essi inlendono Hegel nella sua realtà non secondo le sue formule. e Benedetto Croce ha però di fronte al pen– siero italiano moderno un merito innegabile an• ancora più grande.Egli ha dato all'llalia un pen– siero ilaliano. Come ho già deuo nel Dii:enire sociale (1), l'Italia da 25 o 30 anni era preda di ideologie d'importnzione, inutili, pericolose, artiticiose. D 1 Inghilterra e di Germania fu. rono impariate in Italia delle filosofie che non rispondevano alle condizioni autoctone: dal positivismo al pragmalismo. Le ideologie nascono secondo peculiari condizioni storiche che non è dato mutare a volontà. L'impor– tazione del pensiero quindi, portò I' Italia ,·erso una profonda decadenza dalle quale solo ora u rile\'andosi. Ora colui che è anima e fede d1 questo rinno,·ellamcnto è Benedeuo Croce: oggi è permesso sperare 1n una ri– nascenza \'eramente i1aliana dell'Italia:,, Per noi s111dacalisti una rinascenza pecu· liarmente latina Jel pensiero è assai impor– tante. Dice Sorel a questo proposito che tale rinascita si collega in una certa misura (per– chè le condizioni d'esiste111a sulle quali il pensiero proletario sorgerà sono sempre pro• fond:1mente diverse) lii formarsi delln nuova ideologia proletari:,. Il p1ole1ariato infatti deve compiere uno sforzo ideologico assai forte {è ,1uesta l'idea prediletta di Giorgio Sorel) per superare, sal– tare tutta l'ideologia borghese che è imma– nente in lui con tutto il suo bagaglio demo– cratico e politico, per ricollegarsi al pcn• siero classico. ~1entre l'esaltazione della violenza ci neon• duce appunto al contenuto clasc;ico del pensiero I, D11·r,m e soc111lt', 1 1 Settembre t!)Oi, 11. 1;. G. .'::i06tEL: - /.,, lrlln11ltu11 s111d11<11hsla.

RkJQdWJsaXNoZXIy