La Voce - anno I - n. 25 - 3 giugno 1909

• I02 LA VOCE per fare sparire le malattie non fanno altro che procurare di ioglier via i sintomi ester– ni. La riforma morale di un p:\ese si com– pie a poco a poco, con la meditazione per– sonale dei migliori, con gli sforzi immme– revoli e solitari dei piccoli, con le parole di fuoco dei grandi profeti e risvegliatori e non già colle commissioni e i rimpastamenti le– gislati\•i. E mentre la riforma morale si compie, anche la scuola, come tutte l' altre cose, va migliorando e migliorerebbe anche con i pill rugginosi e arcaici programmi del mondo. i\la dato pure, e in parte concesso, che anche la scelta delle cose da insegnarsi e 1 sopratlutto, i consigli circa i modi migliori per insegnarle sia cosa d'una certa impor– tanza, io torno alla mia fissnione: perchè mai voler riformare uno solo dei tre ordini di scuole, e il più strettamente imbrigliato cogli altri due? Si dirà che la riforma della scuola media prepara in certo modo quella della scuola superiore, ma non è ancor più vero che se si vuol co:ninciare colla riforma della media, gli esecutori di que:-ta riforma, cioè i maestri, debbono venir fuori dalla scuola superiore? È inutile: non se n' esce. E resta sempre I' altra ragione 1--.er la con• temporanea riforma della scuola elementare: che una riforma profonda non sarà possibile finchè non si preparino meglio, fin da pic– cini, i ragazzi che seguilan gli studi. A meno che non s'abbia il coraggio di affermare panglossescamente che nè l'una nè l'altra delle due rimanenti scuole han bisogno di riforme e che le nostre scolette e le nostre università sono le migliori nel peggiore dei paesi possibili. C'è qualcuno che abbia il coraggio di dirla così grossa? Ma fatemi il piacere! Se del bisogno di mi– gliorare l' università si sono accorti perfino certi professori d' universi1à ! Gli è vero che per parecchi di loro la riforma universitaria, tradotta pragmatisticamente in ispiccioli, si– gnitica, soprattutto, la speranza di poter ri– scuotere piì.1 soldi tutti i mesi dell'anno 1 ma non credo che tutti sian così : voglio essere un po' candido anch'io. In ogni modo se ne sono accorti molti altri che non sono più studenti e non sono ancora professori, e sono perciò nel vero osservatorio della giustizia. E questi dicono che nel l'università non c'è soltanto da crescere le paghe dei professori ma anche gli insegnamenti, la disciplina, l'operosità, la serietà e tante altre cose che non ci sono, come succede sempre, precisa– mente là dove assolutamente ci dovrebbero essere. ~la io non conosco le università: non sono stato studente e non sarò professore. Mi contenterò delle ciabatte, senza salire alle brache. In verità ho più in pratica le scuole elementari, non solamente perchè ci ho ingollato anch' io la mia pnrte di noia e d'aria cauiva, ma anche perchè sono st,1to Il Il per entrarci come annoiatore e tiranno quoti– diano di bambini. Nessuno, mi pare, parla di riformare le scuole elementari, e anche in fallo di ordinamenti interni, molto vien la– sciato in balia dei comm1i. Eppure a me pare che le scuole elementari non vadano punto meglio di quelle medie, se devo giu– dicare dai maestri che v' insegnano e dai ragazzi che n' escono. Anche qui siamo alla solita storia: non si potrebbe far molto mu– tando i programmi e gli or.arii. La riforma della scuola elementare dipen– derebbe molto dalla riforma delle scuole normali, le quali sono il rifugio, poco fre– quentato, dei bocciati d;i ginnasi e delle scuole tecniche o degli S\"ogliati in genere o dei borghesucci di provincia che invece di farsi preti, come usava prima, si fanno mae– stri per avere il pane assicurato al paese na– tivo e nello stesso tempo il diritto di prender moglie. Dev• esser caso se ci c,apita qualcuno che abbia un po' d' ingegno, e se l'ha, o si disgust:1 della scuola e la lascia i oppure non seguiia a fare il maestro. Non parliamo poi dei professori che son quasi sempre gli scarti di altre scuole considerate stupidamente pili importanti. :\nche fra loro se ce n'è qual– cuno veramente buono potete star sicuri che ce l'hanno messo in gastigo, come successe una volta, nel 1898, a Diego Garoglio. Ma ho una maledetta paura che i signori undici della Commissione, ahimè non ideale ma semplicemente reale, non abbiano pensato alle scuole normali come a quel!' altre tanto più care al loro cuore e in\"ece sian d' ac– cordo colla bestiale opinione pubblica la quale disprezza o non conosce quelle scuole da cui devono uscire i primi maestri di tutti. Invece per I' istruzione elementare pro· priamente detta la riforma più importante che ci sarebbe da fare sarebbe il ritorno rigo– roso alla legge. Perchè con una legge sul– !' istruzione obbligatoria ci son tanti italiani che non sanno leggere e scrivere? Perchè in t:rnti paesi di campagna, dove pure son riu– nite tante famiglie, non c'è scuola, e i bam· bini o devon restare a casa o andar lontani delle miglia, per s1rade spesso piene di neve e traversare fiumi e torrenti? Perchè la gente istruita e influente non sta dietro al mode, col quale vengon tenute scuole e nominati maestri, e non fa uno spontaneo e continuo spionaggio a carico di quei i.t~uitori, che, senza gravi ragioni, non rispettano una delle leggi pili importanti dello Stato, e non denunziano i magistrati che non si danno pemiero di procedere contro i babbi trascu1ati e le mamm~ ignoranti ? Non è detto che le riforme debbano essere sempre introduzione di cose nuove e non piuttosto restaur.izione delle vecchie. Quella stessa riforma che si chiama cosl seni' altro, la Riforma protestante, non era forse, al– meno nell'intenzione dei suoi capi, un ri· torno ali' .iotico? Per la scuola elementare italiana si tratta non già di un ritorno al· l'antico, ma di un ri1orno alla legge, la quale non fu mai rigorosamente applicata, rara– mente aiutata dagli sforzi dei cittadini e spesso non praticata da quelli stessi che sarebbero incaricati di farla osservare. C'è alla Camera un gruppetto di aeputati che si dicono Amici della Scuola e che in verità sono, special– mente, amici dei maestri, cioè amici degli stipendi dei maestri. Ed t: vero che i maestri dovrebbero esser pagati di pita (chi non do– vrebbe esser pagato di più se si potesse?) ma è falso, falsissimo e roba degna del più falso dei materialismi slorici 1 che ill que· stione della scuola sia soltanto ques1ione di quattrini. È anche questione d'anima, perdio 1 è questione di cultura, questione d'educa– zione. Finchè il popolo italiano, tulio il popolo italiano, non avrà capito che l'igno• ranza, nel mondo d'oggi, è uno dei peg• giori malanni e non farà tutto il possibile, non solo colla borsa, ma colla sorveglianza, coli' attività, col sacrifizio, per fare sparir da ogni parte del paese i sordomuti dello spirito, le scuole elementari saranno troppo poche, non vive, non amate, non efficaci. Lo Stato ha fatto le leggi ma nessuna legge può esser rispettata soltanto per la paura delle guardie. Senza l'opera diretta della brava gente ogni riforma, sia di una scuola che di un'altra, non gio\"a un fico secco. E della brava gente ce n'è anche in Italia. Per restar nel!' insegnamento elemen– tare1 ricorderò il mirabile esempio delle scuole nell'Agro Romano per i figlioli dei poveri guilli che van laggiù a zappare, a morire nelle tenute dei principi, e dormono in ca– panne che disgusterebbero gli ottentotti. Quelle scuole, create e mantenute da un comitato romano. di cui son l'anima Sibilla Aleramo e GiO\•anni Cena, hanno fallo di già un gran bene e hanno portato qualche consolazione in quella miserabile vita. (1 Ma i quattrini son pochi e la gente disposta a sacrificarsi ancor meno. L' Italia preferisce spendere i pochi franchi che ha nella stampa dei rap– porti delle commissioni. Giovanni Papini. (1) Si ,ecla il semplice e pur comm0\'entc opuscolo: I.i' uuok /esliz•e nel!· aj(ro roma110. Nela::ione del/' a11110 19(.>;-190S. Proposte per I' ,umo t:JoS-909, - Romn. tip. dcli' l'niont– Coop. Edi1rice, 1908. Abbonamenti estivi: tante volte due soldi (per l'estero tre) quanti numeri si desiderano. Spedire an– che in_ francobolli, alla nostra Amministrazione, Bibloteca Gino Bianco Prime linee diuna riforma universitaria. 1\fcnlre s, sia per discutere alla Camera 1111 progello di legge che, pur provvedendo, e neppur ej/icacemc11te 1 al/' a11mc11to degli stipendi dei prafessori u11iversitari 11011 si mra di ciù c/11: è ben più importaule, ossia della nforma degli st11di u11iversitar1~ noi inizJamo co11g11eslodel pro– fessor A11to11i110 Am'/e, una seni; di articoli su Fargommlo, perchè 11011 sia dello che se I' U– niversità 11011 si occ11padalla coltura italiana, la col/11rr1ila/in,m 11011 si ocmpa ddt Uni– versità. li proble1na della coltura superiore, nei termini in cui si !suol contenere, è insolu– bile. Le persone, che ne sanno qualche cosa, paventano perfino che si mi;:tta innanzi la questione d'una possibile riforma, e basta leggere il bollettino della federazione dei professori universitarii per constatare che v'è accordo completo perchè le cose rimangano come sono e che tutte le riforme si riducano, almeno per ora, ad una sola: l'aumento de– gli stipendii. lo non voglio discutere se la richiesta di un miglioramento economico sia in questi momenti più che legittima, e tra– lascio :inche di notare se i modi di questa richiesta potevano essere di\"ersi e più con– formi alla dignità del l'ufficio. A me ed a quanti da parecchi anni osservano con do– lore il decadimento deglì studii in Italia preme soltanto che inrorno ali' idea d'una trasformazione essenziale s'incominci a fare un po' di luce e che le buone intenzioni" si svelino con coraggio ed ognuno porti un po' della propria esperienza perchè si esca dall'aspro intrico di tante disposizioni con– tradittorie onde si manifesta l'attività dei Ministri, che si avvicendano alla Minerva. Ora se v' e già qualche speranza che in– torno agli studii di giurisprudenza e di !et• tere e di fik,sofia la critica incessante, che dura da parecchio, riesca a scuo1ere i dor– mienti ed a determinare un'azione di rinno– vamento, non sembra ancora possibile tro· vare un filo d'Arianna per uscire dal dedalo delle facoltà di scienze e peggio ancora da quelle di medici11a. Qui gl' inconvenienti sono assai gravi e molteplici ; e v'è per di più il vallo profondo del tecnicismo e del parlico· larismo scientifico che preclude agli studiosi indipendenti di raggiungere quelle rocche chiuse, che rispondono al nome di lstilllli scientifici e di C/i11icht universi/arie. Che ne sa il pubblico se ad una stessa scienza si è dato soltanto un nome diverso per collocare un nuovo professore? i chi suo:e guardare oltre l'etichetta più o meno mirabolante?; chi sa distinguere dove finiscon I' allività didattica di un clinico ed incomincia quella pratica professionale, e se 11 una non esista se non per giovare all'altra?; chi si è mai sognato di sapere come si svolga l'opera di un direttore di lstiLUto in rapporto agli aiuti eJ agli assistenti che da lui dipendono?; chi si è mai dimandato qual valore reale abbia la produzione scienlifica che vien fuori da alcune scuole? ... e potrei continuare al– i' infinito la serie di queste domande. Certo è che le spese che lo Staio sopporia per gl' /slil11ti biologici e per le Cliniche, già 11011 lievi, si accrescono in proporzioni geo– metriche di anno in anno per richieste con– tinue incessanti di nuovi locali e di nuovi mezzi d'indagine. Dopo i milioni ingoiati dal Policlinico °lii Roma e quelli malamente distribuiti in Napoli per rifacimento di edi– fizii monastici seguono senza tregua le spese per le Università minori. È un coro di re– clami e di minaccie. Da Firenze, da Siena, da Padova, da Pnvia, da .\lodena, da Paler· mo, da Catania salgono fino alla t\linerva grida di diritti vilipesi. Le dotazioni, per quanto accresciute, non bastano piU e gli strumenti e gli apparecchi per le indagini sperimentali si perfe1.ion:1110 1 direi quasi, di ora in ora, così che a soddisfare le esigenze delle nostre scuole superiori di $ìCienza non basterà tra breve tutto il bilancio della P. I. Come uscire da questo stato di cose, che intralcia l'opera di qualunque Ministro anche animato dalle migliofi intenzioni? Io credo che non resti che una sola via : conoscere realmente le condizioni delle singole Uni– versità in rapporto al numero dei giovani inscritti ed all'attività didattica e scientifica dei singoli 1sti1uti. Non è possibile riformare ciò che non si conosce, e noi ancora non sappiamo nulla del modo come si svolgono la mas:-ima parte dei nostri insegnamenti scientifici. La nostra scienza ufficiale è tutta chiusa nella densa ed inviolabile ombra di un grande mistero eleusino. Rompere il compiacente silenzio ed aprire i vetri e guardare d:1. \'Ìcino le cose come sono - ecco quel che occorre per iniziare un movimento giovanile di vita anche nelle scienze pratiche. L' Italia conservi pure tutte le scuole dove si lavora e si produce, ma le altre, e sono le più numerose, che rimangon deserte e che vivono solo nell'elenco degli stipendi si soprrimano o si lasciano morire. Noi non abbiamo ancora una distinzione netta tra insegnamenti fondmnentali e quelli complementari; noi non sappiamo le ra– gioni per cui in qualche l,'niversi1à gl' inse– gnamenti sono moltiplicati ; e perchè alcune scienze importanti vengano in considerazione ufficiale dopo altre che è in realtà valgono meno. La facoltà di medicina di Napoli, che non molti anni or sono fece un volo perchè l'insegnamento delle patologie speciali si com· penetrasse con quello delle cliniche, ora ha due cattedre di patologia spec,a/e medica con un codicillo non breve di incarichi per cia– scheduna. Gli è che alla 1\Jinerva manca ogni cri~ terio direttivo, e mancano le competenze spe· ciali per vagliare le dimande, che paiono più eque quando più sono clamorose e pertinaci. Ora lo sviluppo della scienza internazio– nale è tale che è una vera follia sperare di avere tanti Istituti scientifici completi per quante sono le nostre Università. S'impone invece la necessità di distribuire gli Istituti dove più sicuramente possano vivere e svi– lupparsi. Una scienza non è più sola, ma importa una serie di insegnamenti collaterali che s'integrano in quella. La scienza delle piante comprende oggi parecchi insegna– menti : la si.<temalica, la fisiologia vegetale, la geobotanica, pur volendo tralasciare la parte agraria. Una cattedra di anatomia 11111a11a è monca se non ha l'aiuto dell'm/(ltomia topo– grafica1 della microscopica e de!Pembriologia. E così per tutti gli altri insegnamenti fonda– mentali, che per più vasti rapporti che con– traggono con le scienze affini, tendono a suddividersi. Per uscire dal caos in cui ora ci troviamo e che giova soltanto a quelli che meno la– vorano e pii1 si agitano, urge sostituire al– i' idea di Università quella di tante scuole superiori. Le molte nostre città, che oggi hanno Università vuote, sarebbero liete di avere invece una o due scuole universitarie fiorenti in armonia con le mi~liori loro tra– dizioni e con le condizioni favorevoli di am– biente. Non forse la scuola legale di Ferrara J-iorisce piì:1 che tanle altre? E non sarebbe preferibile completare per davvero quella che vive e sopprimere le alire che languiscono? Ed invece di avere tre piccole Università in Sicilia, che reclam:1.110sempre nuovi bisogni, non sarebbe preferibile avere una sola grande U11iversità distribuita nelle tre ciltà: Paler– mo, C11tania 1 ~lessina? Un Istituto scientifico completo vale più di tutta un'Università, che si dibatta nelle ristrettezze. La Germania ha creato in Napoli una sola Statione {OOlogica 1 alla quale convergono gli studiosi da tulle le parti del mondo. Noi, in paragone, non ab• biamo nulla con tanti professori e con tante scuole. Questi miei concetti, che possono sem– brare audaci, non vivono che di una verità elementare : lo sviluppo straordinario delle scienze biologiche. Per questo sviluppo la nuo\'a Italia non ha saputo creare nulla che lo contenga e lo inalvi per l'alimento delle nuove generazioni. Noi abbiamo soltanto un organico di professori, che si distende e si raccoglie :i volontà del Ministro, e dove v'è posto per chiunque traffichi. Antonino Anile . ,- {

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