UOMO - Anno III - n. 3 - settembre 1945

64 sa impotenza morale che stringeva in ui1'afa di asfissia i personaggi de «Gli indifferenti»? (Un ricordo personale, ma il nostro amore alla letteratura è una vicenda di incontri e di ritorni misurati sul battito dei polsi. Stavo in un campo di deportazione in terra stra– niera, un tempo squallido di miseria, di fred– do, di fame, di disordine morale, un tempo di assenza: nei margini che mi lasciava il lavoro obbligato e pesante, nel cerchio fu– moso di un lume a petrolio, scrivevo lunghis– sime lettere a casa e agli amici, lettere che non avrei mai potuto inviare, e che non pen– savo neppure inviare. Ricercavo dei motivi, dei ricordi, l'esile arco di un contatto tra il primo avvio di una mia esistenza giovanile, che già conoscevo buttata a barare con le parole grosse, allo sbaraglio, e la condizione che mi avviliva allora sotto un cielo stranie– ro, nel meccanismo di una consuetudine che diveniva del cuore e della mente, un sordo abituarsi all'incoscienza, a degli attributi uni– camente animaleschi. Mi tornava a colmare quella frattura, quella domanda, la figura del Michele di Moravia, ne esageravo volu– tamente il peso e il simbolo: diveniva per me la ragione di una condanna che tutti ave– vamo contribuito a darci, ad imporci, una sciagura che avevamo costruito giorno per giorno nella nostra rete. Ma è dall'odio con– tro noi stessi che spero nasca l'amore). Infine Moravia ha scritto un libro solo,

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