La Voce - anno I - n. 11 - 25 febbraio 1909

42 l'importanza dell'opera compensa ampia– mente studi e fatiche e deve incorag– giarci il fatto che già fin ora si possono intravvedere tante integrazioni feconde, tante combinazioni opportune e naturali, tante utili applicazioni d'ogni genere. In un prossimo articolo esaminerò più dettagliatamente i caratteri fondamentali che saranno propri della fuwra psicago– gia; intanto sarò lieto di ricevere fin d'ora, presso la Direzione della Voce, itnJJr~ssioni, suggerimenti, proposte dai lettori ai quali interessi ogni tentativo di incitare gli uomini a non accontentarsi di essere frammenti, abbozzi o aborti cli uomini, ogni ammonimento a ricordarsi le alte possibilità latenti nelle loro anime cd il dovere chl' essi hanno di attuarle. Roberto G. Assagioli. UNVOCDBOLBHIO dBlla ingua filosofica italiana. Le consider:1zioni, svolte dal Papini, sul– l'opportunità <li leggere, pii1 che ora non si faccia, i vecchi libri italiani, mi son parse assai sennate e riffotto libere dalla rettorica nazionalistica, che è il pericolo prossimo di chi tocca certi tasti. Se esse invoglieranno pa– recchi, o anche solamente qualcuno, a quelle letture, avranno prodotto buono effetto. Se opereranno specialmente sugli uomini che ora sono in formazione, avranno prodotto effetto grande. Perchè non si tr:llta, in ~uesto caso, sol– tanto di arricchire la propria cultura di una parte di solito trascurata i ma di tener vi\ 1 a P individualità della coscienza nazionale, che è forza storica di prim'ordine. Certamente, questa indi-.•idualità si trasforma, e si fa mo• derna o cosmopolita; ma la trasformazione deve procedere da un centro o nucleo vitale, che elimini alcuni elementi e ne assorba al– tri.Diversamente, si avr:\ una superficiale e falsa trasformazione; b moderniti\ e il cosmopo– litismo frivoli; !',mima misi,,, di cui il Bovio (dò il buon esempio di citare uno scrittore Halianissi mo, che la ~ente seria si è, per un buon pezzo, guardala dal citare), forniva dieci anni (a 1 la seguente satirica ricetta e formula: •• Si prendono dalla Russia poche stille di misticismo, due o tre di naturalismo dalla Francia, altrettante di positivismo da Londra 1 un pizzico dell'anima di Kant, e si mesco– lano 11ell'tuqua slrrih{{ala tlt/1 1 imliffermtismo ila/i'ano >. Il discredito della letteratura classica ita– liana ha a\•Uto le sue ragioni in un movi– mento spirituale, che ho indagato altrove slu• diando un celebre giudizio e pregiudizio ro– mantico (Critico, lii, 334-8). Quanto alla sopravalutazione della filosofì:t straniera, che ancora si osser\'a presso di noi, anch'essa 1 un tempo, fu un giudizio, ed è di\·entata, ora, un pregiudizio. Fu un giudizio, e cioè il ricono– scimento della rivoluzione ideale, compiutasi in Germania nel mezzo secolo che va dal 1780 al 1830, dalla Critica della ragion purn alla definitiva edizione della Enciclopedia he• geliana. È un pregiudizio, perchè quel pe– riodo della filosofia germanica non si è solidifì• cato,come s'immagina, in una capacità naziona– le dei tedeschi moderni; i quali sono, in realtà, dinanzi a esso, nella medesima situazione di tutti gli altri popoli (situazione, che si può chiamare d'inferiorit:\; ma ciò non entra nella questionej : ne:Ja situazione dei popoli colti moderni \'erso I' Elhade. 1 gr.andi genii hanno i loro eredi a distam•.a di secoli e fuori dei limiti nazionali. Dopo il 1830 1 la Germania, quantunque avesse .rncora qualche pensatore o scrittore notevole, non produsse nulla di filosoficamente originale; e, ai giorni nostri, non è neppure tra i paesi nei quali gli studii filosofici siano meglio coltivati. L'ossequio, con cui i nostri professori circuiscoao i li– bracci indigesti e i grossolani articoli da ri– vista, che ci vengono, cosl di frequente, dalla Germania (infestata ora, per giunta, sebbene con ritardo, dal sociologismo anglo-francese), è disgustoso. ~la non e mio intento ripetere le cose già LA VOCE dette assai bene dal Papini; e vengo subito all'oggetto di questa noterella 1 che è, sempli– cemente, quello di proporre un tema. Un tema, che io non posso tr.tttare, perchè me ne manca il tempo j ma che desidererei poter trauare, e perciò, reputandolo di molto pre– gio, mi permetto di offrire agli ahri. Non sarebbe il cac.o (dico io) di fore un vocabolario della terminologia filosofica ita· liana? Non gih un dizionario filosofico, come ce ne son t:ttlli (e cc n'è, purtroppo, anche in Italia), che consista in una enciclopedia filosofica, più o meno eclettica e compilatoria, sconciamente disordinarn secondo l'alfabeto; ma un vero e proprio vocabolario, che rac– colfta dai nostri scrittori :1ntichi e moderni le parole con cui si designano lilosoficamen1e le operazioni dello spirito e le forme del reale; e un vocabolario sloriro, che abbracci la pro– duzione speculativa italiana al secolo de»:_ moterzc. a 1uuo il decimonono? Un vocab-,lario di questa sorla avrebbe, in prima linea, l'utilità intrinseca di una ricuca storica, che ci farebbe 2ssis1ere al sorgere e divulgar ..i di cerle parole e, quindi, di certi pensieri; e costituirebbe un contributo alla storia della lingua italiana. Storia 1 la quale non può intendersi come quella della forma letteraria; m;ate:ome storia della vita italiana in quanto si riflette nel linguaggio e viene documentata da esso. Ma :tvrebbe anche qual– che utilili pratica e in,liretla 1 offrendoci un materiale adoprabile, con opportuni ritocchi e adatUmenti 1 alle nostre scriuure filosofiche, concorrendo a promuovere per tal modo, il ricollegamento dello spirho italiano alla tra– dizione nazionale, e al tòno nazionale del discorso. Affinchè questo lavoro (che è meno arduo di quanto si creda) si compili effettivamente, e in un tempo non troppo lontano, onde an– che coloro che non sono più giovani possaao ripromettersi di goderne il frutto, è indispen· sabile che non sia opera di accademie o, in qualsiasi modo, colletti\'aj ma opera di un individuo, che se ne innamori, la carezzi, la coltivi, la fecondi. Uno studioso, con buona preparnzione letternria e filologica e sufficiente cultura filosofica, può, in pochi anni, menarla a termine. Egli dovrebbe formare, anzitutto, • per suo uso, la serie dei testi di lingua filo– sofica, dai dugentisti e trecentisti fino a Ro– smini, Gioberti e Spaventa, o, se si vuole, lino ai più moderni j e 3ndarli spogliando a poco a poco (magari, nei giorni di riposo da altri lavori). Messo insieme lo schedario, ricco di luoghi testuali degli autori spogliati, do– vrebbe passare a cercarne le fonti nella ter– minologia greco-latina, bizantina e scolastica, e poi in quella francese, tedesca e inglese (al quale scopo soccorrerebbero indici e altri la– vori storici, esistenti in copia), e ricostruire i lineamenti della storia di ciascuna parola. Lo spoglio dei migliori vocabolari generali (del Manuzzi, della Crusca ecc.) verrebbe in ultimo luogo, per controllare il lavoro già fatto e arricchirlo di testi pill direttamente letterari i. Di certo, la parte più delicata di una si– mile opera è nella scelt3 dei vocaboli pro– priamente filosofici: scelta, che non può essere condotta con criterio rigoroso, e deve affi– darsi "1 tatto del ricercatore. Quanto a me, preferirei che si cadesse, in questo caso, piut– tosto nel vizio del poto che in quello del mo/lo; giacchè il poco, ossia un numero non grandissimo di \·ocaboli studiati accuratamente nella loro storia, può essere in s~guito, con lo stesso metodo, accresciuto; laddove il molto, costringendo a un'illustrazione rapida e som• maria dei singoli vocaboli, riuscirebbe poco utile nel presente e pel futuro. Sar:\ lecito sperare che qunlche laureando o laureato, invece di dissertare per la millesima volta sul Socrate senofonteo e sulla Cosa in s6 di Kant, o di comporre una monografia (che si può ancora ritardare senza troppo danno) su qualche rimatore del Cinquecento, raccolga il tema, che qui s'indica, e, sotto le modeste forme di una ricerca da \"ocabo– lario, "iva per qualche anno, e ci faccia vi– vere, tra le intime vicende del pensiero ita– i:rno, sorprese nella storia delle parole? Benedetto Croce. II giornalismo e la nostra cultura. Il. Splendore e miseria, come quella delle cor• tigiane di Balzac I La gloria d'un attimo, e il buio immediatamente dopo la rnorte i la po– tenza apparenle per chi legge il giornale, la servilità per chi conosce come il giornale vien fatto. Le illusioni del giornalismo son molte e dir male del giornalismo è gi3 un bene, perchè contribuisce a mantenere la dif– fidenza naturale del pubblico per questo sof– focatore di intelligenze. I gio\•ani do\'rebbero saperlo; non è vero che il giornalismo dia la ricchezza, se non dopo molto tempo e a . pochissimi; e l'arrivarci è questione un pGco di fortuna e parecchio di spina dorsale. E chi crede d' anda.re nel giornalismo per esser più libero che nella sc11ola, che in un impiego, che in fJmiglia, la sbaglia di grosso: tro\'erà la tiranni:t del pubblico e del direttore, pii1 sner\'ante di quella della scuola, piì.1 regolare di quella d'una banca, più insolente di quella d'un padre mercante. E peggio ancora avviene a chi si ri\'olge al giornalismo sperando di potersene poi liberare. Si tratta di un contratto a vita. Chi ne prende l'abitudine non la lascia pili. Ed è un contratto a vita con quel genere di gente che è opposto alla intelligenza creativa. Un tale che se ne doveva intendere, scriveva asc.ai bene qualche anno fa: e I giornalisti italiani odiano la letteratura, ed essendo un po' difficile con– fessare apertamente quest'odio, si acconten– tano di disprezzare i letterati. Anche quando il letterato è in trono glorioso fra gli inni e gli incensi dei suoi fedeli e il silenzio dei nemici più accaniti, il buon giornalista tro– ver.\ sempre il modo di insinuarsi tra l:i folla e macchiare di inchiostro il marmo e l'avorio, il trono e le insegne. Verso i giovani poi, egli, fra due cronache e due t~legrammi 1 ha gesti di disdegno divertenlissimi. Tace pru– dente ad ogni passo innanzi che il suo di– sprezzato a\'\'ersario fa; ad ogni passo in– dietro, urla di gioia, salta, grida, abbaia, squittisce, alza le mani al cielo perchè sia te· stimone dcli' onta innominabile, stimola ed aizza il pubblico contro il ferito, poi si ri· posa con maestà mormorando soddisfatto : l'ho ucciso ». Quest'odio dei giornalisti per i creatori trova una ragione nel fatto che pa– recchie mani ci \'Orrebbero per contare sulle dita tutti i casi in cui il redattore letterario è soltanto un ingegno fallito nella poesia o nel pensiero, tah·olta per mancanza di mezzi ma pill spesso per mancanza di forza. Que• st'odio segreto si accompagna, naturalmente, a una grande \'Ìlt:\ ed inchinevolezza per chi ha un nome riconosciuto_; si nasconde, s1 vela, si rincnntuccia di fronte nlla fama (alla fama purchessia, quella della ballerina e quella di Carducci) e non esce fuori, quando esce, che a stille di pettegolezzo e a goccie di calunnia e per quel trasudar freddo di livore che si sente spesso in tanti articoli e in tante re– censioni j ma ~i sfoga con baldanza e con vo• luttà sui giovani che tentano e sopratutto su quelli che non sembrano poter diventare i colleghi e i concorrenti del domani; perchè con quest 1 ultimi si do,•r:\ spartire la magra preda, e in tal caso sarà bene stendere una mano, ma ungendol:t prima, perchè scivolino e siano obbligati lo stesso alla riconoscenza. C'è intorno al critico letterario di un gior– nale tutt• una atmosfera satura di questa con– sapevolezza di viscidume e di ambiguità. Il critico letterario di un giornale è l'ultimo pezzo dello scacchiere. Lo è per la materia di cui si occupa, perchè per i direttori arte e pensiero sono cose tollerate si, ma non ben vedute, conservate per un certo rispetto alla nostra retorica latina, ma che essi abolireb– bero \·olen1ieri e \'anno anzi abolendole pian piano per dar luogo a quella forma più pro– ficua di critica che è l'inserzione a pagamento. Il critico letterario è un sacrificato: spesso lo si vede nelle redazioni dei giornali assu– mere quell'aria triste di chi è abituato ai tagli, ai rifiuti, ai rinvii senza fine, alla facile sostituzione. Trovare un redattore sportivo è Bibloteca Gino Bianco a~sai pili difficile che trovare un critico let• terario: di laureati a spasso, di poeti mancati, di romanzieri falliti, di commediog-rafi fi– schiati quanti ce ne sono! Sarebbe bene che il pubblico s,pcssc di quante umiliazioni, di quante bassezze, di quante quotidiane meschinerie è tessuta la fama di un gran giornalist:r; perchè allora i gio\'ani non lac.cerebbero la scuola per il giornale e preferirebbero :ittendere la loro ora con la fame e con la miseria. Anche chi lo considera come il luogo più :idatto per il \'olontariato della coltura, sbaglia. 11 giornalismo ha molto della scuola, della parte più brutta della scuola: ha il male del com– ponimento. Tutte quelle nostre scuole, liceali e tecniche, ginnasiali e normali, dove si rinchiudono per varie ore, in stanze non sempre bene aereate, dei giO\•ani con l'obbligo di dire il loro pensiero su quello a cui non hanno m.ii pen~ato, e di mostrnre dell' afT,•tto per ciò che 11011 ha mai mosso loro i I cuore, non sono che preparazione al giornalismo: il quale è poi un traffico di componimenti, spesso a rima obbliga1a, senza neppur la possibili!:\ cli andarli a copiare in un libro del babbo o in un quaderno di un com– pagno. Le ore 1 spesso scomode, di lavoro i il Jovere di parl:1re di un' infìnit:\ dì cose alle quali non !-i è preparati; l'inc!ulgenza del pubblico che, se è dotto sta zitto e se è ignorante se la beve: abituano alla ciar– lataneria, ~Ila furia, al cinismo. E lutti sanno quanto tempo son destinate a durare le opt:re ài quei f,1cchini della penna che, oltre ;1gli articoli dei loro giornali, riescono a metter su comn1ellie 1 a buttar gil1 romanzi, a com· pilare libri di scienza per volgarizzazione, senza che ci si senta interesse a ciò che fanno, amore per l'arte, rispetto per l'uomo e per loro stessi. Tanto più che non sono neppure uomini d'azione, nei quali il lavo– rare molto, anche se non risponde a fine d'arte, è merito, perchè serve a far cam• minare qualche idea per il mondo, e a rea– lizzare qualche sogno. Dir male del giornalismo è già qualche cosa, ma non basta. Bisogna cercare di miglio– rarlo. E prima di tutto, perchè non abbia a diventar lo sfogatoio dei laureati senza posto spaventati. dei s.1crifici che costa l'in– segnamento, bisogna che in provincia ci siano piì.1 biblioteche, più riviste, maggiori possi– bilità di coltura ; bisogna che gli stipendi dei professori siano maggiori, e che il giovane non sia costretto a diventare alcoolista se non \'Uole morir di noia la sera, o a dare ripetizioni di greco e di latino a dei bab– buini se vuol comprarsi qualche libro o ab• bonarsi a qualche rassegna. Bisogna che nella carriera scolastica ci siano maggiori g.iranzie di giustizia e che la dinidenza sparsa contro i nepotismi e contro I<:camorre dei vecchi universitari si spenga col cessare di quelle. Per purificare il giornalismo bisogna prima di tutto migliorare la scuola. Ma c'è qualche cosa di più e di pii.1 diretto, da tentare. Bisogna disilludere i gio– vani e il pubblico sopra l'altezza, la mora– lità, la bellezza, la bont:l di quella vita di prostituzione che è il giornalismo. E bisogna dare l'esempio di quel che può essere il giC'rnalismo, esercit:1to lontano dalle reda– zioni, per uno scopo pratico o ideale, con in vista un miglioramento sociale o mentale. Se noi riusciremo a spargere l'amore per una vita superiore, anche po\'ern di denaro e di notorietà; un interesse pii.1 reale al– i' arte e al pensiero, schietti e puri d'ogni idea di guadagno ; un desiderio d'onestà maggiore di quel che non si trovi oggi di solito in chi maneggia la penna; avremo anche migliorato il giornalismo, in questo senso, che non ci prenderà parte altro che chi veramente deve ser\'irsene per la diffu– sione di idee che reputa giuste. Giuseppe Prezzolini. Nel prossimo numero un importantissimo arlicolu di Benedetto Croce i11loruo a certe co11ditio11idella vita universi/aria ilalhma • e l'arli'colo finale di•« Cepperello » sulla Stam,pa.

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