UOMO - Anno III - n. 3 - settembre 1945

Il fango cli lutti i giorni ha trattenuto ed invischiato la tragedia sinchè davanti ad es– sa abbiamo esperimentato l'orrore dell'im– preparazione, della sfiducia; non volevamo riconoscere altre volontà e altre forze oltre la strematezz,t delle nostre, siamo rimasti legati ad un monocorde risentimento. un fiotto oscuro cli odio e cli insofferenza, non abbiamo ancora saputo risolverci ad osare, a meritare un intervento, in noi umani vo– gliamo ancora vedere la fine e il principio, il merito e la colpa, la condanna. In Mora– via è un alternarsi cli gridi e cli invocazioni mancati, e a colpirci è proprio il silen– zio dell'assenza, quella pausa cli teatro pol– veroso senza suggeritore (pensiamo a quanto sia differente la fiducia e la tragedia in scrit– ture come quelle, tanto per un'esemplifica– zione, cli O' Neill o cli Faulkner, cli Dosto– jevskij, di Melville o cli Mauriac). La scrit– tura cli Moravia fallisce davanti alla lette– ratura per quello che l'uomo Moravia fal– lisce davanti all'umanità, e tanti altri uo– mini con lui : per la sua triste impotenza morale, per questo suo non credere, non sa– pere credere e sperare, questo suo non sa– pere accettare le azioni degli altri senza dif– fidenza ed ironia. Lui stesso si fabbrica il limite, che non spera cli varcare e vi rimane prigioniero, una desolata prigione, con tutti gli oggetti e i personaggi in cui si è creduto o finto cli credere, desolata come la camera 73

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