La Voce - anno I - n. 33 - 29 luglio 1909

134 LA VOCE di chi le ha ascoltate. Se io dico il \'C'ro, l'ultimo ,·olumc delle lezioni non lo na– sconde. Davanti a questo noi deponiamo le diffidenze che la scienza celebre n<"i rumori mondani ha dis~raziatamentc i– spirate e ammiriamo liberamente il rive– larsi di un grande ingegno di nostra gente in prodwdoni improntate cli squi– sita italianità. Qui si fa manifesta tutta la mcnt,1\itù armonica r lucente di lui : una immaginazione potente contenuta dalla enormr facoltà logica; una sete cli verità che non si sa1.ia finchè.- tutti gli spcdirnti tecnici e tult<' le industrie- lo– giche non hanno consumata l'ultima pro– va: una splendida alacrit;.'t e un· infati– ca.bilc possa che ~mbrano moltiplicarsi nel cozzo colle difficoltà dei problemi: una dirittura di giudizio, una finezza di avvedimento e un sicuro istinto della verità che gli permettono di afferrare (Dante direbbe accarnare con l' intellet– to) il fatto piccolissimo e significantissi- mo; una superior<' clignitù intC'llettuale disdegnosa di tutto C'llC' f-lia,·ol{{;.lre. Per ciò <' J)C'r l'onor<' cl<'I nm,tro paese', io vorrri che questo ,·olunw cli ~lurri non fo~.-,c- l'ultimo. \'C"ro i· rhr « la diagnosi cl<.•itumori intracranic1 g-iunti allo stato trrminalc- ». lo scritto « morbo cli Ad– dbon r sinclromC' lombar<' "· lr lezioni « sopra una 111alat~1cli vizio cardiaco ». « sopra l'idrocefalo cronico primitivo>, « sui tumori del ccrvC'IINLo » sono pro– clt1zioni intC'llC'ltuali c-hr SPmbrano rodere a scorza ,t ... corza il ccrv<>llo da cui e– scono. :\la è anchr \"('ro cli lui quel chP Schillrr ~cri va ciel MIO grande \'icino: « mentrr 1101 altri siamo costretti a rac– cogl icrc e faticarr penosamente- per pro– durre' lentamente alcun c-he cli tollerabile, egli non ha bisogno che cli scuotere leggc-rmcnte l'albero per far cadt.•re i suoi bellissimi frutti maturi e pesanti :.. Alberto Vedrani. RICOl~RENZE I. La Battaglia di Custoza. Il ricorrere del 24 giugno avrebbe dovuto ricordare e do\lrebbe ricordare ogni .mno agi i Italiani quello che (u il disastro di Custoza. Ma sappiamo bene che I' llalia, quando non tragga dalla storia pretesti per commemo• razioni ufficiali e per chiassate settarie, per proprio conto beatamente ignora l'esistenza e il valore del pass.110. Noi ci sentiamo attac– cati alle origini da barboline più lievi di quelle che incros1ano l'edera sul tronco po– deroso della quercia. Siamo un popolo di gtnte nova. E così, a meno di mezzo secolo di distanza 1 in uno spazio di tempo infinitesimo per le ideali memorie di una nazione, nessuno più nè fra i giovani nè fra i vecchi sente il bi• sogno di rammemorare quella che fu la prima e più solenne catastrofe guerresca d'Italia ri– costituita a nazione : la medesima che a meno di un mese si ripeteva sulle acque di Lissa, e di Il a trent'anni implaca1a, fatale risor– ge\•a a tingere di sangue i piani di Adua. Adua, Lissa, Custoza stanno in tre punti op– posti dell'orizzonle nu,•oloso come tre fari rossi di pericolo e di morte, a indicare che l' Italia da qualunque parte si volga per terra o per mare, alla ricostituzione de, propri limiti o alla conquista di nuovi dominii è come una nave che non può volger la prora da nessuna parte senza incappare negli a,·anzi ancor galleggianti di sconfitte recenti e non dimenticabili. A che illudersi? L1 storia mi– litare del Regno d' Italia è tutta raccolta ed espressa in quei tre nomi, in quei tre fatti: per i quali noi siamo dinanzi ali' Europa un popolo sacro alla scootitta. Fino da quando i fanlaccini di Piemonte presero parie alla campagna d' Oriente 1 si disse che erano uomini degni di combattere a fianco dei più splendidi eserciti di Europa. Ma anche oggi è dubbio se quello che già fin d'al· lora mancava, cioè l'abilJtà e la concordia e l'energia del comando e la solida e potente organizzazione, si sia finalmente aggiunto co· me coronamento indispensabile al re3to. An– che oggi forse in campo iiperto qualche spet· latore o rapportatore straniero potrebbe af– fermare' che i nostri sono i migliori soldati del mondo. Ma non mi è rmti accaduto di udire un uflìciale italiano affermare che l'e– !-ercito nel suo tutto insieme meriti la piena tìduci:t di una nazione che voglia battersi non soltanto per l'onore, ma per la con– quista e la vittori11. Di che mancavamo a Custoz.a? ~on di soldati, nè ~i buoni soldati, nè di valorosi e intelligenti ufficiali. ~lanca,·amo di ,·era direzione e di comando. Si può asserire que– sto ed è tutto dire: che se a Custo1.1 al principio dell'nione fos,;e venuto meno il capo dello s1:ito maggiore e il famigerato comandante del teno corpo, cioè i geoerali La Marmora e Della Rocca e !"esecuzione delle mosse fosse rimasta affidata a di,·isionari ener- gici e valorosi quali il Govone, il Brignone. il Pianell 1 il Bixio, non dico è probabile ma è Pili che certo che Cu..,to1a non sarebbe staia una sconfiua. Il sangue che irrorò quei colli ci avrebbe consacrati con un battesimo di gloria come toccò ai nostri alleati a Sa– dowa. i\la in quella battaglia P inettitudine del comando fu tanta quanto il valore e I' intelligenza che pur riuscirono a dimostrare i mal comandati. Bisogna leggere le relazioni della campa– gna per vedere come fu diretta, e con quale malematica precisione più di 200 mila uomini si fecero in un giorno o due sorpren– dere, battere, abbattere, annichilare da un cor– po d-'esercito come quello austri:1co che se– condo i computi meno inesa11i non superava di molto nel Veneto i 90 mila 11omini. Nè l':trciduca Alberto che ci veniva incontro era un genio o un fulmine cli guerr:i; era un bravo capitano islruito, energico e co– scienzioso ; che stando al suo posto di capo unico e assoluto emanava dal primo all'ultimo tutti gli ordini necessari, e alla vigilia di un probabile scontro regolava naturalmente an– che la dispensa del rancio e prov\'edeva a che. i soldati non andassero alla battaglia di· giuni. Ma non era Napoleone. Con un eser– cito metà del nostro, con un'artiglieria metà della nostra, egli era in ottime condizioni per farsi biitrere da noi seoza perdere la prflpria riputazione e intaccare l'onore dei suoi soldati : o anche appoggiandosi alle for• lel7.e del quadrilaterQ, potev:1 tentare di me• nar le cose in lungo fino a che una attesa sconfitta dei Prussiani non :ivesse resa possi– bile l:1 disloc:1zione in ilalia dell'esercito del Nord, e sposlale a IUIIO suo favore le sorti. Se non che chi abbia chiara la visione di quel che accadde nei due campi dal pome– riggio 23 a quel fatai mattino 24 1 quando inaspettatamente echeggiarono sulle alture di Oliosi le prime fucilate, sa anche come i 90 mila uom111i del nemico erano condotti alla \'ittoria 1 e come i nostri 130 mila, for– manti i tre corpi dell'arm:ua del Mincio, erano fatti avanzare !<-prov,·edutamen1e wrso la :-confitta, mentre gli o mila nomini del n·• Corpo affidato al Cialdini rimanevano alla destra del Po, non ancor pronti a passare. Ecco che la nos11a superiori1:\ numerica era sensibilmente diminuita: ma lii ,·ittoria non ci abbandonava : si librava alla fr:i noi e il nemico, pl'onrn a calare fulminea ~u quello dei due eserciti che con unn marcia meglio condo11a avesse schierato contro l',dtro un maggior nucleo di forze. Custoza fu, come è 11010,una bauaglia d'incontro i il nemico cominciò !-Ubito a prendere un vanla@gio ri– levantissimo su noi per la semplice ragione che egli lino dal giorno innanzi marciava ordinato compa110 molto meglio di noi. Koi. passato il 1\lincio, la manina del 24 inohra– ,·amo in paese nemico col disordine e la confusione con cui a,•remmo fotto un cam– bio di guarnigione in terra nostra. Il La ~larmora s'er:i ri110 in capo il chiodo che in Bibloteca Gino Bianco quel giorno non avremmo incontralo il ne– mico e questa sua persuac.ione mera\igllo'-a e incrollabile s'era diffusa fuor del quartier ge– nerale già dal giorno innanzi, e pertino i cavalieri deputati .tlla ec;plor21.ione ci avevano falto sopra hdanza e si erano bene guardati d:illo spingere sino all'Adige le loro ricogni– zioni. I clue eserciti si scontrarono la mattina non pel'chè l' 11110 cli essi fosse occulta– mente avanzalo durante la notte; si perchè la sera le avanguardie s'erano tranquilla mente addormen1.1te a pochi c 11ilometri l'une dalle altre. Con questa Jifferenza: che l'arciduca aveva a\UIO notiz.ia del passaggio del Mincio da parte dellt: prime nostre c;ch1ere; mentre 001 fermamente si credeva che 11 nemico fosse ancora dietro I ridotti dell'Adige. La nostra ignoranza s'era per somm:t s,·entura cosi bene fusa e confusa con 111. testardaggine che la mattina del 24, mentre una di,•isione alla nostra sinistr~ era già quasi sgominata, c'era anc(?ra chi non crede,·a alla presenza degli austriaci : cd era quel di,·isionario Cerale la cui colonna di otto o nove mila uomini do• ,·e,•a es~ere improvvisamente assalita da una brigata di cento ulani, e spavenlata d'un su– bito e scompigliata e volta se non tutta in fuga, certo quasi tutta in scompiglio e in paura. Il carattere piemontese è come il cielo lombardo, cosi bello quand'è bello; ma non per nulla tiene del macigno e del bronzo! E dire che noi ave\1amo il doppio della cn.1lleria nemica e se all'avanguardia fo~e stato dato preciso l'ordine di nanzare fino all'Adige. a costo di qualunque sacrificio di cavalli, avremmo avuto la sera del 23 no• tiz.ie esatte sul nemico! Invece avanzavamo con il grosso della cavalleria dietro la fan– teria: come l\fl esercito di piombo disposto dal genio !,lrategico di un fanciullo. è nes• suno aveva pensato a lasciare i carriaggi al di là del Mincio: i bagagli erano fatti avan– zare lenti, pesanti, polverulenti fra le schiere degli uomini. La marcia n'era allungata, in– gombrata1 sconnessa. Le colonne dovevano attendere ore e ore nei bivi, nei crocicchi, lo sfilare d'altre interminabili colonne. La divi– sione Umberto impiegò circa cin~ue ore a fare i dieci chilometri che la separa,•ano dal punto di arrivo, \'illafranca. Quel la del Bixio mise anche di pili a percorrerne sette. E nemmeno si sapeva dove fosse il quartier generale; il co• mandante in capo non si trovava da nessuna parte. Il La i\lumora era di quegli uomini che voF?:lionoessere dappertutto, vogliono fare tutto, vedere tutto, e in realtà per troppo abbraC– ciare non stringono nulla. Egli girnva qua e là per le linee distese, immense, con la irre– quietudine di un corrispondente giornali· stico, senza essere nè la mente ordinatrice nè l'occhio pronto fulmineo del proprio eser• cito. Tu111 quegli uomini a,•anz.avano cç,me una massa umana informi:', assolutamente sprov– veduta del capo ! La sera del 2 3 non solo non era staia data nessuna disposizione per un e\'enluale at1acco del domani, ma solo a tarda ora era ginn10 ai vari corpi l'ordine 1mpredso di avanzare la mattina seguente c. prima delle 4 ». Era successo che alcune di,•is1oni si erano messe in marcia alle due, o al tocco e mezzo, senta avere potuto cuocere il rancio, senza es• sersi ripos111edel cammino del giorno innanzi. Al sorgere del sole alcune migliaia di uomini camminavano da qualche ora, digiune dal po– meriggio del z3. I! 111cred1bile; eppure cos, marciava nel' 66 I' esercilo ti' hali:t i il primo grande esercito che la Nazione 1 dopo secoli di atle!-a, dopo decenni di preparazione, con sacrifici enormi di milioni e milioni era riu– scita a mettere sul piede di guerra. Il male derivava clall' esserci troppi capi e lroppc gelosie e antipatie fra i c:1pi, e nessun vero comando, o 1u11':tl pii1 un comando in– sufficiente. S 1 era fatto divisionario un Cerale, cioè un troupier che i\apoleone a\'rebbe ele• vaio c;i e no al grado di caporale. ,\la era piemontese. Invece il generale Pianell, che doveva in ,1uel giorno illustrarsi con un atto di splendida inizia1iva, perchè veni\'a dal– )' eserci10 napoletano era tenuto in risen•a inutile :illa destra del ~lincio. Si ew dato il comando d' un corpo :ti generai Della Rocca, del qu:lle grande era l'antipatia ver'-O il I a Marmora. E fr:1 il i a J\larmora e \ ittorio Emanuele, cioè fra colui che a\'eva il co– mando effettivo e chi teneva con au10rit1 il grado di comandante supremo, non correvano rapporti migliori. I.e stesse qualità del La i\larmorn, l'essere autoritario e volontario lo rendevano male accetto al sovrano. In queste condizioni, è chiaro che non si possono con– durre 130 mila uomini alla viltoria. Non solo: ma una nazione che si rispetti non manda un generale a prendere il co– mando di un e~1cito due o tre giorni prima che le operazioni comincino; come si fece col La 'Marmora nel '66. Posto pure quel che non era, che cioè questo integerrimo uomo avesse avuta l'abilità di comandante in capo, egli aveva fatto il presidente del consiglio e il minisrro degli esteri tino all1ultimo mo– mento, e non conosceva come soldato la condizione de' soldati che doveva condurre al fuoco. Domandate alle storie militari da quanti anni, in Prussia, il conte 1'1oltke coprh 1 a nel– l'esercito la carica di capo di Stato i\laggiore. Da otto anni! E, scrive il Pollio, .1veva pre• parato e predisposto ogni cosa per la mobili– tazione e radunata dell'esercito in ogni suo minuto particolare, ed aveva profondamente studiato il modo di condurre la guerra per ogni eventualità. ~oi italiani improvvisiamo una campagna come improvvisare un sonetto. Oh! i giovinetti di liceo e di università che ogni anno immancabilmente vanno in corteo a fischiare sotto questa e quella amba– sciata d'Austria, farebbero bene a dedicare qualche giorno della loro amena esistenza allo studio militare della battaglia di Custoza: io credo che immergendosi in quel bagno ghiac– ciato sbollirebbero i loro ingenui furori e denudandosi una buona volta, essi vedreb– bero con le pupille spaurite la miseria della propria nudità imberbe agitata di patriottico isterismo. Non siamo pili ai tempi leggendari nei quali basta,•a « fare la guerra> ali' Austria, per affermare In nostra esistenza dinanzi al– i' Europa che non ci credeva. Or.1 quando sar?t il caso si tratterà non tanto di combat– tere quanto di vincere, non di fare uo'affer• mazione morale, ma una dimos1razione di forza; e dopo Custoza 1 dopo Lissa, dopo Adua noi purtroppo non abbiamo anche dimostrato a noi stessi di essere un popolo che vinca. i\la checchè si dica, la nostra democrazia e la nostra borghesia sono ancora nell'anima antimilita1iste e per conseguenza garibaldine; cioè credono sul serio che le spese per l'e· sercito siano un di più nel bilancio della na– zione e che la guerra si possa fare domani con l'eroismo delle bande armate. L' Italia, per esempio, non ha la poesia del suo eser~ cito: d:t noi non è mai nata altra poesia di guerra che la garibaldina. E questo non è chi non veda quanto onore faccia alla prndenza cli chi ci governa non meno che al senno pratico di chi si lascia cosi ben go\'ernare, e quanto affidamento dia Ji un avvenire migliore di quel passato che si vorrebbe dimenticare. Cepperello. Lettere Triestine. A proposito delle elezioni comunali di Trltste. Nt:lla. Voce dcl 15 corr. è JlUbblicata una Le/– l~ra I, i,·slim,, firmala e Il corbo >, nell.t quale si afferma ch,e a Trieste il socialismo e comb.illtuto più collo scherno che colla franchezza, anelante a dar la scalata al potere > si è alleato e col Go– verno t: collo slavismo 1-,erconquistare almeno la minoranza >. Da qut:sto accenno alla conquistn della mino– ranw, si rileva che e Il corbo > vuol riferirsi :il\c recenli elezioni comumtli. Si rileva, inoltre, che e 11 corbo >, o parla di f.tui e cli que.~tio11i che ignorn, oppure crede 01>por1u110, a comballcrc i socialisti di Triesle, mettere da 1>11rtt: gli scherni per lavo– rare ~scluSÌ\'am~nlt di menwgnc. La vcrit!\ è che il Governo (il quale hl\ contro di sè /11/li i deputati socialisti, di qualsiasi stirpe, mentre può sempre contare - ANCIIK l'KR LK SPESR llll.lTARI - sui votifavorn.'Oli dei deputati clericali e hbcrali ilaliani) ha l:1sciato che a Trit!– ste i varii par1i1iin lolla i.e la sbrigassero fra loro· ed il partito socialista tli Trieste è sceso in loti; complet:.menk solo, come sem1>re, f'onfro le can-

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